Veleni (trumpisti e sofistici) dell’anima

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«Fare sembrare grandi le piccole cose e piccole le grandi con la forza del lògos» – così Platone riassume l’abilità di Gorgia (e dei sofisti in generale) che eccellono nelle arti del discorso e della retorica: essi sanno persuadere, convincere, far credere, occultare e mostrare ciò che fa loro comodo, proprio perché usano l’arte del lògos phàrmakon, ovvero del discorso che è insieme medicina e veleno dell’anima.
Unica cura ed antidoto per questo potente male – diffuso e reso virale nella nostra epoca dai mille canali della doxa, ovvero da televisioni, rete e social (e dalle loro infinite capacità manipolatorie) – è il pensiero, la riflessione critica, l’arte e la disseminazione del dubbio. Senonché anche la retorica usa e dissemina dubbi ad arte. Decostruisce e ricostruisce a suo piacimento. Fa apparire vero ciò che è falso e falso ciò che è vero. Ci troviamo così in un’impasse, ovvero in un’enorme bolla filosofica: regnano ed imperversano i sofisti, al servizio del potere. E non si vede, al momento, come rintuzzare questo strapotere. Forse con l’ironia? Una risata seppellirà anche loro?
Ad ogni modo, l’elezione di Trump negli Stati Uniti è stato un capolavoro di arte retorica e sofistica. Insomma, un capolavoro metafisico. E noi viviamo in una bolla metafisica.

Inveterato bricoleur

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«La storia delle ricerche sul significato è ricca di uomini (che sono animali razionali e mortali), di scapoli (che sono maschi adulti non sposati) e persino di tigri (anche se non si sa bene se definirle come mammiferi felini o gattoni dal manto giallo striato di nero). Rarissime (ma le poche che ci sono, sono molto importanti) le analisi di preposizioni e avverbi (quale è il significato di accanto, da o quando?); eccellenti alcune analisi di sentimenti (si pensi alla collera greimasiana), abbastanza frequenti le analisi di verbi, come andare, pulire, lodare, uccidere. Non risulta invece che alcuno studio di semantica abbia dato una analisi soddisfacente del verbo essere, che pure usiamo nel linguaggio quotidiano, in tutte le sue forme, con una certa frequenza.
Del che si era accorto benissimo Pascal (Frammento 1655): “Non ci si può accingere a definire l’essere senza cadere in questo assurdo: perché non si può definire una parola senza cominciare dal termine è, sia espresso o sottinteso. Dunque per definire l’essere, bisogna dire è, e così usare il termine definito nella definizione”. Il che non è lo stesso che dire, con Gorgia, che dell’essere non si può parlare: se ne parla moltissimo, sin troppo, salvo che questa parola magica ci serve a definire quasi tutto ma non è definita da nulla. In semantica si parlerebbe di un primitivo, il più primitivo fra tutti.
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Piccola apologia dell’opacità

[L’ideologia panottica del cerchio – L’ideologia “democratica” della rete – Trasparenza orizzontale,  opacità verticale – Privacy, profilazione e neovalorizzazione – Alétheia, ovvero dell’ossimoro fondante il concetto di verità – Rousseau essoterico: giù ogni maschera! – La metafisica digitale di Gorgia – Trasparenza seduttiva e securitaria – Trasparenza satura – Trasparenza emotivo-immaginifica – L’acritica (in)coscienza social – L’eterno riposo digitale]

274998941. Un sistema di disseminazione di microvideocamere pressoché invisibile, virtualmente esteso a tutto il pianeta, che lo renda visibile e trasparente a chiunque in ogni momento; un microchip sottocutaneo per ogni nuovo bambino nato che lo renda tracciabile e dunque al sicuro da malintenzionati, pedofili, orchi e quant’altro; un automonitoraggio continuo del corpo attraverso una sostanza ingerita che produce la visualizzazione di tutti i dati biometrici sulla pelle del braccio; l’assoluta trasparenza dei politici, attraverso la visualizzazione pubblica di ogni minuto della loro vita; l’assoluta trasparenza di ciascun individuo; l’assoluta trasparenza e condivisione obbligatoria di ciascuna opinione, desiderio, decisione politica…

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Sesto lunedì: uomo agonale e uomo ri-creativo

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1. Areté e agonismo
Nella concezione antropologica del mondo greco, emerge un tipo umano che avrà conseguenze importanti per la cultura occidentale: l’uomo agonale, guerriero e atleta, che persegue quella che in lingua greca viene indicata con il termine areté.
La parola areté è traducibile innanzitutto con “virtù”, ma copre un’area di significati molto più vasta: eccellenza, qualità, valore, stato felice, prosperità, onore, stima, splendore, nobiltà, fama, merito.
È esattamente lo status tipico dell’eroe-guerriero di epoca omerica (incarnato ad esempio da Achille), che ha senz’altro dei tratti comuni con la figura dell’athletès: colui che lotta (agonistès) per la fama e il desiderio di onori (philotimìa).
Il tratto comune e fondativo di questa figura eroica di guerriero-atleta è ben sintetizzato dal verso omerico

Essere sempre il migliore e superiore agli altri

che compare nei libri VI e XI dell’Iliade.

L’agonismo che lega queste due figure è ben presente ad Esiodo, un celebre poeta del periodo a cavallo tra VIII e VII secolo a.C., che distingue però tra due tipi di contesa (eris): quella distruttiva, ovvero la violenza cieca ed insensata (ybris – ben rappresentata dall’ira funesta di Achille con cui il poema omerico si apre) e la sana competizione per la gloria, gli onori (e, se si vuole, il progresso degli umani).
Bisognerebbe a questo punto entrare nel merito della concezione tragica e conflittuale dell’esistenza (e del cosmo) che caratterizza il pensiero greco, ben sintetizzata dal celebre aforisma di Eraclito “Pòlemos – cioè la guerra – è padre di tutte le cose”. Stabilire poi quale sia il confine tra contesa distruttiva e conflitto progressivo, rimane un problema ancora aperto.
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Capo d’anno

Mi son ritrovato, l’ultimo giorno dell’anno, a rievocare con amici carissimi cose di molti anni fa. Di così tanti anni fa che, pur essendo questi amici genitori di figli già adolescenti, loro stessi erano bambini quando quelle cose succedevano. Così, mentre le raccontavo, mi è scappato di dire il luogo comune che tutti dicono (che proprio per questo si chiama luogo comune) tipico della temporalità e della sua inafferrabilità: «sembra ieri!».
Ieri quelle cose sono accadute.
Oggi io le sto raccontando.
E domani sarò già morto.
Logica consecutio cui c’è poco da replicare.

***

Il giorno dopo – per convenzione il primo giorno dell’anno, quando fortunatamente non ero ancora morto – mi sono ritrovato ad esporre succintamente le teorie del tempo, del divenire e della morte (o, per essere precisi, della loro autodissoluzione in quanto follie derivanti da una visione nichilistica e contraddittoria della realtà) di Emanuele Severino, così come io le ho comprese e così come sono in grado di comunicarle ad altri – ammesso gorgianamente che a) qualcosa sia, b) sia conoscibile e c) sia comunicabile senza che l’altro non ti prenda per pazzo – e mentre parlavo, l’amica madre dei figli già adolescenti e però bambina quando succedevano le cose che mi hanno fatto dire «sembra ieri!», mi guardava con tanto d’occhi…

SICILIA FILOSOFICA

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La Sicilia ha un rapporto strettissimo con la filosofia fin dalle sue origini, e non poteva essere altrimenti visto che Grecia e Magna Grecia sono un unico mondo culturale e linguistico (una koiné, bellissima parola della lingua greca che indica ciò che viene condiviso, che è in comune). In particolare sono due i filosofi “siciliani” a spiccare: Empedocle e Gorgia, nati rispettivamente ad Agrigento e a Lentini.

Il primo fa parte della corrente cosiddetta “presocratica”, ed ha un posto di rilievo nella storia della filosofia per aver tentato di superare la grande diatriba teorica tra Eraclito (tutto si muove, scorre, diviene; tutto è polemos, conflitto) e Parmenide (l’unica verità possibile è l’essere, uno, stabile, immutabile). Empedocle, potremmo dire con un’espressione un po’ triviale, “salva capra e cavoli”: secondo lui esiste una dimensione di unità e stabilità (leggi ed elementi) in grado di garantire la molteplicità, il movimento e la rotazione delle cose. Universalmemente nota la sua teoria dei 4 elementi (l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra: i principi o le “radici” materiali della realtà); meno noto il meccanismo che li regge: odio e amore, neikos e philìa, ciò che respinge e ciò che attrae gli elementi, ciò che li mette insieme (nascita) e che li dissolve (morte). Con questo 4 + 2 (che non è un’offerta dell’Esselunga), la realtà può insieme essere spiegata come stabile (gli elementi e la legge, l’arché, cioè il principio dei primi filosofi), salvandone nel contempo gli aspetti variabili e molteplici. Donde la teoria cosmologica con i suoi cicli di espansione e di contrazione. Bizzarra la morte di Empedocle, se è vero che si buttò platealmente nell’Etna (non poteva scegliere qualcosa di più tranquillo? ma forse il carattere “estremo” e insieme “barocco” dell’isola trova già qui una sua chiara anticipazione) – naturalmente di leggenda si tratta, tenuto poi conto che la sua figura veniva spesso associata alla magia e al misticismo.

Gorgia è meno “tradizionalista” di Empedocle e fa parte di quello straordinario movimento illuminista, contestatario e anche un po’ opportunista noto come “sofistica”. Sophistés a noi sembra un peggiorativo, in realtà è un migliorativo: significa “il più sapiente”, o anche “il più abile”. I sofisti erano dei chiacchieroni, avevano grandi doti oratorie (inventarono appunto la “retorica”, l’arte della persuasione) e per la prima volta insegnarono facendosi pagare. Del resto i rampolli della borghesia ateniese potevano permetterselo. Anche Socrate era un sofista, ma un po’ più quadrato e determinato, decisamente più pericoloso per l’etica corrente, tant’è che venne processato e mandato a morte. Ma stavamo parlando di Gorgia. Il succo della sua teoria sta in una famosissima triade di fronte alla quale o ci si rompe la testa o ci si mette a ridere. Egli sostiene infatti che:

1. Niente esiste

2. Se anche qualcosa esistesse non sarebbe conoscibile

3. E se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile ad altri

Detto così sembra un gioco di parole filato dalla testa di un mentecatto. Invece, col cavolo! Gorgia è persona seria e di grande capacità argomentativa. D’altra parte sull’essere si erano già scervellati Parmenide e compagnia, e non è che fosse così semplice parlarne. Quando si evoca un concetto generale come quello di “essere”, ci si tira dietro tali e tante contraddizioni che forse è meglio lasciar perdere e dire che l’ “essere” è una chimera, non esiste: e infatti – sembra dire Gorgia – dov’è questo famoso “essere” se non nella mente bacata di qualche filosofo? Ma ciò che da lui viene più fustigato con determinazione è la pretesa umana di conoscerlo questo benedetto “essere” (conoscerlo nella sua totalità), e anche di pensare che il concetto che ne ho io sia condiviso e identico a quello che ne hanno gli altri. Una gran bella pretesa! Naturalmente, come già il suo contemporaneo Protagora, è la questione del relativismo e dello scetticismo ad essere posto per la prima volta con grande radicalità nella storia del pensiero. Gorgia si spinge anche più in là, tanto che potremmo considerarlo il primo nichilista. La verità non esiste, e se proprio se ne vuol parlare essa è poliedrica e risiede essenzialmente nel linguaggio, dunque attraverso il linguaggio può anche essere fatta fuori. Dico la verità e la contraddico, affermo la verità e la nego. Come in un circolo vizioso…

Dei viaggi politici di Platone a Siracusa, e della “vacanza” di Porfirio per guarire dalla depressione ho già detto. Bisognerebbe poi parlare di Archimede di Siracusa, e di altri pensatori cosiddetti “minori”… chissà, magari in un’altra occasione.

Adesso è ora di partire: la Sicilia filosofica, laggiù, mi attende.

(Immagine da http://mrnemo.splinder.com/archive/2006-12)