Animalia V – Mechané, con una nota sul concetto di clinamen

Massimo Kaufmann, Clinamen 2013

[traccia del Gruppo di discussione filosofica dell’11 marzo 2024]

Parleremo questa sera di “riduzionismo”, ovvero di quella concezione tipica della scienza moderna che riduce la natura a “oggetto”, “elemento”, “meccanismo” – producendo conseguentemente una mentalità che la intende come cosa, risorsa, giacimento a disposizione degli umani. Secondo questa visione, tutto è riducibile a materia, non esistono principi “irriducibili” che sfuggano all’analisi fisica: tutto è fisico (che diventa sinonimo di naturale), tutto è spiegabile attraverso leggi fisico-materiali. La coscienza, l’etica, l’arte, le leggi, il pensiero, i sentimenti sono riducibili al loro sostrato biologico-evolutivo che è riducibile a quello biochimico che è a sua volta riducibile al piano fisico: un brillante esempio di operazione riduzionistica della vita è quella operata dal fisico quantistico Schrödinger, nel breve saggio Che cos’è la vita? – salvo dover concludere con una serie di osservazioni che alludono, come vedremo, ad un “problema difficile” da risolvere.
Ci muoveremo quindi su questo doppio binario: riduzione ed irriducibilità, risoluzione di tutti i problemi al livello fisico, e “problema difficile”.

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Animalia III – La soggettività animale

[traccia del Gruppo di discussione filosofica del 15 gennaio 2024]

Per comprendere come si è andato trasformando in epoca recente il rapporto tra umani e animali, occorre guardare preventivamente ai paradigmi di base – direi ai pre-giudizi – che si nascondono tanto nel sapere scientifico o filosofico quanto nella mentalità comune.
Se la volta scorsa abbiamo privilegiato il fronte filosofico, quest’oggi proveremo a gettare uno sguardo più attento su quello biologico, a partire dalla nuova prospettiva che la questione assume con Darwin – e vedremo che proprio l’accogliere, l’edulcorare o il nascondere le conseguenze più radicali del darwinismo, informano le varie concezioni zoologiche ed etologiche.
Seguiremo, in questa breve ricognizione, oltre ad alcuni testi di osservazione animale (tra gli altri Konrad Lorenz, Carl Safina e Peter Godfrey-Smith), Etologia filosofica, un breve e densissimo saggio di uno studioso italiano, Roberto Marchesini, che si colloca a cavallo tra scienza e filosofia, e che quindi costituisce un punto di vista privilegiato per la nostra discussione.

Il percorso che faremo si snoderà a partire dalle seguenti questioni:

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Animalia II (con una postilla sul nome)

(traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica tenutosi l’11 dicembre 2023)

[Sommario: Lògos e animali – Antropologi filosofi: Gehlen e Plessner. Carenza e posizionalità eccentrica – L’animale che dunque sono: Derrida – Il cogito cartesiano e il corpo-macchina – L’io kantiano e la ragion pratica criminale – Levinas e Lacan, en passant – Heidegger: umanismo biologico, troppo biologico – Mondo/ambiente – La solitudine umana – Postilla sul nome]

Ciò che caratterizza fin dall’antichità la riflessione filosofica sulla questione del rapporto umano-animale, è il paradigma della mancanza – che è poi l’elemento essenziale del punto di vista antropocentrico: l’umano che osserva il non umano lo trova mancante di ciò che caratterizza la propria umanità, innanzitutto del linguaggio e del pensiero.
La discussione sul lògos, facoltà di cui l’animale sarebbe o meno mancante, data fin dal IV secolo a.C., originato dalle scuole filosofiche più antiche (in particolare il Liceo di Aristotele) e portato avanti soprattutto dallo stoicismo. Le questioni più rilevanti sono due: innanzitutto se nel rapporto umano-animale si possa parlare di una continuità o non invece di una frattura radicale (con le categorie di quantità o di qualità a caratterizzare il passaggio: la differenza sarebbe solo questione di gradi nel primo caso, di essenza nel secondo); data poi la natura duplice del lògos (un lògos interiore identificato col pensiero ed uno esteriore, identificato con la sua espressione linguistica), il problema riguarda l’attribuzione o meno di queste facoltà all’animale, tenuto conto che molte specie sono dotate di codici comunicativi, capacità vocali, sonore, ecc. La cosa interessante è che questo dibattito originario istituisce i calchi e i luoghi comuni tipici di tutta la riflessione seguente, potremmo dire fino ad oggi.

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“Innumerevoli forme e meravigliose”

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La vita ha qualcosa di inafferrabile. Fa parte di quella categoria di concetti che, per l’eccessiva generalità o profondità, sfuggono alla possibilità di essere definiti – un po’ come succede coi concetti di essere o totalità o natura: tutti sappiamo che cosa si intende con quei termini, ma volendoli definire ci si avvolge in difficoltà… tipicamente filosofiche. «Benché sperimentiamo la vita quotidianamente – scrive il chimico e divulgatore scientifico Jim Baggott – e siamo in grado di riconoscerla facilmente quando la vediamo, in effetti non sappiamo davvero che cosa essa sia».
Nel caso del fenomeno della vita, è stata la scienza a prendere il sopravvento in epoca moderna (già era successo con il mondo fisico, lasciando alla filosofia le briciole dei concetti poco interessanti per la vita pratica degli umani). Per la biologia moderna la vita diventa un problema da risolvere, mentre per la filosofia rimane un enigma che non può essere sciolto. Noi qui ci occuperemo innanzitutto del problema, lasciando ai margini l’enigma (e il fascino del mistero), anche se vedremo come nel linguaggio scientifico finiscano poi per ricorrere termini e categorie di ordine filosofico.

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Sestetto moderno

Volendo ridurre all’osso la filosofia moderna, ne viene fuori un (breve) catalogo di risposte all’unica domanda sensata che il pensiero, ormai ridotto a se stesso, soggettivo e non oggettivabile, continua a porsi: che cosa sono – io – nell’economia dell’essere?
Naturalmente dipende anche da che cosa si risponde a proposito dell’essere, ma il problema sta proprio in questo garbuglio insieme ontologico e gnoseologico, dato che l’essere non è mai disconnesso dal soggetto che lo pensa e che si pensa in esso.
Nella ruota di possibili risposte che il soggetto pensante è in grado di fornire, c’è chi riduce l’essere ad un meccanismo chiuso in se stesso e privo di fine, dunque insensato anche se perfetto così com’è: la mente è solo il dente di una ruota del meccanismo, nulla di più, e deve accontentarsi di sapersi parte del meccanismo.
C’è poi chi riduce l’essere alla sua mera pensabilità – flatus vocis.
C’è chi ne fa un farsi del pensiero che, una volta emerso da una sostanza cieca e senza finestre, diventa l’occhio di quella sostanza – ciò che ne rivela il senso. Ciumbia! avrebbe detto un mio caro amico che fu.
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Antropocene – 1. Che cos’è la coscienza?

1. Possiamo introdurre il percorso di quest’anno partendo dalla celebre espressione di Kant che ho scelto come titolo generale – “il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me” – contenuta nella conclusione della Critica della ragion pratica: le due direzioni dello sguardo cui qui si allude – fuori di me (il cielo stellato) e dentro di me (la legge morale, ma, più in generale l’intera sfera mentale, sia emotiva che razionale) – riguardano proprio la duplicità costitutiva della coscienza.
La coscienza è esattamente questo duplice modo di sentire e di considerare l’esistenza, uno rivolto all’interno e uno all’esterno. Che è come dire che la duplicità di corpo e mente (o anima o coscienza) è già contenuta nella coscienza stessa, che sembra quasi sdoppiarsi e fondare questa dicotomia.
L’esame di questa duplicità – che è anche un’opposizione – costituirà il nostro percorso di quest’anno, che avrà così un carattere insieme filosofico ed antropologico: natura e cultura – insieme a corpo e mente, materia e spirito – saranno i due poli principali di questa oscillazione originaria della coscienza.
Ho detto “originaria”, ma occorrerà verificare esattamente che cosa qui si intende per origine.

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Zoon politikon – 4. Sfuggente libertà

Libertas
1 libertà, condizione civile di uomo libero
2 affrancamento, emancipazione dalla schiavitù
3 autonomia, libertà politica
4 assenza di obblighi o costrizioni
5 permesso, licenza
6 franchezza, schiettezza, sincerità, libertà di parola
7 licenziosità, dissolutezza, libertà di costumi
8 indipendenza di carattere, amore per la libertà, spirito di libertà
9 immunità, esenzione da imposte
10 Libertas, la Libertà personificata e venerata a Roma come dèa

Vi sono già nella radice latina del termine le connotazioni variamente articolate, talvolta contraddittorie, con cui noi intendiamo questo concetto. Sono senz’altro presenti le due caratteristiche essenziali: la libertà (negativa) DA costrizioni e la libertà (positiva) DI agire (quello che viene comunemente denominato libero arbitrio). Ma vi è anche l’allusione al piacere (libido, che secondo alcuni condivide con libertas la medesima radice linguistica). Così come il riferimento alla sfera economica o giuridica (immunità, esenzione).
In sostanza possiamo dire che da questo ceppo comune derivano teorie molto diverse, talvolta incompatibili: le figure sociali di libertario, liberista, libertino, libero pensatore, liberale… – sono già tutte lì dentro.

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Il volto e il corpo dell’altro – 4. L’animale in noi, gli animali fuori di noi

La “questione animale” è probabilmente una delle grandi questioni filosofiche (se non la più importante) della contemporaneità. A ben pensarci è un tema che mette in causa lo statuto etico, antropologico, persino ontologico della nostra specie – i concetti di natura umana, scienza, vita, morte, compreso il crescente desiderio di immortalità: attraverso il nostro rapporto con gli animali e l’animalità definiamo quel che siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.
Animale è concetto paradossale che evoca prossimità e separazione ad un tempo. Tutto il discorso sul rapporto umano/animale è, come vedremo, costellato di elementi paradossali.

Partiamo, come sempre, dalle parole, dai concetti: “animale” è parola astratta, se si vuole vuota, del tutto incapace di definire la moltitudine di forme viventi cui parrebbe alludere. Animale ed animalità si pongono in prima istanza come i concetti che discriminano l’essere umano da ciò che non lo è, sé dalle altre specie, sé dall’altro da sé: l’animale è il paradigma dell’alterità, l’altro per eccellenza. E su questa alterità è probabile che si siano storicamente costituite tutte le altre.
Ma l’animale è, in primo luogo, l’animale in noi: ciò da cui homo sapiens intende separarsi – natura, corpo, sensibilità. L’animalità è essenzialmente ciò da cui l’io – la forma propria dell’umano – si allontana progressivamente: io – l’umano – è mente, coscienza, spirito, ovvero tutto ciò che non è corpo e natura. Come ci suggerisce Cimatti, in questo processo di costituzione della nostra antropologia, del nostro modo di essere, addomesticamento dell’animale esterno e autoaddomesticamento del corpo (l’animale interno) corrono paralleli.
La macchina antropologica (o antropogenica) è esattamente il processo storico di separazione dall’animalità.

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