Non sa da quanto tempo è in cammino, né dove si trova. Da dove viene, dove va – vecchie domande e reminiscenze, questioni che a onor del vero non lo hanno mai granché interessato, e che quindi gli sfuggono. Dacché ha ricordi, però, sa di avere sempre camminato. Certo, non sa dire quale estensione abbiano questi ricordi, né fino a dove di preciso arrivino. E’ proprio la nozione di tempo che ondeggia nella sua testa. Quel che sa è che: ieri era in cammino, ed anche ieri l’altro; ora è in cammino e tutto sta ad indicare che continuerà ad esserlo anche domani.
Le sue gambe si muovono indipendentemente dalla sua volontà. Vanno, procedono, avanzano, seguitano ad andare e… basta. Ma, da quel che può capire, la sua volontà non è affatto contrariata da questo andare. Le piace. Va dove la portano le sue gambe, i suoi piedi, i suoi passi. L’unica variazione (interna) sta nel ritmo del passo: ora breve ora lungo, ora lento ora accelerato, talvolta cauto più spesso deciso, che in alcuni casi diventa una falcata.
C’è poi l’esterno: le linee del paesaggio variano di continuo, anche se poi in verità ogni variazione finisce per tornare e per essere il medesimo. Un cangiare che è il ritorno dell’identico. Forse la varietà del passo è da mettere in relazione a quella del paesaggio. Ma non ne è così sicuro. Preferisce lasciare in sospeso la questione. Del resto non è che si faccia tutte queste domande.
Colline dolci, poi picchi e gole, discese e salite, declivi che portano a valle, pianure verdeggianti fino al limitare del fiume, un ponte che conduce altrove, la vegetazione che si dirada fino ai limiti del deserto… e poi qualche cespuglio qua e là, un rigagnolo, il fruscio di un animale tra le erbe e il vento fresco – annunciano di nuovo il bosco, e poi colline e catene montuose sulle quali inerpicarsi. E tutto ricomincia.
Porta con sé una bisaccia ricolma di semi, una borraccia per l’acqua e tanto gli basta. Semi di zucca, di lino, di girasole, noci, qualche nocciola e acqua fresca. Niente altro.
Quando finisce la scorta di semi succede di solito che qualcuno gli si presenta dinanzi con un piccolo sacchetto tra le dita, o un cartoccio sul palmo della mano, e glielo dona. Talvolta – ma non sempre – si unisce a lui, per un tratto di cammino. Di solito è un breve incrocio, quasi sempre muto e fatto di sguardi avari. Poi il donatore si commiata con un gesto appena accennato. Scarta di lato e lo lascia al suo cammino.
Questi incontri capitano soprattutto quando gli occorre di passare accanto ad un villaggio o a una città. Di solito evita accuratamente di attraversare i centri abitati, specie quelli dove gli abitanti si addossano l’uno all’altro e sono in perenne attività, e trafficano dalla mattina alla sera. Tuttavia, per quanto tagli dritto e voglia essere schivo, non può fare a meno di incontrare ogni volta qualcuno di quei trafelati abitanti.
A volte si avvicinano dei curiosi – la notizia del suo arrivo quasi sempre lo precede. Gli abitanti delle città, si sa, fanno volare le notizie di bocca in bocca. Ma lui fa mostra di indifferenza di fronte ai curiosi e ai ficcanaso. Certe volte è lui a scartare velocemente di lato, e ad abbandonare senza una parola i suoi interlocutori. Avendo però cura, prima di abbandonarli, di accettare i loro eventuali doni.
E’ diventato bravissimo nel liberare il corpo dai residui. Evacua mentre è in cammino, e riesce a non sporcarsi. Si lava quando piove, si asciuga al sole e alla brezza. Non è mai stanco; di notte si limita a rallentare il passo della metà o di due terzi e mentre le sue gambe tracciano il percorso, la mente e la volontà si dissociano per qualche mezz’ora e il suo cervello sonnecchia un po’. In questi brevi tratti bui e sonnolenti i suoi occhi hanno imparato a penetrare la notte come dei radar, anch’essi presi a svolgere il loro compito in tutta autonomia. Ha così imparato a gestire separatamente le diverse facoltà e parti del corpo. Tutto avviene in maniera automatica, al ritmo del suo passo.
Quando sprofonda in questi brevi sonni sospesi sul dondolìo delle sue gambe, gli capita di sognare. Ma i sogni non vanno da nessun’altra parte: lui sogna di camminare. Nient’altro.
Fin dove il cono d’ombra del suo corpo e della sua immaginazione possono giungere, vede solo il cammino dinnanzi a sé. Il tracciato dei passi che lo hanno condotto fin lì e che continua indefinitamente, come una linea senza capo né coda, fino all’incerta estremità dell’orizzonte…
foto da flickr di James Neeley
Bello, getta in una atmosfera sospesa, di cui c’è consapevolezza e ineluttabilità.
Un saluto
grazie Fabrizio!
Che senso di leggerezza! Camminare senza pesi, lasciarsi condurre dal corpo, senza meta, in un tempo quasi sospeso, scandito solo dal ritmo dei passi. Paesaggi incantevoli, lontano dalle città, dalla frenesia, percorrere con altri tratti del nostro cammino, e … “Gli capita di sognare. Ma i sogni non vanno da nessun’altra parte: lui sogna di camminare. Nient’altro”. E l’ansia mi assale. Vedo solo i suoi piedi e i suoi occhi. Ho bisogno di correre, di saltare,di abbracciare gli alberi, di sdraiarmi sull’erba,di lasciarmi cullare dall’acqua,di sognare di volare. E scende una lacrima. Le persone che si muovono sulla sedia a rotelle non sognano altro? o sognano anche loro di volare? Il contatto con l’altro è fatto solo di silenzi, sguardi avari, gesti appena accennati. Niente parole, sorrisi, strette di mano. Ho freddo. Torno alla foto e cancello le frecce e la linea gialla. Disegno degli alberi e delle panchine e mi siedo ad ascoltare i viaggi degli altri nei deserti, in cima alle montagne, nei mari calmi o in burrasca, nelle foreste e dentro di loro. Ci salutiamo con un lungo abbraccio, alla peruviana, e riprendiamo il nostro viaggio. Grazie. Ciao.