Andrebbe aggiunto al titolo: e sottolineo quell’ero, anche se periodicamente mi vengono dei dubbi proprio sul tempo imperfetto. Per una certa fase della mia vita, anche se breve, lo sono stato, certo, e anche in maniera profonda e convinta. Ho bazzicato chiese e raduni, condividendo linguaggi, fedi, convinzioni, speranze. Poi, nell’ultimo quarto di secolo, ho proceduto ad una inesorabile scristianizzazione della mia vita, quasi si trattasse di estirpare erbacce o di eliminare tossine dal mio corpo. Prima ero cristiano, cioè superstizioso, poi sono cresciuto e ho cominciato a ragionare con la mia testa.
Rimane il fatto che non si può uscire dalla propria epoca – è ancora Hegel ad illuminarci con le sue puntuali metafore – più di quanto non si possa cambiar pelle… Come dire: le strutture profonde, e spesso inconsce, della cultura, del linguaggio, del Dasein, ci inchiodano ad un modo di essere del quale non si può disporre a piacimento. Volenti o nolenti, qualcosa di quel complesso che definiamo “tradizione” si è depositato per sempre nelle nostre testoline, e, per quanto noi la rifiutiamo, espungiamo e vomitiamo fuori, un po’ di scorie e di residui restano depositati da qualche parte. E anzi questi “resti” del passato si intrecciano talvolta così inestricabilmente coi nostri vissuti, che non è più possibile reciderli o scrostarli del tutto. In definitiva: non sarei quel che sono senza quella parentesi cristiana. Non dico che sarei migliore, o peggiore; sarei solo diverso.
D’altro canto, non trovo più nemmeno così disdicevole o scandaloso che alcuni elementi del cristianesimo (che è parte importante, anche se non esclusiva, del patrimonio culturale dell’Occidente, e quindi dell’umanesimo planetario) siano entrati a far parte del mio Dna. Ha ragione Lukàcs quando critica Nietzsche (che pure sento vicino per varie questioni) a proposito del suo militante anti-cristianesimo: c’è lì anche, se non soprattutto, una buona dose di anti-socialismo e una profonda avversione per il concetto di uguaglianza.
Viceversa, trovo aberranti non pochi altri elementi che da secoli ci trasciniamo come zavorre (e questa volta Nietzsche ha ragione), e dalle quali pare non ci si riesca a liberare (spero che almeno di questi mi sia liberato davvero).
A tal proposito ricordo che la mia amica Donatella, che non poco avrebbe contribuito all’opera di scristianizzazione, ma che era anche molto cauta e rispettosa delle mie divergenti opinioni di giovane ribelle spiritual-idealista, mi disse una volta all’incirca: “d’accordo, posso capire che tu sia credente; passi che tu sia religioso; vada anche per il cristiano; ma cattolico… questo proprio non lo capisco…”. In effetti il mio rapporto con i preti e con l’autorità ecclesiastica è stata piuttosto problematica. Semplicemente trovavo insopportabile, e drasticamente in contraddizione con il messaggio originario del cristianesimo, che ci fossero nella Sacra Romana Chiesa gerarchie, poteri e tonnellate di ipocrisia: il tutto suonava come molto temporale (ancora!) e troppo poco spirituale per i miei gusti. E poi c’erano stati quei duemila anni di nefandezze… Insomma, non poteva durare a lungo.
Ma non era di cose ecclesiastiche che volevo parlare in questo post “simil-pasquale”, anche perché richiederebbero tempo ed energia ben superiori a quelli che intendo spendervi. Era sulla figura di Gesù, sul caro buon vecchio Gesù Cristo, che volevo dire qualcosa, dato che manca ormai poco all’alba, e sto vegliando sul limitare del suo sepolcro…
Sì, perché mi sono messo in testa che prima o poi devo scrivere qualcosa su di lui. Sarà per quell’aria mitica e ribellistica che promana da certa iconografia tardonovecentesca della quale mi sono imbevuto per anni (sono sempre stato un fervente ammiratore del musical-poi-film Jesus Christ Superstar); o perché le Vite di Gesù hanno sempre un certo fascino (da Hegel a Saramago), anche e soprattutto quando sono dissacranti; o perché, di nuovo, mi toccherà prima o poi fare i conti con il mio passato cristiano…
Certo, di Gesù non può non colpire quel suo essere una figura di rottura radicale: la promessa di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, la salvezza, la liberazione, la critica dei vecchi valori e del mondo degli scribi e dei farisei (com’è che questo fatto non turba le coscienze delle attuali gerarchie ecclesiastiche?), quella posa eroica e plastica quando ad esempio rovescia i tavoli dei mercanti nel tempio, quell’amore incondizionato per gli ultimi e i diseredati, per le donne maltrattate, la sua scandalosa relazione con una prostituta, la dolcezza nei confronti dei bambini, la follia di consegnarsi al potere inerme e di morire per… già, per che cosa?
Naturalmente nulla sapremmo di tutto questo, se il concorso storico non avesse pescato nel mazzo delle mille dottrine escatologiche e soteriologiche diffuse in ogni dove a quell’epoca, fissandone una e facendola diventare religione dell’impero romano e poi del mondo occidentale e poi di un pezzo di pianeta. Ometto qui di parlare dell’opera certosina dei “padri della chiesa” e, poi, dei teologi, per costruire tutto quell’apparato concettuale prendendo a piene mani dalla tradizione classica e dalla filosofia greca. Sappiamo bene com’è andata.
Ma tutto questo prescinde, almeno in parte, dalla figura di Gesù. Lui ha una potenza simbolica, per quanto contraddittoria, tutta sua. Un misto di grandezza e di dabbenaggine, di sciatte parabole e di perle di saggezza, di voli pindarici e inconcludenti sostenuti però da una dedizione e da un’ispirazione assoluta. Un eroe romantico e un rivoluzionario ante litteram. Poco importa chi sia stato davvero, se fosse o meno l’ultimo profeta o l’ultimo dei ciarlatani: Gesù Cristo è ancora qui tra noi, e non accenna a tramontare. Tramonteranno le sue chiese, ma lui no.
Forse perché è un ibrido, un giano bifronte: terrestre e celeste, vivente e morente, divino e mortale, carne-sangue e anima, iperuranio e ultimo tra gli ultimi, padrone e servo; forse perché allude costantemente a quell’oltre, al nuovo, ad un compimento delle epoche; o perché è il simbolo della resurrezione (e dunque dell’intramontabile sogno dell’immortalità); io sono la via, la verità, la vita: e chi non lo seguirebbe se fosse davvero così? Dritto, fino alla gloria dei cieli!
O magari, più semplicemente, si sono contratti in quella figura così tanti simboli, significati, metafore, gli si è addossato così tanto materiale iconografico, estetico, letterario, una ipertrofia di elementi millenaria e millenaristica da risultare alla fin fine solo una grande narrazione – una grande illusione – una vuota, inutile e inconcludente icona. Qualcosa che un giorno verrà ricordato come un mito tra gli altri…
E comunque, per quanto mi sforzi di rievocare, non ricordo particolari emozioni o aneliti extraumani quando, in quella breve parentesi della mia vita, ne ingoiavo il corpo, ne leggevo gli insegnamenti o ne commemoravo le gesta. Detestavo il natale – per quel suo crescente “paganesimo” consumistico – non comprendendo l’immenso significato che per noi umani ha la nascita (del resto all’epoca non conoscevo ancora Hanna Arendt); però ero turbato e profondamente commosso dalla passione e dalle cerimonie che accompagnavano il ricordo della sua morte. Il Gesù fragile dell’abbandono, della solitudine, dell’angoscia, della pietà, dell’agonia. Tanto per cambiare: l’alfa e l’omega, e la ricerca del significato di quel che sta nel mezzo.
Ma questo è, tutto sommato, umano, troppo umano: che bisogno c’era di spacciarsi per il figlio di Dio, con tutto quel che ne è seguito in termini di spaccio e di consumo diffuso e persistente di oppiacei?
Anch’io come te, provenendo da una famiglia cattolica, ho compiuto un percorso di scristianizzazione, ma il mio mi appare meno problematico rispetto a quello che tu descrivi per te. Già a 14 anni, ho abbandonato la mia fede, proprio perchè mi sentivo, come tuttora mi sento, del tutto alieno dai giochini linguistici della teologia cristiana, che vuole conciliare l’inconciliabile, l’unità e la trinità, il vero Dio e il vero uomo in Cristo, l’ordine divino nell’Universo con il miracolo come possibile violazione di quello stesso ordine affidato a leggi immutabili. Da allora compresi, e nessuno finora mi ha fatto cambiare più idea, che il cristianesimo non è oltre la ragione, ma apertamente contro la ragione.
A differenza di te, e credo di molti altri, il mito di Cristo però non mi ha mai attirato. Tu dici che Cristo ha una potenza simbolica in sé. Per questo, ne isoli in qualche modo la figura dal contesto del cristianesimo. Mi chiedo se ciò è lecito, se, come poi aggiungi, il dichiararsi figlio di Dio sia soltanto un ammennicolo, fonte soltanto di conseguenze sfavorevoli. Se però Cristo non è Dio, cosa sarà mai? Un profeta come dice l’islamismo? Oppure è un falso profeta come dice l’ebraismo? No, capisco che tu dici che era un grande uomo. Il problema della figura di Cristo è a mio parere comune a tutti coloro che, pur avendo predicato cose apparentemente di un certo interesse, non hanno mai affidato alla scrittura il loro pensiero. Come Socrate, per cui dobbiamo affidarci agli scritti di Platone, anche per Cristo, è necessario affidarsi ai vangeli, A quali vangeli però? Non sono un esperto in materia, ma a molti sembra che il Cristo secondo Giovanni, sia diverso dal cristo di Matteo. E poi, perché limitarci ai quattro vangeli ufficiali, senza considerare i numerosi vangeli apocrifi? Quanti Cristi dobbiamo interpretare, mettere assieme, e fare convivere? E a cosa serve a un non cristiano tutto questo infine? Dimentichiamo Cristo, il suo pensiero, come tu dici giustamente, vive in noi malgrado ogni nostro sforzo in senso opposto: perché allora farlo anche in maniera consapevole?
Salve.
“Credere è di tutti, ma la fede è di pochi”. Questo diceva poco tempo fa Mons. Bianchi delle comunità di Bose. La figura di Cristo è quel che ci è stato tramandato per secoli, forse vera forse manipolata da quel potere ecclesiastico fin troppo terreno. Non si può arrivare alla fede per via razionale, e non si può perché la fede non è razionalità ma proprio il contrario. Non si può cercare di sintetizzare il concetto stesso di Dio affinché risulti confinato nella nostra ristretta sfera di riferimenti concettuali. Noi umani siamo assolutamente legati, per quel che riguarda le rappresentazioni dei nostri pensieri, alle nostre capacità percettive. Esse sono limitate e così lo è la nostra capacità di rappresentazione. Ma non solo, anche la nostra capacità elaborativa lo è. E allora, come possiamo pensare di comprendere l’immensità di un qualcosa tanto elevata come Dio con le nostre menti? Si fa fatica a moltiplicare due numeri a mente ma si pretende di dire che Dio c’è o non c’è come se dovessimo dire quanto fa due più due. Strana bestia l’uomo che pensa al presunto (anche con chi commette un crimine si dice così) creatore dell’universo tutto come se fosse un vecchietto barbuto in tunica. E che quindi dovrebbe avere la nostra stessa logica, il nostro stesso concetto di bene e male e così via. Certo le domande su Cristo sono molte. Perché proprio in Galilea? Perché in quel tempo e non oggi? Perché non è più tornato? E se non fosse così? E se fosse venuto altre volte tra di noi e non ce ne fossimo accorti? Qualcosa poco meno di duemila anni fa deve essere successo, ma come sempre accade nelle vicende umane siamo stati capaci di travisarne significato e effetti. La chiesa che Cristo voleva è la comunità, lontana dalla temporalità del mondo. In definitiva, non è venuto per affermare il potere ma l’amore. Ama il prossimo tuo come te stesso. Poi ci abbiamo pensato noi con la nostra tendenza innata alla gerarchia e la nostra cupidigia a farne quel che ne ha fatto la chiesa cattolica. Potere garantito con la paura, l’ignoranza, la pretesa dell’immutabilità della conoscenza. Non dimentichiamoci mai che qualunque chiesa, cattolica e non, è fatta da uomini, cioé da animali.
A presto.
Luciano
@Luciano
Se non possiamo comprendere Dio con le nostre menti, meglio lasciarlo fuori da lì, sembra una conclusione ovvia: per esserci, non ha certo bisogno del nostro conforto, stia solitario e incomprensibile.
La fede non è razionalità: molti cristiani non sarebbero d’accordo con te. Del resto, storici cristiani si sono premurati a confermare la realtà storica di Cristo, e i teologi si sono molto impegnati, secondo me con scarso successo, proprio a giustificare razionalmente la fede. Che io sappia, la chiesa afferma che non si può arrivare alla fede con la ragione, ma chi ha la fede, deve trovare argomenti razionali per difenderla.
Anche questo argomento degli animali, che condivido perfettamente, nega l’afflato divino nell’uomo: la genesi distingue nettamente l’uomo da tutte le altre creature viventi.
Mi pare di dover dedurne che tu non credi, malgrado il tono del commento suggerisse diversamente…
Salve.
@Vincenzo
Non è del tutto esatto quel che dici. Io affermo che puoi decidere razionalmente di credere (che non significa avere fede) ma non puoi altrettanto razionalmente affermare la non esistenza di Dio. Puoi dire di non crederci, ma pretendere di dimostrare scientificamente o logicamente la non esistenza di qualcosa che va ben oltre la nostra comprensione è presunzione pura, dettata proprio da chi nella ragione umana ripone una fiducia illimitata. Anche qui però si instaura una religione, quella del Caso. Il caso può tutto e difatti è la causa di tutto ciò che vediamo, è assolutamente imperscrutabile. Di fatto se sostituisci alla parola Caso quella di Dio, non fa nessuna differenza. Questo non significa che io non abbia fiducia nella mente umana. Però io sono anche convinto che le nostre capacità elaborative sono limitate dall’intervallo ristretto delle nostre percezioni e dunque parziali. Mi piace almeno illudermi di cercare la verità delle cose dando a ciascuna il nome che le compete e poi ragionando sulla base di questo. Forse ci riesco, forse no, ma almeno è questo che provo a fare. Per quel che riguarda il fatto di essere credente mi spiace deluderti. Io credo anche se non accetto che siano le gerarchie ecclesiastiche a fare da filtro tra me e Lui.
A presto.
Luciano
@Luciano
Facciamo un giochino, che potrebbe essere istruttivo.
Supponiamo che io dica che esista un’entità che chiamo Vio, e questa entità è dotata delle più strane e imprescrutabili proprietà. Ti sembrerebbe minimamente logico che adesso ti dicessi che non è lecito dimostrarne la non esistenza?
Sostituisci Vio con Dio, e ti sarai, spero, reso conto dell’illogicità di ciò che affermi.
Per quanto mi riguarda, io non ho mai pensato che ci sia qualcosa che si possa dimostrare, ma ciò tanto più mi stimola a trovare argomentazioni sempre più stringenti per portare avanti le mie tesi. Ciononostante, in taluni casi, nel caso in particolare del Dio rivelato, è evidente che si cade in alcune contraddizioni logiche: la religione e forse tu dite che non posso capire, ma nessuno dovrebbe occupare la sua mente con contenuti che non si prestano ad essere compresi. Ecco che interviene l’ammissione di una dimensione di mistero. La vera dimensione di mistero però non solo non nega Dio nè lo afferma, ma soprattutto lo ignora: ecco, evitare con cura di usare un termine (Dio) incomprensibile, mi pare l’atteggiamento più adeguato.
Salve.
@Vincenzo
Eh no.
“Supponiamo che io dica che esista un’entità che chiamo Vio, e questa entità è dotata delle più strane e imprescrutabili proprietà.”
Tu mi stai proponendo un gedankenexperiment. Qui ci sono due problemi diversi:
1) Supporre che esista qualcosa è un’affermazione ipotetica che non necessita di essere verificata, anzi potrebbe benissimo non essere mai realizzata.
2) Nel momento stesso in cui affermi che possieda certe caratteristiche, rilevabili alle tue (mie) capacità percettive, ne hai immediatamente ridotto l’esistenza ad un ambito umano.
Io usavo questo argomento per il Caso proprio per mettere in luce il paradosso di quella che a tutti gli effetti sembra essere una religione laica e scientifica con tanto di divinità. Il Caso ancorché imperscrutabile ha le sue leggi che anche se non in forma esatta possono essere approssimate mediante teorie probabilistiche per il semplice fatto che coinvolgono fenomeni fisici rilevabili. Ma dire Caso significa dire “non lo so” perché se si fosse a conoscenza di tutte le variabili coinvolte in un fenomeno questo non sarebbe più casuale. Di Dio invece non puoi affermare alcunché, non puoi dire “Dio possiede questa caratteristica X” perché questo significherebbe che sei in grado di rivelarla e anche di misurarla.
A presto.
Luciano
@Luciano
“Di Dio invece non puoi affermare alcunché”: ecco, sono tanto d’accordo che addirittura elimino la parola, che è l’unica fonte del problema..
Salve.
@Vincenzo
Ma il tuo è un atteggiamento agnostico (potremmo anche dire sofistico) o puramente ateo?
A presto.
Luciano
@Luciano
Per me, Dio è solo una parola…classificami pure tu come meglio credi 🙂
Non sono credente ma mi hanno battezzata da piccolissima.
Quel battesimo pesava su di me facendomi sentire gli artigli della chiesa cattolica pronti a riacciuffarmi di nuovo alla fine della vita.
Perché è soprattutto in quei momenti che ti cannibalizzano: quando nasci e quando muori.
E così mi sono sbattezzata: che liberazione!!!
Qui info:
http://it.wikipedia.org/wiki/Sbattezzo
http://www.abanet.it/papini/anticler/sbattezzo.html
http://www.uaar.it/laicita/sbattezzo/
Il modulo per lo sbattezzo:
http://www.abanet.it/papini/anticler/dicsbat.htm
@Md
… però ero turbato e profondamente commosso dalla passione e dalle cerimonie che accompagnavano il ricordo della sua morte …
Propongo un’ipotesi: sentivi profondamente, tramite un processo empatetico, l’ingiustizia assoluta per quella morte “innocente”, prodotta da un potere illegittimo e dis-umano … Non per niente ti sei, probabilmente, sempre “sentito” (fase della fede e fase della ragione) dalla parte degli ultimi della terra.
La società giusta, instaurabile con un’intervento antropico rivoluzionario (Lenin), richiama concettualmente un’assoluto, che, surrettiziamente, rimanda al divino, ma che in realtà non può attualizzarsi, visti gl’evidenti limiti del materiale umano.
@Luciano
… non puoi altrettanto razionalmente affermare la non esistenza di Dio ..
Quando la ragione non ha elementi (indizi) per sostenere la tesi dell’esistenza di Dio (i dati a disposizione sono inconsistenti e contradditori) sospende il giudizio (Laplace, matematico, fisico e astronomo francese, disse a Napoleone: “Dio è un’ipotesi di cui non ho bisogno”).
L’atto di fede, da un punto di vista antropologico, è un “sentimento” (bisogno d’amare e di essere amati da un padre che non tradisce mai) funzionale per la sopravvivenza della specie.
Salve.
@Aldo.
Si, ma rasoio di Occam a parte, il problema non è avere o meno bisogno di (un) Dio. La esistenza o meno di una tale entità (e io credo che già il circosrivere in questo modo sia fuori della nostra portata) non è dimostrabile per via logico-razionale per la semplicissima ragione che le nostre capacità elaborative sono vincolate alle nostre capacità percettive (per quel che riguarda la rappresentazione) che essendo limitate inficiano definitivamente la nostra capacità di analisi della realtà.
A presto.
Luciano.
@Luciano
La esistenza o meno di una tale entità .. non è dimostrabile per via logico-razionale.
Appunto. E quindi, come ho detto in precedenza, non ci resta che “sospendere il giudizio”..
L’ “idea-di-dio” è un puro dato probabilistico, che si attualizza (collassa) nel momento in cui la mente lo concepisce, fecondando una “possibilità” (come c’insegna la fisica quantistica).
L’osservatore (il fedele) crea l’osservato (dio). Traduco: vediamo solo quello che “vogliamo” vedere.
Salve.
Non credo sia il caso di scomodare il collasso della funzione d’onda. Il fatto che l’idea di Dio sia un puro dato probabilistico mi sembra veramente arduo da sostenere. E in ogni caso il dibattito si incentra sulla perturbazione introdotta dalla presenza dell’osservatore non sul fatto che lui possa creare l’osservato. Non sei tu che crei l’elettrone quando lo rilevi. Piuttosto lo stato rilevato può essere perturbato dalla tua presenza, ovvero tu sei parte del sistema in studio.
A presto.
Luciano
Bisogna intendersi sul termine “Dio”: uno dei compiti della conoscenza è proprio quello di fare chiarezza sui termini e sui concetti, altrimenti si accetta semplicemente quel che l’autorità (o la tradizione o l’abitudine) tramanda.
Posto che una parola possa anche non designare una cosa, ma non può non significare nulla o alludere per lo meno a un concetto, resta pur sempre da verificare la conoscibilità del fenomeno “Dio”. Mi limito qui alla filosofia e alla scienza: se la prima si occupa di concetti e di relazioni tra concetti e la seconda di fatti inquadrabili in teorie, o Dio è un concetto, un fatto o comunque qualcosa che sia riconducibile a fatti/concetti/teorie, oppure non può nemmeno essere preso in considerazione. Ma se è un concetto (o afferente a un concetto), ad una sua analisi risulta che esistono concetti equivalenti quali totalità, sostanza, causa prima, assoluto, ecc. ai quali Dio può essere tranquillamente ricondotto. Ed è di questi, eventualmente, che si dovrà discutere l’ammissibilità, la conoscibilità, ecc. Ma di questo Dio si ha, appunto, una conoscenza concettuale, non una fede: si concepisce l’infinito, non vi si crede.
Sul fronte scientifico: Dio non può essere un fatto per definizione, e dunque non può essere indagato dalla scienza. Non solo: se la scienza ammettesse l’esistenza di Dio dovrebbe anche ammettere la possibilità del miracolo (per definizione Dio è onnipotente e non sottosta ad alcuna legge), e credo che ciò ne vanificherebbe la stessa attività.
Trovo insomma che vi sia una incompatibilità ontologica e originaria tra Dio (il Dio delle religioni monoteistiche) e la conoscenza razionale. Dio non può essere per definizione conosciuto, può solo essere creduto per fede (spegnendo in quel momento l’interruttore razionale). Quando lo scienziato e il filosofo credono, cambiano abito mentale ed entrano in un’altra dimensione. Quando un credente discute di Dio, esce dalla ecclesia e si mette a discettare razionalmente di concetti. Possono convivere due ambiti così differenti in un’unica persona? Certo, come no! Gli umani sono poliversi, contraddittori, onnilaterali e divenienti per definizione.
A proposito infine della “fattualità”: se Dio non è un fatto, non può però essere negato come “fatto” la religiosità, la fede, ecc.
Ma, di nuovo, se questi fenomeni, compreso quello di Dio, devono essere indagati, vengono considerati in qualità di “oggetti” di conoscenza, e dunque non si è più “affettivamente” implicati con essi: li si studia in termini antropologici, storici, psicologici, psicanalitici, sociologici, ecc.
Salve.
Concordo con quanto hai esposto.
A presto.
Luciano
Ammetto che non ho letto i contenuti del post approfonditamente in quanto parecchio lunghi. Tutto sommato sono stato stimolato dalla ripetizione della parola, per me nuova, di“scristianizzazione” a produrre il seguente testo:
Ritengo, da buon cattolico-agnostico, che il battesimo non è nient’altro che quel rituale primitivo con cui si entra a far parte della tribù. Se per un bimbo divenuto adulto ciò non riveste più alcuna importanza, importanza poteva averne per chi vi partecipava emotivamente in modo attivo a questo rito come genitori, nonni, zii e padrini. Un po’ come il funerale, che ha valore simbolico solo per chi resta, mentre per un bimbo in piena fase orale poco glie ne frega di qualche goccia d’acqua che gli cade sulla capa. Cara grazia che non ci marchiano la pelle con dei tatuaggi, o peggio ancora: che ci circoncidano.
Quindi, scristianizzarci che senso ha quando non dobbiamo cancellare un segno su un braccio o farci riattaccare un prepuzio? Ah, già è vero … è un rituale simbolico per chi si scristianizza. Quindi è un rituale religioso.
E sì … è tutta colpa di quel chilo e mezzo di materia rinchiuso nel cranio che ha permesso all’uomo di sviluppare, assieme alle sue abilità tecniche, le credenze in merito a ciò che non riusciva a spiegare razionalmente. Purtroppo non è possibile tagliarci la testa per risolvere il problema dell’esistenza e della necessità di esistenza delle religioni. Simboli, rituali e tutto ciò che le contraddistingue va dunque, a mio modo di vedere, tollerato perché parte integrante della creatività di gruppi di uomini (anche il rito della de-cristianizzazione che prima ho provocatoriamente schernito). Purtroppo, come qualsiasi sapere, questa creatività (o fantasia) si consolida, si organizza e diventa un’istituzione che si alimenta attraverso l’omologazione del pensiero collettivo. Sono dell’opinione che per un sano vivere basta farvi parte passivamente; tanto nessuno può ascoltare i nostri pensieri ed imporcene di diversi. Basta star zitti e non pretendere ragioni da chi non ti può comprendere.
Ma questa è solo la visione ed il sentire di un tale che si definisce cattolico-agnostico.
Salve.
@Andrea Piccardo.
Ossimoro a parte (come se io dicessi di essere un italiano apolide), quando si parla di de-cristianizzazione credo si alluda più al credere (cioé a ciò in cui si crede) che alle procedure simboliche che di quel credere sono immagine, Per chi credee il battesimo non è soltanto qualche goccia sulla capa come dici tu, ma un sacramento che lo accompagnerà fino alla morte. E’ certamente simbolico, ma per il credente riveste un significato molto più profondo, non banalizzabile
A presto.
Luciano
@Luciano
Credo che i postulati della fisica quantistica debbano essere adeguatamente interpretati. Non si può essere così sbrigativi. Occorre investigare utilizzando una sottile analogia.
Nella figura del vaso con in due profili uno stesso osservatore può vedere alternativamente o il vaso (primo piano) oppure i due profili (lo sfondo). Esistono due possibilità, ma solo “una” collassa quando l’osservatore, con l’apparato ottico di cui dispone, effettua la sua scelta (perturbazione?), creando effettivamente il “senso” di quella grafica, che, come cosa in sè, sarebbe inconoscibile. Tutto, quindi, dipende dalla coscienza. Per alcuni quella coscienza è Dio (che fece “collassare” l’Universo), per altri un prodotto delle cellule cerebrali.
Salve.
@Aldo.
Io conosco perfettamente i postulati della fisica quantistica. Il problema è che tu pretendi di usarli in senso filosofico e quale mezzo di indagine conoscitiva in modo no corretto. E’ vero che l’osservatore determina il collasso della funzione d’onda ma osservazione significa che stai misurando i parametri propri del sistema. Ovvero il collasso definisce lo stato di qualcosa che già esiste.
A presto.
Luciano.
@Andrea Piccardo: il problema non è tanto quello dei segni o dei riti, ma delle strutture categoriali che si depositano nelle teste e, quindi, nei comportamenti.
“Scristianizzare” la vita significa non tanto buttar via quelle strutture (anche perché se Gesù predicava cose come l’amore, il rispetto o l’uguaglianza sarebbe davvero stupido farlo), ma controllarne la genealogia, l’origine e verificarne la bontà.
Non comincio qui nemmeno a parlare della faccenda dei corpi, della normativizzazione sessuale, del senso di colpa, del peccato e di tutta la sequela di minchiate prodotte in proposito dalla chiesa cattolica e avvallata/utilizzata da poteri vari. Oltretutto si tratta di ordini diversi del discorso religioso, e poi non è che il Vaticano abbia il monopolio del cristianesimo…
Mettiamola così: vorrei avere la pretesa (magari eccessiva) di mettere sotto esame e di tenere sotto controllo tutto quel che mi sono ritrovato in eredità, volente o nolente, e decidere cosa tenere e cosa buttare.
@Luciano
Mi pare che tu tratti i problemi epistemologici della meccanica quantistico-ondulatoria in maniera troppo sbrigativa. Certo, non ignorerai che perfino Einstein guardava a tali principi con una certa diffidenza per i suoi aspetti non realistici. Il famoso esperimento immaginario del gatto che per un certo periodo di tempo non si sa se è vivo o se è morto lo conoscerai anche tu…
Salve.
@Vincenzo
Si, ma il gatto di Schroedinger è appunto un paradosso per indicare la caratteristica della delocalizzazione delle particelle. Dal punto di vista epistemologico se applicata male porta a conseguenza banali. Certo fintanto che non vedo un mio amico questi può essere vivo oppure morto . Quando lo vedo lo stato del mio amico collassa in quello vivo. Ti rendi conto che è banale? Io credo che sarebbe meglio non andare a prendere esempi e concetti che se estrapolati dal loro ambito risultano di difficile o inutile collocazione. Per inciso, così sgombriamo subito il campo da eventuali fraintendimenti io sono un fisico teorico, quindi nulla di ciò che mi portate davanti che riguardi la meccanica quantistica mi è sconosciuto. Ma i problemi epistemologici de MQ sono molto più profondi. L’avere una visione del tutto dissonante da quella che costituisce il senso comune.
A presto.
Luciano.
premetto che non ho letto i commenti
mi piace il tuo post
io resto affascinato dallo Jeshua che sulla croce grida “eloìm eloìm lamà sabactani” (dio degli iddii perché mi hai abbandonato), l’umano per eccellenza nel momento della sconfitta
per il resto mi pare sia stato, sapendo leggere criticamente la sua vicenda storica, un grande demistificatore, uno che riportando il dio all’io, dall’olimpo/cielo etc. all’individuo concreto, mette in discussione l’assetto politico/religioso del suo tempo
dopo, i travisamenti sono stati evidenti, ma ogni rivoluzione non può che essere tradita, e qlc traccia resta dell’utopia originaria (sia dentro le istituzioni religiose che, soprattutto, fuori di esse)
@Luciano
.. tu pretendi di usarli in senso filosofico …
Perchè esistono territori concettuali dove la caccia “filosofica” è vietata? Esiste la libertà di pensiero ? Siamo, forse, sul canale TV di Emilio Fede?
Il tuo punto di vista (da fisico teorico) è solo un punto di vista tra tanti altri. Molti fisici “teorici” la pensano assai diversamente da te ..
Io ho proposto (per la discussione) queste poche righe, che tu hai radicalmente ignorato: “nella figura del vaso con in due profili uno stesso osservatore può vedere alternativamente o il vaso (primo piano) oppure i due profili (lo sfondo). Esistono due possibilità, ma solo “una” collassa quando l’osservatore, con l’apparato ottico di cui dispone, effettua la sua scelta (perturbazione?), creando effettivamente il “senso” di quella grafica, che, come cosa in sè, sarebbe inconoscibile (Kant).”
Aggiungo, solo come esempio di una posizione concettuale non “ortodossa”, presa a caso (non entro nel merito), un breve stralcio di un articolo edito su internet (il materiale reperibile è vastissimo):
“Cos’è la Fisica Quantistica? Di cosa è costituita principalmente la materia? Di atomi. Quindi l’atomo, col suo nucleo e gli elettroni che gli orbitano intorno, è la base o il cuore della materia fisica (noi compresi). I fisici quantistici hanno scoperto che all’interno del nucleo dell’atomo, esiste appunto un universo ancora misconosciuto a cui hanno dato il nome di Spazio Quantico o Mondo Quantico. Una delle scoperte più affascinanti è stata che in tale Spazio opera la Legge di non località. Cosa significa? Che due particelle di energia pur essendo distanti a migliaia di km tra loro comunicano, nello stesso momento, in perfetta coscienza. Ma la scoperta ancor più affascinante è stata che le due particelle erano in realtà…la stessa particella (una) simultaneamente presente in luoghi differenti! Cosa significa ciò e quali risvolti può avere nelle nostre vite se afferriamo nel profondo tale comprensione? Significa che siamo fondamentalmente UNO, uniti nell’Unico Campo Cosciente e che le “distanze locali” sono solo un’illusione in quanto la materia non è altro che Pura Coscienza-Energia (Intelligenza) condensata in forme differenti (locali).
I fisici quantistici hanno inoltre scoperto che la materia è “vuota”, lo stesso nucleo dell’atomo nel suo centro infinitesimale contiene un piccolissimo “punto di materia” che materia non è ma un Bip (informazione-pensiero condensata). Pertanto per poter comprendere ed afferrare compiutamente tale realtà dobbiamo imparare ad affinare ciò che omeopaticamente parlando è affine al Bip, il Pensiero, poiché tutta la materia è fondamentalmente costituita di Pensiero Cosciente. Insomma la Fisica Quantistica ci invita ad essere prima non locali, affinando il Pensiero nel centro cosciente della materia fisica (Cuore) per poter modificare “la materia locale” (mente) e creare la realtà che desideriamo.”
Un libro certamente più interessante per avviare una discussione seria è questo:
Guida quantica all’illuminazione. L’integrazione tra scienza e coscienza
Di Amit Goswami (fisico teorico indiano)
tradotto da A. Lamberti Bocconi
Pubblicato da Edizioni Mediterranee, 2007
Ti pregherei di interloquire in merito, altrimenti, se ognuno resta chiuso nelle sue “certezze scientifiche/epistemiologiche”, senza prospettarsi approcci interdisciplinari ovvero intersoggettivi, il momento dia-logico non può che “andare a ramengo”.
Un saluto conviviale.
Salve.
@Aldo
Io non ho affatto ignorato l’esempio del vaso. Semplicemente non è corretta l’applicazione del collasso della funzione d’onda in questo caso. Non si tratta di punti di vista, prendere in considerazione la parte chiara o quella scura della figura, ovvero non si tratta di effetto ottico. Il collasso della funzione d’onda riposa sul fatto che le particelle possono, in virtù dei principi della QM, assumere tutti i gli stati a loro disposizione, e questo perché le descrivi come ampiezze di probabilità. Nel momento in cui passi alla seconda quantizzazione tutto questo perde di significato perché non hai più una funzione d’onda, ma un campo quantizzato che ha come quanti proprio le particelle. La perturbazione viene introdotta da un apparato di misura. Gli occhi non possono perché sono dei sensori passivi. Io voglio interloquire ed è proprio per questo che evito sempre (a meno che, come in questo caso, non ci sia costretto) di dire quale sia la mia formazione. In questo modo si è liberi di colloquiare senza vincoli di sorta. Però quando si usano concetti che nel proprio ambito hanno una loro consistenza e ragion d’essere bisogna fare attenzione. Soprattutto a usarli correttamente. Per quel che riguarda il testo che mi hai citato ti dirò quel che mi è sempre stato detto: quando verrà dimostrato allora sarà una teoria. Fino ad allora ciascuno può dire quel che vuole. La fisica ha questo di bello:quel che affermi deve essere dimostrato (per quel che riguarda la formulazione matematica) e verificato sperimentalmente.
A presto.
Luciano
@Luciano
“La fisica ha questo di bello:quel che affermi deve essere dimostrato (per quel che riguarda la formulazione matematica) e verificato sperimentalmente.”
Ne sei certo? Il problema teorico della meccanica quantistico-ondulatoria (MQO) è che, proprio per come è formulata, sfugge a una reale verifica. Farò un esempio, e mi scuso per chi non ha le competenze tecniche, ma certamente tu le hai e mi seguirai benissimo.
In base ai principi della MQO, è possibile descrivere con una funzione d’onda la distribuzione dell’elettrone in un atomo. Risolvendo un’equazione, è possibile correlare ciascun punto dello spazio con una probabilità definita di trovarvi l’elettrone. In questo modo, è possibile definire per l’elettrone una serie di stati, detti orbitali, a cui è associata una determinata energia e una determinata distribuzione probabilistica spaziale dell’elettrone. Bene, sembra una meraviglia: possiamo descrivere la distribuzione elettronica di tutti gli atomi, e perchè no, anche di tutte le molecole.
Peccato che ci sia un ma: l’equazione è risolvibile analiticamente solo quando abbiamo atomi monoelettronici, detti anche idrogenoidi.
L’equazione viene in realtà risolta per tutti gli atomi, ma soltanto numericamente. La cosa curiosa è che, per la risoluzione numerica, non si usa neanche più la funzione d’onda prevista dalla MQO, ma una funzione che risulta più agevole da risolvere numericamente.
Analogamente, per definire gli orbitali molecolari, si usano altri metodi di approssimazione su cui solvorerò. Tutte queste risoluzioni numeriche si basano su una serie di parametrizzazioni, e i valori dei parametri vengono ottenute tramite l’imposizione di una serie di condizioni, su cui ancora non mi dilungherò.
Cosa rimanga alla fine dei principi della MQO in questi procedimenti numerici è questione più di opinione che di certezze.
Potrei ancora citare la continua ridefinizione delle particelle elementari, definizioni tutte coerenti con la MQO, per mostrare come si entra in un ambito in cui perfino il concetto di verifica sperimentale rischia di divenire sempre più tenue.
Alle volte, caro Luciano, le conoscenze tecniche, piuttosto che aiutarci nell’interpretare la realtà, tendono a confonderci, come accade quando si guarda da troppo vicino un oggetto: ne perdiamo l’aspetto complessivo perchè fuori dal nostro orizzonte visivo.
Salve.
@Vincenzo
Cominciamo dall’inizio. E’ vero che quando non si dispone di una soluzione analitica esatta si usano metodi di approssimazione. Questo è vero ad ogni livello della teoria. Ma tale approssimazione viene accettata soltanto dopo essere stata sottoposta ad una verifica sperimentale. Nel caso degli atomi essa è ad esempio costituita dalle serie spettrali di emissione e di assorbimento. Vorrei farti notare che nemmeno in meccanica classica, dove le equazioni del moto sono assolutamente deterministiche, si riesce a risolvere il problema a molti corpi (che poi costituisce la base per il modello atomico degli atomi con più di un elettrone). Di più, quando passi dal livello macroscopico a quello microscopico, dato l’elevato numero di corpi coinvolti, si è stati costretti ad inventare la meccanica statistica che fino a che non si è scoperta la natura discreta dell’energia andava benissimo e tuttora si usa per sistemi microscopici che hanno rilevanza macroscopica. Il problema vero è che molti pensano che la scienza fornisca la verità delle cose mentre invece da soltanto un modello che sia il più vicino possibile al fenomeno fisico osservato. Ecco perché si usano le approssimazioni.
A presto.
Luciano
@Luciano
Vorrei sbagliarmi, ma penso che tu abbia “troppe” certezze (una teoria non verificata è inconsistente) e, nel contempo, tendi a banalizzare “troppo” (il gatto di Schroedinger: “Ti rendi conto che è banale?”) e, infine, evidentemente non ami l’analogia (fisica e filosofia appartengono a due dominii incompatibili/babele dei linguaggi: “non è corretta l’applicazione del collasso della funzione d’onda in questo caso”). Su queste basi il dialogo diviene forzatamente “sterile”.
Io, al contrario, sono pieno di dubbi, amo le analogie e rumino con calma le argomentazioni altrui, cercando di ricavarne insegnamenti e spunti utili.
Prima postulavo (ipotesi) che la coscienza (di un soggetto) è “attiva” (non perturbativa) nel creare la realtà (per lui), nel momento in cui, scegliendo (tra i profili e il vaso), tramite l’apparato ottico a disposizione (ricettore passivo), fa colassare (in analogia con il collasso della funzione d’onda) il “suo senso vero” dell’immagine osservata.
Continuo a sostenere questa idea, fino a prova contraria …
Quando si parla di filosofia (mi sembra che la cosa ti intrighi parecchio), dunque, di cosa si parla? Forse di nulla, visto che le questioni affrontate non vengono mai trattate “matematicamente” o verificate in un laboratorio “scientifico”?.
Ultima cosa: a monte di ogni disciplina (compresa la matematica/fisica) staziona sempre la “Logica”, con la sua figlia minore, l’ana-logia, con cui il pensiero deve sempre fare i conti nel suo procedere ..
A presto
Salve.
@Aldo
Cerchiamo di capirci:
1)Non banalizzo il paradosso del gatto di Schroedinger, ma ripeto, esso è un gedankenexperiment non una verifica sperimentale e da ragione della delocalizzazione delle particelle in QM. Poi non è un caso che sia un paradosso e non una teoria.
2) Non puoi applicare i concetti per analogia dovunque soltanto perché ti piacciono. Le similitudini sono quelle che permettono ad uno scienziato di avere per lo meno un punto di partenza nella formulazione di una nuova teoria. Quindi le considero utilissime. Ma devi sapere quando usarle e quando no. Ti ripeto, per analogia, il caso del mio amico. Finché non arriva da me può essere vivo ma anche morto e non arrivare mai. e questo non ha a che fare col fatto che è delocalizzato. In ogni istante, essendo soggetto come corpo macroscopico, alle leggi della meccanica classica di lui posso dire misurare posizione e velocità. Di una particella no. Allora se non lo vedo per me può essere vivo, morto, essere diventato una donna, indossare un vestito blu e così gvia. Poi quando lo vedo verifico che per esempio è vivo. In questo consiste la banalità di cui parlavo.
Ora devo andare ma ci sarà modo di parlare ancora.
A presto.
Luciano
Salve.
@Aldo
“Prima postulavo (ipotesi) che la coscienza (di un soggetto) è “attiva” (non perturbativa) nel creare la realtà (per lui), nel momento in cui, scegliendo (tra i profili e il vaso), tramite l’apparato ottico a disposizione (ricettore passivo), fa colassare (in analogia con il collasso della funzione d’onda) il “suo senso vero” dell’immagine osservata.
Continuo a sostenere questa idea, fino a prova contraria ”
Tu puoi tranquillamente sostenere quel ched vuoi. E’ nelle tue facoltà. Il problema è che se vogliamo parlare di scienza l’onere della prova non è mio ma tuo. puoi sempre affermare che non ti senti obbligato a dimostrare alcunché, però poi non te la pprendere se non vieni preso sul serio. Da un punto di vista puramente filosofico invece non è necessaria nessuna prova a supporto di ciò che è la tua visione del fenomeno. Non voglio sminuire il modus operandi della filosofia rispetto alla scienza, ma quest’ultima nell’accettazione di un argomento è più rigorosa. Non ci sono visioni alternative a meno che queste non risultino equivalenti. Tanto per fare un esempio che vi piace tanto, la meccanica quantistica ondulatoria (Schroedinger )è perfettamente equivalente a quella delle matrici (Heisenberg, Pauli, Dirac). Nessuna teoria viene accettata se non è stata dimostrata. Può essere consistente dal punto di vista matematico ma se viene smentita dal dato sperimentale viene considerata come un bel modello matematico ma falso. E nessuno dice il contrario.
A presto.
Luciano
@Luciano
.. non voglio sminuire il modus operandi della filosofia rispetto alla scienza, ma quest’ultima nell’accettazione di un argomento è più rigorosa …
Ribadisco: a monte della scienza c’è la “logica” (la madre del pensiero) , che deve essere il punto di raccordo interdisciplinare “obbligatorio” quando si affrontano le questioni sul tappeto.
. . un bel modello matematico ma falso …
L’estetica (il bello) ha a che fare con il gusto, con il “sentimento del sublime”, non pre-suppone alcuna razionalità ovvero la prevede solo come perfetta identità di bellezza e verità. Quindi un modello matematico falso, per la filosofia classica, è fondamentalmente “brutto”.
Nessuna teoria viene accettata se non è stata dimostrata …
Mi risulta ostico capire come ti possa piacere la filosofia, che è la terra più avara di certezze e dove tutto, dico “tutto”, viene problematizzato e reso “debole” dal pensiero.
.. non puoi applicare i concetti per analogia dovunque soltanto perché ti piacciono ..
Siamo alla censura?
.. poi non te la prendere se non vieni preso sul serio ..
Da chi ?
Comunque, se dovesse accadere, me ne farei una ragione. Per il resto, non è possibile risponderti per mancanza di tempo.
A presto
@Luciano
Bisognerebbe che frequentassi letture più aggiornate, visto che ti autoriconosci queste competenze in campo epistemologico, magari una leggiucchiatina a Kuhn e a Fayrebahn ti farebbe bene: tu stai ancora alla teoria della falsificabilità di Popper…
Dopo queste salutari letture, capirai che la scienza non ha un suo statuto privilegiato rispetto al resto dei saperi, alla fine dobbiamo avere l’umiltà di capire che fondamenti certi e incrollabili non ce ne stanno, nè all’interno, nè all’esterno della scienza.
Salve.
@Aldo
1) Non è una gara tra filosofia e scienza, entrambe espressioni del pensiero ma con metodologie diverse. La scienza è problematica e soprattutto non da certezze. Fornisce un modello che descriva, mediante una simbologia sua propria (matematica), un fenomeno. Solo un cattivo scienziato è convinto che ti sta fornendo la verità. Prendiamo un esempio: in filosofia un ambito di studio è l’essere. Ma tu sai meglio di me che Parmenide ha detto la sua, Eraclito la sua e via via fino ad esempio ad Heidegger che ha detto anche lui la sua sull’argomento. Nessuno si sogna di affermare che quel che dice Parmenide è falso mentre quello che dice Eraclito è vero. Ora questo in fisica (ad esempio) non può accadere. Tu introduci una teoria e la poni all’attenzione della comunità scientifica. La teoria viene testata e vengono verificati i dati che hai fornito tu. Se i risultati sperimentali risultano corretti, la teoria viene accettata. Se invece risultano sbagliati no.
2)Quando parlo di bello in matematica intendo un senso estetico appunto matematico che non ha nulla a che vedere con il gusto estetico dato dall’osservazione di un oggetto. Puoi togliere il termine bello ma la proposizione rimane vera.
3) Mi piace la filosofia come la scienza proprio perché, come ho detto prima, sono espressioni del pensiero. Ma questo non implica che non si debbano riconoscere delle differenze di metodologia nell’indagine dei problemi.
4)Nessuna censura. Certe espressioni fanno parte della dialettica di una discussione. Era come a dire:trova un altro argomento a sostegno della tua posizione.Voglio dire che se hai un cacciavite a stella non ci puoi svitare tutte le viti. Ripeto, le analogie sono alla base dell’indagine scientifica, non soltanto filosofica. Mi sembra ovvio che nel cercare la soluzione ad un problema si parta da un modello che si conosce e si veda se ci siano punti in comune con quello in esame..
5) Non puoi decontestualizzare una frase. Il ragionamento era espresso nel seguente modo:
“Tu puoi tranquillamente sostenere quel ched vuoi. E’ nelle tue facoltà. Il problema è che se vogliamo parlare di scienza l’onere della prova non è mio ma tuo. puoi sempre affermare che non ti senti obbligato a dimostrare alcunché, però poi non te la pprendere se non vieni preso sul serio.”
Quel che volevo dire con “non vieni preso sul serio” non era teso a sminuirti. Era la conseguenza ovvia (per esmpio se parli di scienza) di un atteggiamento che voleva essere esemplificativo e volutamente radicalizzato. Voglio dire, se tu stai parlando con una persona e questa fa un’affermazione dicendo che a sostegno di questa non deve dimostrare alcunché perché non gli importa se tu l’accetti oppure no, la discussione è del tutto inutile.
A presto.
Luciano
Salve.
@Aldo
“Non puoi” non significa che “non ti do il permesso di”.
A presto.
Luciano
Salve.
@Vincenzo
A parte il fatto che non mi riconosco nessuna competenza in epistemologia, dico soltanto quello che penso, vorrei farti notare che mai ho affermato che la scienza avesse uno statuto particolare. Ho semplicemente affermato che la scienza usa metodologie diverse rispetto ad altre discipline del sapere. In particolare ogni passo avanti nella conoscenza (teoria) viene accettato sub iudice fintanto che non arriva la verifica sperimentale con buona pace di Popper e Fayrebahn. Se la verifica dimostra che essa è sbagliata non ha seguito e viene semmai citata come tentativo teorico ma errato di risolvere il problema.
A presto.
Luciano
Paul Feyerabend mi sta molto simpatico, e il suo anarchismo metodologico per un certo periodo mi ha pure affascinato (quel suo avercela coi medici occidentali, poi, aveva una qualche ragione d’essere). Non voglio certo sminuire il significato dell’epistemologia, però quel suo star dietro alla scienza – direi “arrancare”, tanto per cambiare – mi ricorda un po’ la figura del critico letterario che ha scelto quel mestiere perché frustrato dal non essere riuscito a scrivere un romanzo…
Quello del filosofo non è un mestiere, quello dell’epistemologo rischia di esserlo – ma allora preferisco il mestiere dello scienziato, che almeno serve a qualcosa…
Dopo di che, esercitare un “mestiere” non è garanzia di alcunché, dato che non pochi romanzieri sono pessimi…
@Luciano
Vorrei cambiare registro. Fare tabula rasa di tutte queste precisazioni e distinguo: io dico A, tu dici B, lui dice C. Evitare questo non-dialogo, figlio di una pura autoreferenzialità. Perchè non proviamo ad abbattere le intercapedini disciplinari, a mischiarci, ad innescare un meticciato (contaminazione) virtuoso, a fare “squadra di ricerca” su un tema specifico ?
Da tempo mi frulla nella testa che il “collasso della funzione d’onda”, come fenomeno quantistico, potrebbe essere utilizzato (analogia) per investigare, in ambito filosofico, sulle cause del passaggio dal non-essere all’essere degli “enti”, dall’indeterminato al determinato.
Strumento di un tale passaggio potrebbe essere la volontà/necessità di relazionarsi; quest’ultima fa sì che gli elementi di un sistema si identifichino reciprocamente, facendo “collassare” (attualizzando) un “range” finito di determinazioni rispetto alle infinite possibilità dell’essere “puro”.
Che ne dici?
Salve.
@Aldo.
Certo che si può fare. Il pensiero è libero di indagare qualunque tipo di problema e fornirne la soluzione che si ritenga più adeguata. L’unico problema potrebbe essere che purtroppo le analogie non sono scevre di conseguenze e implicazioni che non necessariamente sono automaticamente soddisfatte. Però forse, almeno in un modello ideale possono essere trascurate (un pò come si fa con i gas per i quali esiste un modello detto ideale e uno più “accurato” detto reale), In effetti se pensi a quel che è il campo d’indagine dell’ontologia, ovvero l’essere in quanto essere e non nelle sue determinazioni particolari si potrebbe parlare, proprio seguendo l’analogia, di collasso ontologico. E da lì si può proseguire….
Ne riparleremo sicuramente.
A presto.
Luciano
@Luciano
Bene. Parliamo allora dell’Ontologia del Collasso.
Quando, infatti, gli oggetti del mondo fisico (particelle elementari) entrano in relazione, allora gli enti determinati collassano (un elettrone, interagendo con un protone, fa collassare l’atomo di idrogeno).
Dunque: la relazione è il fondamento di ogni ente determinato ed è l’elemento costitutivo dell’Essere.
A presto.
Salve.
@Aldo
Mi piace la storia della relazione che determinerebbe il collasso (anche perché quando un corpo è isolato è totalmente indeterminato, proprio dall’analogia richiamata). Però io avevo pensato ad un “collasso ontologico” proprio per mettere in luce lanalogia del passaggio indeterminato/determinato. Credo, ma correggimi se sbaglio, che l’ontologia del collasso dovrebbe vertere sul collasso in quanto tale…
A presto.
Luciano
@Luciano
Il passaggio indeterminato -> determinato, in quanto tale, non è altro che una “commutazione” ontologica (switch) e può essere effettivamente “sempre” interpretato come il prodotto dell’interazione di entità probabilistiche. Presi due “oggetti” a caso che si relazionano, se visti con un approccio riduzionistico, possono essere rappresentati come macro-agglomerati di entità sub-atomiche che attualizzano (fanno colassare) il “prodotto” della loro relazione.
A presto.
@Luciano
In realtà. a ben vedere, non è un passaggio ontologico di stato (indeterminato/determinato) ma una “commutazione della coscienza” e, quindi, dell’ottica di osservazione (riduzionistica -> olistica), in quanto ogni “oggetto” attualizzato (partorito dalla relazione) del mondo fisico presenta sempre due strutture complementari, osservabili separatamente, in analogia con i dualismi profili/vaso, onda/particella.
A presto.
Io c’ero in quella stagione. E, ragazzo entusiasta, seguivo Gesù e cantavo Guccini stando dietro ad un certo “catechista”. Ringrazio per allora e per oggi! Marco
sì Marco, certo, la vita è proprio strana…
ai fisiontologi: ma com’è che da Gesù si è arrivati al collasso ontologico?
Caro Md,
com’è che da Gesù si è arrivati al collasso ontologico?
la mia risposta è: perchè tutto è interconnesso. Non esiste una parte (un tema da discutere) che non partecipi al gioco complessivo del “sapere”.
Se si parte dall’assunto che ciò che ci rappresentiamo, dipende dall’ “ottica” utilizzata (da “come” il soggetto si relaziona con l’oggetto), allora sarà agevole inferire che Gesù può “vedersi” sia come il figlio di Dio (ottica della fede) sia come un’uomo (umano, troppo umano) con proposte originali (ottica della ragione).
Ovvero la relazione io-Gesù può collassare (attualizzare) una visione dell’Essere (ontologia) sia divina che umana. Dipende tutto dalla coscienza che, in qualche misura, crea la realtà che osserva, comportandosi come un commutatore “ontologico”.
Ovviamente, Aldo, la mia era una domanda retorica… e la risposta sta in questo blog.
Oltretutto della questione ontologica si è a lungo parlato, e a livelli piuttosto alti, nell’infinita discussione a latere dell’Oltrepassare di Severino.
Che non significa, naturalmente, che sia esaurita, anzi, ben vengano altre suggestioni…
Si potrebbe mettere in campo un progetto per definire i lineamenti di un’Ontologia quantistica.
Il fattore “quantistico”, infatti, traghetta il pensiero sul terreno della “massima oscillazione” tra l’essere e il non-essere. Nel senso che un “oggetto” , non solo può essere privo di determinazione (non definito), ma anche una pura “possibilità”, che, alla prova dei fatti, si potrebbe anche rivelare (a-létheia), collassando, un “nulla”.
E’ possibile identificare l’essere con l’essere-possibile e, dunque, con l’essere-per-il-nulla?
CONDIVIDO GRAN PARTE DI QUANTO DICI IN QUESTO POST, MOLTA SIMILITUDINE NELLE ESPERIENZE DI VITA .
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MI PUOI SPIEGARE PERCHE’ PARAGONI IL CRISTIANESIMO ALLA SUPERSTIZIONE ?
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TI LASCIO UNO DEI MIEI LINK – SINDACATOEROCK.MYBLOG.IT
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UN SALUTO DA BRUNO710
Benvenuto Bruno710.
Il mio uso del termine “superstizioso” è da intendersi qui in termini puramente soggettivi e a voler marcare la differenza tra un prima e un dopo (“prima ero superstizioso, poi sono diventato razionale”, ecc.).
Sarebbe superficiale da parte mia ridurre il cristianesimo o le religioni a mera superstizione – anche se questa non manca mai nelle pratiche religiose.
Sono più propenso a ritenere la religione una sorta di grande trasposizione narrativa: dal piano dell’immanenza (che ci sembra, a torto, poca cosa), a quello della trascendenza.
Non avevo letto questo post. Anch’io sono un’ex cristiana scristianizzata.
Però la figura di Gesù Cristo non smette di inquietarmi dal punto di vista storico. Secondo me è stata la feroce crudeltà della sua esecuzione a fare di lui un Dio. E poi quella sua aura di ” eroe romantico e rivoluzionario ante litteram”, come tu dici, l’ha reso mitico: non a caso erano di più le donne quelle che lo seguivano.
Quello che mi ha spinto ad andare a vedere la sindone è più che altro una curiosità appunto “storica”, nel cercare una risposta ad un mistero ancora inspiegabile.
Il problema della figura di Cristo è a mio parere comune a tutti coloro che, pur avendo predicato cose apparentemente di un certo interesse, non hanno mai affidato alla scrittura il loro pensiero.
forse perchè Gesù non è mai esistito come personaggio storico ?
Miticismo versus Storicità in breve
(1) Solo delle visioni del Messia Risorto condussero alcuni individui del I secolo a inventarsi delle storie su Gesù di Nazaret?
oppure
(2) Si originò qualcosa con Gesù di Nazaret che portò i suoi seguaci ad avere delle visioni del Messia Risorto?
(fonte: http://www.mitodicristo.blogspot.it )