2, 253, 3923, 100.000: i numeri, la ragione e la barbarie

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Avrei voluto “festeggiare” con gli amici e le amiche della Botte i 2 anni di attività  (il prossimo 19 febbraio) e le 100.000 visite al blog (ieri) – con 253 post pubblicati e quasi 4000 commenti, giusto per completare i resoconti quantitativi.

Avrei voluto, ma mi pare che non ci sia nulla da festeggiare, specie in questi infausti giorni.

Questo blog aveva fin dalla sua nascita l’obiettivo dichiarato di praticare la filosofia non solo ai fini della interpretazione e della comprensione del  mondo, ma anche, se non soprattutto, in vista di una sua trasformazione – tanto per citare il buon vecchio barbone di Treviri.

Credo che la filosofia non se ne debba stare rinchiusa nelle accademie, nei libri o nei monasteri del pensiero, ma anzi debba farsi corpo e sangue del vivere sociale, “stile di vita”, presidio della ragione entro la quotidianità. Non saprei che farmene di un sapere filosofico che – come l’hegeliana nottola di Minerva – dovesse limitarsi a spiccare il volo a sera, quando ormai tutto è accaduto. Sarebbe un volo triste, consolatorio e, tutto sommato, inutile.

Un presidio – dicevo – ancor più prezioso oggi, in un paese dove (per caso) ci troviamo a vivere, che vede una pericolosa avanzata della barbarie, con il suo convergente premere dal basso (razzismo e xenofobia, violenza, egoismo, cinismo, qualunquismo complice) e dall’alto. C’è una classe politica al potere, e nella fattispecie un governo, che ritengo una pericolosa fucina dei peggiori mostri dell’anti-ragione – gli atti di questi giorni contro le nude vite degli immigrati, con quella intollerabile crudeltà che ne vorrebbe fare dei paria sociali (le ronde, la delazione dei medici, la quotidiana caccia al clandestino); il colpo di mano “biopolitico” contro la libertà e l’autodeterminazione dei corpi e dei soggetti, con quell’uso cinico, per non dire sadico, del corpo sospeso tra la vita e la morte di Eluana Englaro, in tutto il suo significato necrofilo e totalitario; lo svuotamento progressivo dei principi costituzionali – sono, questi, gli atti estremi di un processo autoritario in corso che, con l’aggravarsi della crisi economica provocata dal sistema neoliberista, potrebbe avere uno sbocco neofascista. Se ne vedono già alcuni tratti e ingredienti: l’autoritarismo demagogico, l’ossessione securitaria, un’inedita alleanza (o servitù) teocratico-clericale, l’uso sistematico della paura, una riedizione del nazionalismo populista. Mi paiono questi gli orribili pilastri su cui si vorrebbe edificare la nuova struttura politico-giuridica sulle ceneri della Costituzione repubblicana. Se questo non è neofascismo, gli si trovi pure un altro nome, la sostanza non cambia. E del resto è già accaduto, può accadere di nuovo – e a mio parere sta accadendo.

Questo blog – insieme a molte altre voci libere e critiche della rete – è una goccia che vuole contribuire a costruire una qualche forma di resistenza a questa deriva. Ma non servirà a nulla se non concorrerà, nel contempo e nel suo piccolo, a rifondare un nuovo movimento etico, politico e culturale che dia – in prospettiva – uno sbocco alternativo alla crisi. Ne va della libertà di noi tutti e tutte.

***

Chi poi volesse, in conclusione, giusto per smorzare i toni e rilassarsi, può continuare a leggere qui sotto il resoconto più dettagliato dell’attività della Botte:

I post più letti sono ancora gli stessi:

Eudaimonia (3229 visite)
Acqua principio di tuttecose (2963)
Filosofia con i bambini – Bibliografia (2739)
cui si aggiungono:
La pellicola ontologica (1886)
La morte raccontata ai bambini (1123)
Il terrorista globale (1010)

Le visite quotidiane hanno visto una crescita costante, passando dalla media di 15 agli inizi, a quella di 142 nel gennaio 2008 e di 261 nel gennaio 2009 (351, 4408, 8100 la rispettiva progressione mensile).

Naturalmente il numero di commenti e, soprattutto, il livello qualitativo della discussione, la partecipazione e i contributi al dibattito, sono l’elemento più importante e soddisfacente del blog, la sua linfa vitale – ciò per cui ringrazio in primis tutti coloro che sono intervenuti, senza però dimenticare i lettori silenziosi e i visitatori occasionali.

Concludo infine, come da tradizione, con una cernita delle parole-chiave bizzarre e “fuori luogo” attraverso cui i navigatori raggiungono le pagine del blog (per quanto siano una netta minoranza). Le ho così suddivise:

Mie preferite:
marce funebri da scaricare gratis
aforismi i cazzi propri
frasi piu belle per loculi
chi cazzo è guido landra
ho picchiato mio marito
discorsi filosofici su cibo e figa

Pruriginose:
foto quando torturano i uomini sessuali
se quella bella cosa avesse i denti
13enni fighe rasate foto
malato terminale e sesso
macchinone passere
sognare di fare sesso con androgino
due bambine si leccano
donna altera completamente nuda
nudi seducenti
sono un froscio e piace il cazzo
sesso tra zingari

Inquietanti:
smembrare un essere umano
come ammazzare di botte qualcuno
mani che escono dal nero
qual’è la quantità di tavor che serve
botte ai froci
caccia ai froci
rumeni ai forni

Di tutto un po’:
sono in una zona e prendo sempre botte
filosofia di nice e i giovani
uomo o donna? ermafrodito?
becchi artrosici immagini jpg
re mida srl pulizie
purtroppo non ricordo nient altro
dolci adatti per farli i ragazzi
grandezza auchan rescaldina
botte da donne film
come fare per connettere ares
significato lavar la testa agli asini
quando si prende le botte ai testicoli c
caccia a lanatra
come pulire le serrande
tutti di sinistra i filosofi xkè
il mondo è fottuto
io, sono io modugno
laurato in filosofia fallito
ma un cazzotto nei testicoli + pericolos
come uscire dalla disperazione
il mio cane sembra che qualche volta si
zafferano e fanghi tossici
controllo gli sfinteri
botte nei coglioni
persone ke danno le botte hai bambini
sesso in valle imagna
i migliori blog filosofici
modi indolore per morire nel sonno
milena ho tanta voglia piacenza
la sessualita di un vegetariano
il cavallo a l’ombelico?
dannata epicurea
mutanda yogica
prostitute di timisoara
dare buca ad appuntamento
assistenza caldaie
frasi per non incazzarsi
all’ombra di te..mi cullo
autotrasportatori di car fluff
i testi tropici di levi strauss
spinoza,spiegato ai bambini
scarica gratis rullo di timpani
botte tra tossici
colonialismo bongo bongo
come sopporterei di morire ora
amaro olive taggiasche
neurologo x ronzio in testa
scarpe per il lavoro di pastori
come si fa con tre bambini?
mangio il tonno e mi fa male la pancia
come potrei fare salame da solo
la botte aveva un buco
se ne pa na pipe
busta paga di fiorista prov. di milano
botti per liquami usate
fica che fiacco oggi…la vita si compli
che musica faccio oggi ai bambini?

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

37 pensieri riguardo “2, 253, 3923, 100.000: i numeri, la ragione e la barbarie”

  1. 1. auguri per i due anni
    2. il resto non ho voglia di commentarlo che se no son bestemmie e istigazioni a delinquere
    3. devo andare a rileggermi i tuoi vecchi post
    4. le ricerche migliori sono:
    foto quando torturano i uomini sessuali
    filosofia di nice e i giovani
    tutti di sinistra i filosofi xkè
    il mondo è fottuto
    laurato in filosofia fallito

  2. Carissimo Mario,

    condivido in gran parte ciò che tu dici e vorrei (come sempre) fare un commento fuori dal coro.

    Amo gli altri, ho letto Stirner, due volte lo Zarathustra di Nietzsche, Una teoria sulla giustizia di Rawls, Anarchia Stato e Utopia di Nozick.

    Rispetto a te, in filosofia sono un povero ignorante, volevo solo trasmetterti le mie vaghe coordinate filosofiche.

    Sono un anarchico, e con Nozick non posso che sopportare uno stato minimo, mentre ciò che propone l’attuale governo (ma anche l’opposizione) è esclusivamente l’arroganza del potere.

    Nessuno può decidere della mia vita all’infuori di me e (perchi ci crede) di Dio; né medici, né parenti, nessuno.

    Inorridisco all’idea di far morire di sete una persona che possa ancora avere la capacità di soffrire; questa non è nemmeno eutanasia.

    Se fossimo in un altro Paese, con la P maiuscola, potremmo interrogarci se sia meglio una morte sedata o l’alimentazione; mentre questo stato ipocrita ci fa scegliere fra la sete e l’eterna attesa di una persona che forse vorrebbe morire, ma senza sofferenze.

    Mi scandalizza questa tremenda intrusione del pubblico nel privato, ma fatico a seguire anche il padre di Eluana, comprensibilmente accecato dal dolore.

    Ci vuole più stato per governare il mercato finanziario anarchico (e già rido di me che anarchico mi sono definito) e meno stato tra noi e la morte.

    Essa è la porta tra questa vita ed un’altra dimensione che non conosciamo; perciò, credenti o non credenti, esiste solo il libero arbitrio.Il nostro, non quello altrui.

    Chissà se sono riuscito a spiegarmi.

    Un saluto appassionato da un libertario pieno di contraddizioni.

    Andrea.

  3. Grazie titus!

    @Andrea: concordo in gran parte con quel che dici, si è scatenata l’iradiddio su un corpo che, pietosamente, aveva bisogno di spegnersi in silenzio, lontano dalla mischia.
    So bene che l’eutanasia è un argomento molto complicato, ne ho scritto in più occasioni e sono riuscito almeno in parte a porre qualche paletto (di sicuro né lo stato né i medici – e nel mio caso men che meno dio e la chiesa – devono poter decidere su di me e sul mio corpo). Rimangono molti lati controversi, molte domande (chi può arrogarsi il diritto di decidere che cosa è vita una volta per tutte e quale vita è degna di essere vissuta?). E per chi non è in grado di decidere autonomamente? Rimane poi il fatto che la tecnoscienza, la medicina, l’ospedalizzazione sono entrati invasivamente nelle nostre vite e nei nostri corpi: poiché volete vivere meglio e di più, dovete anche pagare qualche prezzo (che in taluni casi è salatissimo)!
    Ci sono insomma questioni che restano indecidibili.
    Detto questo ritengo che per coloro che, in piena coscienza, se la sentono e intendono lasciare delle disposizioni in merito al compimento della propria vita, debbano esserci delle garanzie che glielo permettano (e dunque una legge); tutti gli altri possono continuare ad affidarsi al caso, alle macchine, a Dio o a chi gli pare, io vorrei decidere, per quel che mi riguarda e per quanto sono in grado di definirlo, quella che considero una vita (la mia, non in astratto, e men che meno per qualcun altro) degna di essere vissuta.
    Non voglio che sia lo Stato etico o i preti o chicchessia a decidere per me.
    Saluti libertari anche a te!

  4. Sono d’accordo in linea di massima sul fatto di assistere a una deriva che però ritengo più di natura culturale che politica; anche se so’ che i due aspetti dovrebbero essere intimamente collegati. Ad esempio rispetto al fenomeno immigratorio effettivamente, come non darti ragione?E certo questo governo sul piano del linguaggio non incarna l’emblema della proccupazione per il diverso, ponendosi l’obbiettivo di tutelare la sicurezza dei cittadini, di rispondere con toni positivi nel senso di legge e regole alla richiesta di sicurezza… ma non è questo che credo interessante; le decisioni governative sono compresse nelle forze della storia; chi deve decidere non può essere anarchico. Il rischio dell’idea anarchica è infatti quello di scivolare in una compiacente e a volte ipocrita essenza di “anima bella”. In fondo i problemi della sinistra nascono credo soprattutto da una sorta di irriducibilità dell’idea alla storia, alla necessità. Insomma alle volte credo che sia migliore un limpido pragmatismo, (ovviamente laddove si preoccupi di approssimare il più possibile al meglio e al bene i vincoli del reale) di una foschia fatta di accenni e etichette piene di orgoglio democratico e di sinistra (subito smentite nei fatti e anche nella cultura). Rispetto al problema di Eluana, che adesso s’è spenta in questa vita( ) la penso differentemente da te, Mario. Anzi il mio pensiero fatica a prendere forma su un problema che ovviamente non può per sua natura essere abbracciato in toto; è per questo che trovo il dibattito pubblico su questa faccenda addirittura straziante; le sintesi delle posizioni come se fosse una guerra tra laci e cattolici le avverto ottuse, asservite all’agone politico, quando la sostanza del problema richiederebbe un approccio completo e privo di posizionamenti ideologici. Io dico: e se fosse che una persona in quello stato stesse bene anche se non può dircelo? (In questo caso sarebbe inaffidabile anche una volontà espressa in tutt’altra condizione…)Non posso eludere questa possibilità che ovviamente non è effetto di una impalcatura  filosofico-religiosa ma di una credo doverosa postulazione di una intangibile sfera intima e misteriosa dell’uomo (in definitiva dell’essere e forse anche dell’esistere), dove le conoscenze scientifiche non possono arrivare (e il biologismo troppo compiaciuto dovrebbe girarsi ogni tanto a guardare dalla parte della filosofia!) E’ sbagliato proiettare solo sulla chiesa o su di un paventato ricorso neofascista simili considerazioni; è il dibattito stesso ad inaridirsene.

  5. Emiliano, il problema è che qui in Italia è impossibile porre limpidamente le questioni etiche e filosofiche: dai bar al parlamento (quasi mai) si ragiona, si riflette, si discute; in genere ci si schiera, si urla, si delira…

  6. Emiliano, finalmente ti si rilegge!

    Anch’io credo non si debba parlare di neofascismo, se non altro perché a forza di gridare al lupo al lupo quando poi arriva davvero nessuno ci crede più.

    Sulla vicenda di questi ultimi giorni, più che ragionamenti sulla vita e sulla morte, mi viene da pensare ad un testo del 1748:
    “Esistono, in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile. […] Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente, potere esecutivo dello Stato. […] Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. […] Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi; quello di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quello di giudicare i delitti o le liti dei privati.”
    E qui risuonano accenti profetici:
    “Nelle repubbliche italiane, ove i tre poteri sono riuniti, la libertà si trova in misura minore che nelle nostre monarchie.”

    Charles-Luis de Secondat , barone di Montesquieu

  7. Salve.
    A ben vedere, il nostro sistema di democrazia parlamentare in realtà è una oligarchia mascherata. Il Parlamento è detentore del potere legislativo, il governo di quello esecutivo e la magistratura di quello giudiziario. E fin qui, tutto normale. Però il nostro governo è espressione di una maggioranza, anzi il leader dello schieramento di maggioranza è anche primo ministro. Perciò di fatto il potere legislativo e quello esecutivo risultano riuniti in una sola persona. Quindi il potere è in mano a pochi (se non addirittura a uno solo).

    Mah…..

    A presto.

    Luciano

  8. Emiliano dice: “se fosse che una persona in quello stato stesse bene anche se non può dircelo? (In questo caso sarebbe inaffidabile anche una volontà espressa in tutt’altra condizione…)Non posso eludere questa possibilità che ovviamente non è effetto di una impalcatura filosofico-religiosa ma di una credo doverosa postulazione di una intangibile sfera intima e misteriosa dell’uomo (in definitiva dell’essere e forse anche dell’esistere), dove le conoscenze scientifiche non possono arrivare (e il biologismo troppo compiaciuto dovrebbe girarsi ogni tanto a guardare dalla parte della filosofia!)”

    Il problema, da un punto di vista oggettivo, riguarda proprio la genesi di quella “forma di vita”: la sua produzione è dovuta all’intervento massiccio della tecnoscienza nei corpi e negli individui. Sostengo da tempo che non esistano forme di vita “naturali”, se per questo si intende qualche cosa di definitivo, immutabile, intangibile (si veda l'”essenzialismo” a proposito del concetto di natura umana), e dunque, conseguentemente non ritengo possa esistere un pacifico decorso “naturale” della vita e della morte secondo quel modo astratto di intenderle. Tuttavia è proprio della vita darsi una forma, un confine, una “individualità”: ecco, “darselo”, non che gli venga imposto da qualunque agenzia metafisica o ideologia posticcia cui salti in mente di farlo.
    E qui veniamo al lato “soggettivo” della questione: la “mia” forma di vita – che è mia non perché io ne sia signore e padrone assoluto, ma perché la modalità con cui la nostra specie (e la nostra cultura, entrambe storicamente determinate) ha costituito l’individualità è quella di un corpo, di un soggetto che si autodetermina in relazione ad altri corpi che fanno altrettanto, e nessun potere può in linea di principio spezzare questa modalità autonoma ed assumere su di sé oneri che spettano soltanto ed esclusivamente a ciascuna “forma di vita”. Non lo può fare né in nome di principi o idee (che non si capisce perché debbano essere migliori di quelle dei soggetti), né in nome delle relazioni inter-individuali (la responsabilità sociale, ecc.), perché queste sono relazioni che per loro natura devono essere regolate liberamente e orizzontalmente.
    Detto questo, il problema si pone in termini di “consapevolezza” e “coscienza”: ciascuna forma di vita deve potersi autodeterminare proprio in quanto ha di sé consapevolezza, senza delegare alcunché ad enti esterni. Un grado minore di consapevolezza, di sapere, è un grado minore di “potere” (che è ciò che fa aumentare spropositatamente i poteri esterni, fino a farli diventare un “biopotere” che si arroga il diritto assoluto di decidere che cosa è vita, che cosa è bene per i sudditi, ecc.).
    Resta aperta la questione della indecidibilità su individui che non possono farlo: ma perché deve essere lo stato o la chiesa a decidere sull’indecidibile?
    L’espressione di una volontà (che per sua natura si modifica nel tempo) è una parziale risposta, ma è già qualcosa.
    Per ora mi fermo qui, la mia riflessione su questi temi è in corso e magari vi tornerò presto in maniera più organica e meno approssimativa.

  9. Ares -_-

    Me lo sento, si giungerà a un testamento biologico fotocopia: con due caselline sulle quali porre una crocetta sul SI o sul NO… gran bella conquista!

  10. Ares, perché vuoi ridurre la questione in questi termini? Il testamento biologico – che tanto in Italia non ci sarà finché comanderà il Vaticano – è solo uno strumento, un mezzo, mentre le forme di vita sono un fine in se stesso. Il problema è che il biopotere le vuole ridurre a strumenti. Dire qualcosa su di sé – autodefinirsi, per quanto provvisoriamente e in maniera riduttiva come può essere quello di una scrittura – è una forma di autodifesa da quegli enti esterni che vogliono arrogarsi il diritto di dire e definire.
    D’altra parte preferisco “definirmi”, anche in due parole e con una crocetta, che essere “definito” da altri…

  11. Vorrei tornare anch’io su quanto scritto da Emiliano, e proprio sulla parte citata da md.

    Emiliano dice che non si può escludere che una persona nella condizione di Eluana “stesse bene”.
    Io non credo. “Stato vegetativo” – per giunta “permanente” – significa una condizione che esclude la funzione percettivo-sensoriale (l’aristotelica “anima sensitiva”, diversa da quella “vegetativa”). Senza tale funzione non vedo che significato abbia “stare bene” o “benessere”, se non c’è percezione.
    Ma questa appunto è questione filosofica e credo sia più che lecita ogni opinione al riguardo, e che nulla vada escluso almeno sul piano della mera possibilità, nemmeno il miracolo, nemmeno la resurrezione, per chi ci crede.
    Ammettiamo allora che quella possibilità esiste, e che quindi c’è un rischio – minimo quanto si vuole, ma c’è – che privando una persona nello stato di Eluana della nutrizione artificiale la si privi di uno stato di benessere.
    E ora veniamo al punto vero: chi deve assumersi tale rischio? E quindi tale responsabilità? Ovvero: a chi spetta decidere?
    E qui si vede qual è la posizione autenticamente “statalista” (e proprio nel senso dello Stato etico, che sceglie per me in cosa credere, se credere o no nel miracolo e finanche nella resurrezione), al di là delle farneticazioni indecenti del presidente del consiglio, e quale quella autenticamente liberale, cioè rispettosa della volontà dell’individuo – della persona se si preferisce – in merito alla propria vita, anche in merito ad un rischio eventuale futuro.
    Così come ogni scelta che si compie quotidianamente è gravida di rischi, di conseguenze che non possiamo prevedere. E’ un motivo sufficiente per non assumercene la responsabilità e per delegarla ad uno Stato paternalista?

  12. Ares -_-

    Guarda che ti capisco nè, l’unica cosa e’ che a me questo non basta, e’ una battaglia persa comunque,dove comunque si e’ vittime, quando ho crocettato NO.. ho comunque fatto il gioco del potere, che questa volta riuscira’ anche a far quadrare il bilancio.

  13. Ares -_-

    Il testamento biologico fotocopia, non lo accettero’ mai, neanche in forma provvisoria, perche’ sarebbe il colpo di grazia definitivo alla liberta’ di chi e’ disposto a vivere fino all’ultimo respiro l’esperienza della vita, perche’ darebbe l’ultimo colpo di grazia ad un assistenza gia’ inesistente e demandata ai familiari, invece l’assistenza cosi’ come la cura devono essere, oltre che personalizzate, a carico della collettività.

    Sia chiaro che per me si potrà decidere di rifiutare, sia le cure che l’assistenza, sia il cibo che l’acqua che l’aria, o potranno deciderlo per te i tuoi cari.. e questo non dovrà essere ostacolato in alcun modo… ma l’assistenza e la cura devranno essere l’assunto primario, che sarà possibile semmai rifiutare.

    Siccome ad oggi l’assistenza e la cura non e’ ne’ personalizzata ne’ rispettosa della dignità umana, proporre un testamento biologico “fotocopia” consoliderebbe l’approccio odierno all’assitenza, per nulla rispettoso della ignità umana.

    Se contestualmente al testamento biologico non si affermano i diritti di chi decide di proseguire il viaggio, con il testamento biologico proposto mi ci pulisco il …bip!

    Poi per me rimane apertissima la questione su chi poi esegue l’atto eutanasico… l’esecutore.. il dilemma mi annienta i 4 neuroni che ancora viaggiano in collisione accidentale nella mia testa, chi dovrà compiere la profanazione finale al mio corpo.

  14. @Ares:
    1. Io il mio me lo sono scritto da me (per quanto potrà valere: conto di più sulla fiducia delle persone cui l’ho affidato)
    2. Parli di “profanazione” del corpo: non è detto che la “cura” oggi non diventi una forma estrema di profanazione…

  15. Salve.
    Io continuo ad essere convinto che debba essere l’individuo a richiedere l’eventuale assistenza. Lo stato è l’insieme dei cittadini non un nemico contro cui combattere. Giustamente si dice che deve essere l’individuo a decidere. Perfetto. Allora dichiari di voler assumere cure mediche in caso di malattia. Altrimenti non sarà curato e quindi morirà se il suo corpo non sarà in grado di superare la crisi. In questo modo l’autodeterminazione sarà completa.

    A presto.

    Luciano

  16. Ares -_-

    @md
    1) ok.. speriamo che il testamento sia veramente libero e non vincolato a un SI o un NO, cosi’ come non dovrebbe essere appellabile il tuo, spero che non sia apellabile neanche il mio.

    2)bè md ..io parlavo della profanazione delle profanazioni..

    @Luciano
    Io preferirei che l’assistenza e la cura siano assunte come diritto assoluto e si scelga eventualmente di non avvalersne, giusto perche’ assuma anche una valenza simbolica.

    E’ questione di simbologie, la cura e

  17. Per Emiliano.

    Un’ultima considerazione (per ora) su quanto hai scritto su Eluana, che evidentemente ha suscitato profonde riflessioni.

    Tu dici: “e se fosse che una persona in quello stato stesse bene anche se non può dircelo? (In questo caso sarebbe inaffidabile anche una volontà espressa in tutt’altra condizione…)Non posso eludere questa possibilità…”.

    Rovesciamo la questione: e se fosse che una persona in quello stato soffrisse atrocemente anche se non può dircelo?
    E’ una possibilità che, sulla base della stessa logica, non possiamo eludere, e che, per coerenza, renderebbe “inaffidabile” qualsiasi pretesa di imporre a priori l’alimentazione forzata.

  18. Il vero “caso Englaro” non è la vigenda giudiziaria di quella povera donna e di suo padre, quanto lo scandaloso utilizzo che i media (e il nostro governo) hanno fatto delle sofferenze di quella poveraccia.
    La sua vicenda personale è stata biecamente utilizzata per riempire testate giornalistiche che attirassero i lettori.
    I politicanti (e il nostro governo il primis) hanno subito colto la palla al balzo, approfittandone per riempirsi la bocca di moralismi e pubblicità, critiche ormai consuete alla magistratura “assassina” e quant’altro.

    @Andrea

    Dal nostro ordinamento, traspare chiaramente il principio di indisponibilità della propria vita (si pensi ai reati di omicidio del consenziente e aiuto al suicidio).
    Stando quindi ad un’interpretazione sistematica del diritto vigente in Italia ad oggi, bisognerebbe dedurre che non si possa rinunciare alle cure nemmeno con un documento olografo.
    …Tantomeno possono decidere della nostra vita i nostri parenti (Non sia mai!)

    Ora, io spero che il principio sopra enunciato possa essere cambiato presto, per concedere la possibilità di redigere un cosiddetto “testamento biologico”, ma fino ad allora, l’unico nostro appello lo possiamo rivolgere all’articolo 32 cost, che recita:
    “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

    Ma a me pare che il problema vero, il cuore della questione, non sia se si possa scegliere o meno di terminare una vita di sofferenze, quanto piuttosto di stabilire quale sia il limite tra ciò che è considerato “vita” e cio che non lo è.

    Se, come io credo sia giusto, la vita si estende fino a dove c’è attivita cerebrale di coscienza ed autocoscienza, allora è giusto tutelarla nonostante il corpo sia immobile o inutilizzabile o soferente (cercando naturalmente di alleviare quanto più possibile i dolori del malato).
    Ciò permetterebbe di “staccare la spina” (/l’alimentazione) solo a quei corpi pieni unicamente di vita organica e non cerebrale autocosciente.

    [Ps: Complimenti per il blog, ed a tutti i commentatori per la serietà delle risposte.]

  19. @JackP: grazie! Molto interessanti le tue considerazioni che in gran parte condivido, anche se credo di avere qualche dubbio sui “dintorni” di ciò che definiamo coscienza: che fare con coscienze intermittenti, oppure molto deboli (nel caso di lesioni cerebrali) o per le quali non siamo certi dell’irreversibilità?
    Seguirò senz’altro con attenzione il tuo progetto di ricerca sul “mediativismo etico”…

  20. Salve.
    In effetti il tema è proprio quello cui accennava JackP, correlato alla diatriba se consideriamo più importante la vita in quanto tale o la persona, E’, credo, lo stesso tema etico che si propone per l’aborto, diritti dell’embrione e così via.

    A presto.

    Luciano

  21. @md
    In effetti, quando il confine tra vita e non può essere realmente labile (nei casi da te citati di intermittenza o attività cerebrale debole ad esempio), però un confine bisogna fissarlo.

    Sono situazioni in cui l’incertezza (anche l’incertezza normativa intendo) non è mai positiva.
    La soluzione legislativa può essere liberale o meno, ma almeno che sia chiara! Il confine tra vita e morte penso possa spettare ai medici di stabilirlo, ai neurologi ed agli esperti di settore.

    Purtroppo, quando la medicina incontra allo stesso tempo sia l’etica che la legislazione, diventa quasi impossibile trovare soluzioni che vadano bene a tuti.
    [Anche per trovare risposte a questi problemi sto elaborando la teoria del Mediativismo Etico]

    Mi pare che la soluzione completamente liberale non possa essere assecondata completamente, perchè comporta il rischio di devalorizzazione della vita e della morte. Inoltre, si rischia di sminuire la lotta contro il dolore, favorendo l’arrendersi ad esso anzichè il combatterlo con tutte le proprie forze.

    Buona discussione.
    JackP 😉

  22. Cari Andrea e md, vi ringrazio per l’attenzione rivolta a quello che ho scritto; mi date il la per riprendere il discorso e magari approfondirlo. Ribadisco il concetto che sento di voler accostarmi a una materia che toccando gli estremi dell’oggetto di una speculazione, la vita e la morte; tirando in ballo scienza, filosofia, religione, diritto; infine mostrando in tutta questa serie di approcci analitici una refrattarietà, un suo energico sfuggire a ogni tentativo di approccio; avendo l’argomento queste caratteristiche scivolose si presta a mriadi di punti di vista, sfumature; infine molteplici emozioni. Però credo che il modo migliore per accostarsi a tale realtà, a questo suo angolo paradossale e forse metaforico e indicativo dei tempi che viviamo, sia quello di semplificare; innanzitutto evitando di stabilire un doppio paesaggio ideologico, da un lato quello laico, dall’altro quello della chiesa. Comincerei a esortare nel ragionare su questi temi a una libertà assoluta, proprio nel senso di “sciolta da” qualsiasi riferimento culturale, non ovviamente prescindendone, ma attuandone una sorta di osmosi anarchica (qui si che possiamo esserlo anarchici, almeno nel pensare!) in cui tutto il bagaglio culturale (anche quello della Chiesa!) possa essere preso seriamente in considerazione; rinunciando alla necessità politica e identitaria di giocare ai quattro cantoni, di posizionarsi, di schierarsi. Dico questo perché non credo che le posizioni della Chiesa riguardo al problema di cui discutiamo siano semplicemente e riduttivamente “bigotte”. Io non credo di dover ricordare a vol l’attività intellettuale di molti rpensatori della Chiesa nel corso della sua storia. Categorie come L’amore, la pietà, il sacro come asserzione immanente dell’inconfutabile inestimabilità del valore della vita umana sono tutti aspetti che hanno facilmente accomunato la cultura ecclesiale con quella classica; il cristianesimo ha illuminato tutto con luce rivoluzionaria ma forti bagliori già esistevano.

    Non credo sia importante stabilire se quella persona stesse bene o no; devo dire che mi suona come un vuoto esercizio di stile; la realtà è che quella persona stà, è. Il fatto che il suo corpo quel cibo e quell’acqua li assuma, li accetti, li trasformi in sua energia vitale non è un dettaglio.

    Anche gli antibiotici o mille altre cose prodotte dalla scienza decidono della vita anziché della morte scritta nella natura pre-terapizzata.

    Il rischio della cultura attuale è che, rigonfia com’è di strade concettuali, sfumature filosofico-giuridiche etc. perda di vista l’essenziale; l’amore, la compassione che si deve ai deboli, ai diversi, anche a quelli che uno da fuori dice “che senso può avere questa vita?”.

    Il rischio è che questa sia una società che mettendo la maschera libertaria della laicità, in realtà opera l’eliminazione del debole, del diverso (e lo si vede nella sempre più indiscussa selezione pre-natale in nome della scienza e della salute; che secondo me è una aberrazione). La medicina più accorta ha sostituito il termine “stato vegetativo permanente” con quello di stato vegetativo persistente”, proprio perché il cervello dal punto di vista organico(non solo ovviamente filosofico) non può prestarsi a descrizioni definitive e superficiali.
    Un saluto!

  23. Meno male che ci sei tu Emiliano, a portare un punto di vista diverso, altrimenti continueremmo a cantarcela e suonarcela tra di noi laici incalliti.
    E credo che come diceva Kant per l’illuminismo, il progresso della conoscenza possa aversi proprio nell'”uso pubblico della ragione” dato dal confronto, in un “luogo pubblico” come questo blog, di posizioni differenti.

    Dunque, cominciamo dal rilievo sui ragionamenti intorno allo stato di benessere (o malessere) di Eluana che consideri vuoto esercizio di stile. Veramente tu per primo avevi addotto l’argomento del possibile benessere in una tale condizione come sostegno alla tua tesi. Ti ho semplicemente seguito su una strada da te imboccata. Non sarà mica che il ragionamento vale solo in un senso e non nell’altro? (scherzo)

    Trovo sacrosanta la difesa dei deboli da ogni prevaricazione (d’altronde chi non lo farebbe?). E ritengo che la violenza più grande che si possa fare a chi è già offeso nel corpo sia quella di essere privato della sua dignità, che consiste nella libertà di autodeterminarsi, nella facoltà di decidere per sé, talvolta l’unica cosa che rimane, e la più importante. Penso a Welby e a chi voleva privarlo della libertà di accettare o meno le cure, togliendogli, dopo tutto il resto, anche la capacità di intendere e di volere.

    Concordo in toto nel ritenere compassione e pietà valori universali, pienamente umani. Compassione e pietà che la Chiesa non ha concesso a Welby neanche da morto, negandogli il funerale religioso (ricordi la ballata del Michè di De André? “Domani alle tre nella fossa comune sarà
    senza il prete e la messa perché d’un suicida non hanno pietà”).

    La Chiesa ha prodotto grandi pensatori certo, ma il suo contributo al pensiero si è arrestato alla fine del Medio Evo e alle soglie dell’età moderna. Dopodiché i pensatori, soprattutto se liberi, ha preferito metterli all’Indice (sinché ha potuto).
    Questa è storia come sai e non sterile polemica o gioco dei quattro cantoni.

    I valori della cultura classica e di quella “ecclesiale” sono gli stessi? Di certo greci e romani non veneravano il feticcio della mera vita biologica, del vivere purchessia. Lo testimonia la bella citazione di Seneca che md ha messo nella homepage del blog (“l’importante non è vivere, ma vivere bene”), la quale riecheggia la scelta di Socrate al processo, su cui tanto ci siamo spesi in un’altra stanza: ad una vita senza dialogo e in esilio egli preferisce la morte.

  24. Alle argomentazioni addotte da Andrea, che condivido pienamente, ne vorrei aggiungere di sfuggita un’altra su cui è bene ragionare: la scienza, o meglio la tecnoscienza, che decide per la vita come osserva Emiliano, è anche ciò che profila nuove forme di vita che definirei ibride e che non possono non porci delle domande. La specie umana è morta per millenni più o meno naturalmente (la medicina non ha mai oltrepassato determinate soglie della dialettica vita/morte fino a qualche decennio fa), ma ora il sapere medico massicciamente tecnicizzato può tranquillamente integrare un corpo e una macchina, e farlo vivere per un tempo indeterminato, probabilmente ben al di là del limite fisiologico. Il problema si pone sia che il corpo non abbia quella che definiamo “coscienza” sia che ce l’abbia (il caso giustamente citato di Welby).

  25. Effettivamente il mio, Andrea, è stato un risveglio da una momentanea pennichella della ragione (a proposito del benessere o del malessere…). Mi sono reso conto io stesso di essere incappato in un paradosso in cui ho trascinato anche te; difatti ammetterai che una vita vale la pena di essere curata e assistita a prescindere dal suo stato, anzi quanto più ella versa in condizioni negative tanto più necessità di essere aiutata. Chi stabilisce da fuori la dignità di una vita? In ogni caso mi sembra che la linea netta che la Chiesa marca su questi argomenti debba avere un senso anche per laici incalliti. Forse ce l’ha nel momento in cui è capace (la Chesa) di assorbire su di sé tutte le proiezioni sacraliste, tutti gli incubi sull’ignoto dell’essere, sulla nostra misteriosa provenienza ed essenza ( che nonostante le meravigliose aperture concettual-biologiche dell’evoluzionismo moderno ancora racchiude un quid insondabile). Un muro su cui scagliare oggetti di cui ci si vuole sbarazzare; un rito di esorcismo.

    Vogliamo una società bella e progressista in cui tutti sono sani o una comunità in cui il malato non viene eliminato, anche se grave (una prsona viva, anche se in coma, capace di sentire le carezze, di rispondere a degli stimoli affettuosi;di fare progressi nelle sue capacità neurologiche proprio in risposta agli stimoli più elettivi, significativi, prodotti dalle persone empaticamente vicine). Io vedo una china pericolosa nel caso Englaro pur in fondo non biasimando il padre, nel senso che lui ha agito in nome di un intimo dialogo effettuato con la figlia che fù, quella viva; quella dello stato vegetativo persistente era diversa in quanto immersa in un’altra dimensione, completamente altra. E’ qui il punto; in questa diversità misteriosa io credo che il principio più prudente sarebbe stato quello della cura, della ricerca, dell’amore. Vogliamo liquidare le cure di quelle suore solo come gesti vuoti in nome di un credo e di una ideologia? Io non lo farei.
    Non mi stupirei si fra qualche anno si possa arrivare a stabilire che la vita di un disabile è infelice per lui e per gli altri e così lasciare la libertà a qualcuno di…sempre in nome della salute, dell’autodeterminazione, della libertà…

    Colgo in questa faccenda uno strano paradosso: chi si schierava per il laicismo contro la Chiesa asseriva di liberare quella persona, riferendosi almeno tacitamente o inconsciamente all’idea della libertà, se non direttamente all’anima; comunque sempre a una sfera ideale; chi si schierava con la Chiesa riconduceva l’attenzione alla persona fisica, al suo corpo immanente. Non vi pare un bel paradosso, che in quanto tale è pure metaforico, imprigionante nella sua apparente contraddizione la profonda verità che siamo tutti nella stessa barca, sospesi fra cielo e terra?

  26. emiliano dice: “[…] Colgo in questa faccenda uno strano paradosso: chi si schierava per il laicismo contro la Chiesa asseriva di liberare quella persona, riferendosi almeno tacitamente o inconsciamente all’idea della libertà, se non direttamente all’anima; comunque sempre a una sfera ideale; chi si schierava con la Chiesa riconduceva l’attenzione alla persona fisica, al suo corpo immanente. Non vi pare un bel paradosso […]”

    La Chiesa, mi pare, associa la vita fisica del soggetto con la permanenza in lui dell’anima; un uomo, finché vive in lui l’anima, ha uno scopo nel mondo, anche se paralizzato, sofferente o comatoso.
    Il problema che quasi tutti i laici hanno nel capire il suo punto di vista, è che esso stravolge completamente la visione del mondo “normale”.
    Il messaggio Cristiano mette in primo piano la Vita umana, come valore asoluto e incomparabile con ogni altra cosa. Il dolore non è visto dalla Chiesa come un fatto in grado di intaccare il valore della vita in sè.
    In più, il Cristianesimo sostiene che la vita non sia proprietà di chi la vive, ma un dono dell’amore di Dio della quale quindi non si può disporre liberamente.

    I grosso problema dell’incomprensione tra Chiesa e moldo laico è a mio avviso insanabile, è come voler far incontrare due rette parallele. Partendo da due punti di vista completamente differenti (se non opposti), la Chiesa non potrà mai accettare il pensiero laico e viceversa.

    La questione però, è stabilire se ha senso che lo Stato, nel suo legiferare, segua le indicazioni di madre Chiesa o i valori laico-liberali.
    Il punto di vista della Chiesa non può essere liquidato con una scrollata di spalle, se non altro almeno perché è radicato nella cultura e nelle credenze di molti Italiani.
    Allo stesso tempo però, lo Stato deve valutare l’evoluzione sociale e culturale che porta nuove idee, differenti da quelle ecclesiali.

    Forse, una mediazione tra i due punti di vista sarebbe auspicabile, anche se realmente difficile da realizzare nel concreto.

    JackP

  27. Per Emiliano.
    Tu scrivi:
    “Chi stabilisce da fuori la dignità di una vita?”
    E poi:
    “Non mi stupirei si fra qualche anno si possa arrivare a stabilire che la vita di un disabile è infelice per lui e per gli altri e così lasciare la libertà a qualcuno di…sempre in nome della salute, dell’autodeterminazione, della libertà…”

    Facciamo un po’ d’ordine:
    1. Autodeterminazione significa possibilità da parte del soggetto stesso di decidere della propria vita. Dedurre da questo concetto gli scenari apocalittici che paventi, ossia che qualcuno decida della vita (e della morte) altrui – cioè l’esatto contrario dell’autodeterminazione – mi pare un salto mortale logico.
    2. Autodeterminazione significa che solo il soggetto, in prima persona, può decidere se la sua vita – e sottolineo la sua – è degna o no di essere vissuta. Voler stabilire “da fuori” tale dignità è proprio della posizione di chi vuole prescindere dalla volontà del soggetto stesso.

    PS L’ultima persona ad aver bisogno di essere catechizzata sul rispetto che si deve ai disabili è chi conosce bene quella condizione, magari per averne uno (o più) in famiglia.

  28. Salve.
    Gli spunti degli ultimi due interventi sono interessanti.
    Partiamo dal primo:”La questione però, è stabilire se ha senso che lo Stato, nel suo legiferare, segua le indicazioni di madre Chiesa o i valori laico-liberali.
    Il punto di vista della Chiesa non può essere liquidato con una scrollata di spalle, se non altro almeno perché è radicato nella cultura e nelle credenze di molti Italiani.
    Allo stesso tempo però, lo Stato deve valutare l’evoluzione sociale e culturale che porta nuove idee, differenti da quelle ecclesiali.”

    La risposta potrebbe essere un secco no, ma in realtà è ben più articolata. Lo Stato è l’insieme dei cittadini e la Chiesa, come significato vero, è l’insieme dei cristiani (o dei cattolici se preferite). Ora i due insiemi non coincidono e lo Stato deve legiferare in modo oggettivo, cioé che valga per tutti. D’altronde la Chiesa, intesa come Vaticano, non porta in Parlamento delle leggi già scritte dal Papa o chi per lui con l’indicazione, anzi l’obbligo, di approvarle. Il Papa dice ciò che un cristiano deve fare per essere a pieno titolo nella comunità dei cristiani. Ciascuno è libero poi di accettare o no quelle indicazioni. Abbiamo il libero arbitrio. Essere laici non è qualcosa che gli altri ci riconoscono ma un nostro modo di essere.

    E ora veniamo alla seconda:”Autodeterminazione significa che solo il soggetto, in prima persona, può decidere se la sua vita – e sottolineo la sua – è degna o no di essere vissuta. Voler stabilire “da fuori” tale dignità è proprio della posizione di chi vuole prescindere dalla volontà del soggetto stesso.”

    Io credo che i termini del problema andrebbero spostati dal dare l’assenso a staccare dai macchinari a dare l’assenso ad attaccarmi a quelle stesse macchine. Ovvero, in caso di pericolo di vita l’indicazione è quella di lasciar andare il paziente a meno che questo non abbia espresso esplicita indicazione di voler sopravvivere ad ogni costo. Da fuori o da dentro come dici Andrea, è un problema che a ben vedere può (non in tutti i casi) diventare secondario. Il problema vero è che una decisione del soggetto poi ricade su terzi. Tu decidi che la tua vita non è degna di essere vissuta, poi però tocca a me agire. E interrompere una vita, anche se tu sei consenziente, non si discosta dall’uccidere o almeno può non discostarsi così tanto da tacitare la mia coscienza e farmi dire “beh, me lo ha detto lui”. Alla fine la responsabilità delle mie azioni ricade sempre su di me. Poi purtroppo che una vita sia degna o meno non è definibile in modo assoluto. Ad esmpio, si è detto che la vita di Eluana non era degna perché priva dell’attività cognitiva. Allora diamo come definizione di dignità della vita questa:una vita non è degna di essere vissuta se priva di attività cognitiva. Però Welby era perfettamente lucido e così Luca Coscioni. Era degna la loro vita? Secondo il criterio che abbiamo enunciato prima sì. Allora diciamo che una vita in cui non puoi controllare il tuo corpo se non con un ausilio artificiale non è degna di essere vissuta. Ma guarda che questa è veramente una china pericolosa perché qualcuno potrebbe decidere che in effetti dato che chi sta in carrozzina sarebbe costretto a strisciare invece di camminare se gliela togliessimo che quella non è una vita degna e quindi sacrificabile. Mi vengono i brividi. Scenari apocalittici a parte, credo che nella decisione di preservare la vita anche in condizioni estreme ci sia una volontà solidaristica che spinge il medico (al di là del giuramento di Ippocrate) ad aiutare chi soffre. Certo questa volontà deve saper coniugarsi con la pietà di non prolungare soltanto la sofferenza e non la vita. Non è una decisione facile. Non invidio quei medici che si trovano di fronte a questo dilemma. Forse sarebbe il caso che la società civile facesse quanto può per aiutare anche loro.

    A presto.

    Luciano

  29. In effetti il problema non risolto (e forse non risolvibile) è quello della definizione di “vita” e, soprattutto, di “vita degna di essere vissuta”. Non è decidibile una volta per tutte, non è decidibile allo stesso modo per tutti i soggetti, non lo deve decidere lo stato (sarebbe pericolosissimo, appunto), ma anche i soggetti (medici, familiari, ecc.) si trovano costretti a prendere decisioni che forse non dovrebbero prendere.
    Io stesso, che oggi sono del tutto convinto della definizione razionalissima di Seneca, potrei trovarmi ad avere seri dubbi di fronte a certi casi estremi – riguardino me od altri.

  30. Ares ^__^

    Secondo me un medico non dovrebbe poter terminare la vita, o non vita, di nessuno, troviamo una nuova figura professionale.. la quale dovrebbe essere accettata e collocata nella società…. mammamia.. mi vengono i brividi…

    … avere un vicino di casa che fa quel lavoro..

    .. certo e’ che il testamento biologico permetterebbe allo stato di far quadrare i conti, qiando si parla di assistenza al morente… e be’!!

  31. Per Andrea. A decidere di Eluana mi pare sia stata una volontà “ricostruita” dall’esterno…

    PS: non c’è nelle mie parole nessuna critica “personale”

  32. né tanto meno desideri “catechizzanti”; cerco solo di parlare liberamente e attraverso il dialogo di approfondire e di arricchirmi; non voglio mettere nessun grado antropologico né al mio né all’altrui pensiero. Chiaro?

  33. Per JackP. E’ effettivamente difficile un dialogo tra questi due approcci culturali che si distanziano per definizione; però ugualmente giusto auspicarlo. In fondo anche le due rette parallele non coincidendo se non all”infinito, pur sempre sono costrette una di frontre all’altra a confrontarsi costantemente.

    La metafora delle rette che si incontrano all’infinito a proposito di questo discorso è molto suggestiva e fertile; sarebbe da approfondire…

  34. Salve.
    A dire la verità il punto di vista laico e quello del cristiano hanno parecchi punti in comune.ad esempio la difesa dei più deboli, la solidarietà. Anzi, è proprio dal cristianesimo che il pensiero laico moderno trae origine. Ecco che cosa dice Asor Rosa in una sua intervita:

    Domanda:
    A proposito di questa consapevolezza di Dante, in un suo intervento su la Repubblica del gennaio 1999, La Chiesa trionfante senza umiltà cristiana, lei osservava come «il cristianesimo» ci ha parlato «della finitezza dell’uomo e della sua precarietà prima (e forse meglio) del pensiero laico moderno». In quell’articolo lei criticava l’immagine trionfante che oggi dà di sé la Chiesa, che, come una cittadella delle granitiche certezze, con il suo atteggiamento non umile impedisce ogni «possibile punto di convergenza» con i non credenti. Una Chiesa, insomma, che non parla più «della finitezza dell’uomo e della sua precarietà»

    Risposta ASOR ROSA:
    Il pensiero cristiano è all’origine del pensiero laico moderno: quest’ultimo è una filiazione del pensiero cristiano, pur avendo rapporti forti anche con il pensiero classico. A un certo punto produce anche abiure. E questo fa parte della storia e della cultura europee. Il punto della riflessione è esattamente il seguente: in che misura il pensiero cristiano influenza, condiziona la genesi del pensiero laico? Se una connotazione del pensiero laico è la consapevolezza della limitatezza dell’uomo, penso che all’origine di questa visione critica nel mondo, tipica del pensiero laico, ci sia il senso cristiano della finitezza umana, dei limiti dell’operare e del conoscere umani. In questo senso a me pare che all’origine del pensiero laico moderno più che l’inarrivabile filosofia e l’inattingibile eredità dei classici ci sia, per intenderci molto sinteticamente, un pensatore come Agostino, che poi recupera anche tutto il pensiero classico, recupera Platone, recupera Socrate, recupera questa storia, diciamo così, “secolare”. D’altra parte, questa capacità inimitabile di abbracciare e comprendere tutto l’umano trova un ostacolo insormontabile in tutti quei momenti o in tutte quelle manifestazioni ecclesiali in cui l’elemento prioritario – che dovrebbe essere la consapevolezza della finitezza dell’uomo, del suo conoscere e del suo operare – viene sostituito da una visione trionfalistica della presenza dei cristiani nel mondo. Io, molto umilmente, mi sono “azzardato” a dire che questo è un momento in cui nella storia della Chiesa di Roma l’elemento trionfalistico prevale sull’umiltà del riconoscimento della precarietà dell’umano in tutte le sue espressioni.

    A presto.

    Luciano

  35. Luciano scrive:
    “A dire la verità il punto di vista laico e quello del cristiano hanno parecchi punti in comune.ad esempio la difesa dei più deboli, la solidarietà. Anzi, è proprio dal cristianesimo che il pensiero laico moderno trae origine.”

    Si, certamente il punto di vista cristiano è profondamente radicato nella cultura di tutti (anche dei “laici”), come mi sono permesso di ricordare io stesso nel precedente commento.

    Nonostante le affinità, la differenza rimane cruciale. L’ateo non riconosce un’autorità sopra di sè e sopra l’uomo in generale, il cristiano invece riconosce l’autorità di Dio.
    Il laico parte dalla concezione di libertà per arrivare all’autodeterminazione; il cristiano parte dalla libertà nei confronti degli uomoni, ma nella “sottomissione” a Dio (anche se non è un termine felice).

    Io, che personalmente mi ritengo laico, spesso mi sforzo di capire il punto di vista cristiano e, a mio avviso, lo si può fare solamente stravolgendo la propria concezione di libertà e vita.
    Pensiero laico e crisitano possono concordare su alcuni valori, arriano cioè talvolta alle stesse conclusioni, ma partendo da basi veramente distanti.

    Tornando al tema principale, il caso Englaro, è opportuno ricordare metaforicamente che il pensiero cristiano condanna Giuda perchè, lasciandosi prendere dalla disperazione, si è suicidato invece che continuare a vivere anche se nel dolore.
    Metafora per dire: secondo la Chiesa, non c’è alcuna giustificazione al suicidio (o all’aiuto al suicidio).

    Penso che l’unico modo per far felici sia i liberali che i cristiani sia stabilire con quanta più precisione possibile il confine tra vita e morte; in questo caso i problemi svanirebbero: vivo=cura / morto=non-cura.
    Ecco l’incontro all’infinito delle due rette tanto auspicato da emiliano; la morte certa è la “fine” delle rete e il loro punto di incontro.

    …E qui si torna alla problematizzazione di svariati post fa…

    JackP 😉

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