Il vuoto individuale: fenomenologia della noia

malinconia-munch

Vissi la mia prima esperienza chiara e distinta del sentimento della noia intorno ai 7-8 anni. Ben prima di aver letto Kierkegaard o Schopenhauer, Heidegger o Sartre, e senza che a quel flusso emotivo corrispondessero un nome o un oggetto definiti. Era un pomeriggio estivo, assolato, stavo solitario sul balcone della casa a ringhiera dove all’epoca vivevo, e ad un certo punto rimasi come paralizzato, mentre qualcosa di nuovo e di strano mi stava succedendo. Il normale flusso della vita si stava interrompendo, e io stavo lì schiacciato contro il muro della casa mentre tutto intorno a me affondava. Boccheggiai per qualche minuto, mentre il sole esplodeva sopra la mia testa. Poi sentii come una morsa chiudersi sul mio collo ad impedirmi di respirare – la sensazione fu proprio quella del soffocamento – e scendere giù e premere sullo stomaco; ma ciò che mi impressionò di più fu la forza con cui quel senso di nausea mi stava invadendo, il non poterlo respingere, il subirlo impotente. Era stato breve, e così come senza preannuncio si era presentato, altrettanto repentinamente e senza motivo se ne era andato. Fu una cosa che tenni per me – del resto come descrivere o raccontare a quell’età un’esperienza non riconducibile a un dolore fisico, a un fastidio, a una sensazione nota e tangibile? (en passant: ecco perché i bambini vengono così facilmente e spesso impunemente violati dagli orchi…).
Fu comunque un’esperienza sorgiva, ontologica, esistenziale inusitata a cui naturalmente non sapevo e non potevo dare oltre che un nome nemmeno un significato; solo a posteriori, e dopo molti altri fugaci passaggi, ho cominciato a capire di che cosa si trattava. E certo, solo in seguito al dispiegamento della ragione e all’autoanalisi ho potuto riconoscere in quell’episodio della mia infanzia i tratti della noia: si badi bene, sono certo di non avervi trasferito esperienze successive – era stato troppo forte e violento per non emergere con nettezza, rivelandosi come una delle sensazioni più forti che ricordi della mia infanzia, anzi a questo punto potrei dire della fine dell’infanzia. E’ stato semmai il contrario: tutte le esperienze posteriori sono rimaste marchiate dalla prima, e a quella iniziale dovevano essere ricondotte. Quel che non poteva esserci, com’è ovvio, era la razionalizzazione e la comprensione di qualcosa che, quando accade, ci si limita a vivere, e da cui si è totalmente afferrati.
Fin qui l’esperienza; vediamo ora la teoria (che serve proprio ad illuminare l’esperienza e da cui non può essere scissa); vediamo cosa dicono in proposito i nostri (non molti) filosofi che se ne sono occupati.

Comincerei con Heidegger, che nella sua analitica esistenziale (si veda Essere e tempo in particolare) sottolinea un fatto che non sempre la filosofia ha seriamente preso in considerazione, e cioè che gli esseri umani sono sempre emotivamente determinati, elemento da cui si potrebbe ricavare che la neutralità sentimentale, l’astrazione razionale, il cogito siano quasi delle finzioni. Heidegger ritorna su questo tema in Che cos’è metafisica?, laddove utilizza le espressioni “essere in uno stato d’animo, “sentirsi situati” (Befindlichkeit). E’ qui che parla anche del fenomeno della noia autentica, quel sentimento cioè che si presenta quando si è liberi da occupazioni, od anche quando ci si allontana dalle cose e da noi stessi – non tanto quando questa o quella cosa ci annoia, ma quando “uno si annoia”: “questa noia – dice Heidegger – rivela l’ente nella sua totalità”. Tali righe preludono alla famosa pagina nella quale il filosofo tedesco distingue tra paura e angoscia (Angst), chiarendo come quest’ultima sia legata al fenomeno dello spaesamento, dell’indeterminatezza, dell’affondare (nostro e di tutte le cose) nell’indifferenza. Non posso non citare la conclusione del ragionamento:

“Questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità, che nell’angoscia ci assedia, ci opprime. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell’ente, rimane soltanto e ci soprassale questo nessuno” (Segnavia, 67).

Si ha paura di qualcosa, si è angosciati da nulla in particolare.

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Un secolo prima anche Kierkegaard e Schopenhauer si erano cimentati con il fenomeno della noia. Per il filosofo danese è proprio la vita estetica – che nelle sue premesse/promesse esclude la ripetizione e la monotonia, fa sua la logica seduttiva, sceglie l’ebbrezza intellettuale, ecc. – a sfociare paradossalmente nel suo opposto: la noia che è preludio alla disperazione.

Schopenhauer ritiene la noia uno dei due costitutivi essenziali della vita umana (l’altro è il dolore). Essa è ciò che assidera l’esistenza, ma di nuovo tale sentimento ci presenta il suo lato paradossale, dato che la noia è in qualche modo la radice della socievolezza. Il lato miserabile dell’umanità è poi rivelato dall’invenzione – per noia – del gioco delle carte (si veda in proposito Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 57).

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Infine Sartre: l’Antoin Roquentin protagonista del romanzo esistenzialista La nausea, viene aggredito da una vera e propria malattia, una sorta di infezione letale: “la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto intorno a me. Fa tutt’uno col caffé, son io che sono in essa” – le cose si assottigliano, perdono di nettezza e di vigore; le cose più ovvie – un sedile, una penna, un foglio di carta, un muro, una casa – diventano una poltiglia insensata: “le cose si sono disfatte dei loro nomi. Son lì, grottesche, caparbie, gigantesche, e sembra stupido chiamarle sedili o dire qualsiasi cosa su di esse: io sono in mezzo alle Cose, le innominabili“. Tutto ondeggia, come succede in alcune straordinarie opere di Munch.

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I passi, le visioni e le esperienze citate (da quelle più intime e biografiche a quelle descrittive, fenomenologiche o letterarie, ma altre se ne potrebbero aggiungere) convergono nel ritenere la noia (e i sentimenti confinanti o assimilabili: ansia, inedia, apatia, malinconia…) un’esperienza fondamentale della sfera umana. Un’esperienza a suo modo altamente filosofica, se è vero che ci mette di fronte (quando si presenta) all’insensatezza del mondo: siamo come svuotati dall’interno – da tutta quella folla, quella costante invasione, quell’essere stipati di cose, affanni, occupazioni, quell’essere pieni, affaccendati, in perenne movimento – busy come dice la lingua inglese – ed insieme messi di fronte ad un vuoto esterno. I confini oscillano, i contorni perdono di consistenza e di fronte a tutto questo siamo come paralizzati.

C’è un elemento fondamentale di questo tipo di esperienze che forse non è stato messo sufficientemente in risalto: la radicale solitudine che le accompagna. Non ci si annoia mai in due o in gruppo (quello è un altro tipo di noia, legata all’insoddisfazione per questa o quella cosa) – si provano noia, nausea, angoscia esistenziali essenzialmente da soli, nel più assoluto isolamento. Si affonda solinghi nell’insensatezza, senza remore e senza appigli. Niente e nessuno può salvarci da quelle sabbie mobili. Forse perché l’abisso che ci si spalanca dinanzi, l’annuncio della radicale inconsistenza e insensatezza delle cose, sono l’anticipazione angosciosa della morte, della distruzione individuale, del nulla. L’ingresso nel mondo e ancor più l’uscita dal mondo sono atti brutalmente e drasticamente solitari – ancorché su quell’alfa e omega ci si affanni a ricamare complesse e recondite stratificazioni di senso e di significato. Questo e non altro ci viene drammaticamente rivelato, al di là del si familiare e consueto che accompagna il nascere e il morire.
Ci sono allora due possibilità: ritrarsi frettolosamente dall’abisso e tornare alle cose e alle occupazioni, oppure fermarsi per un attimo sulla soglia del nulla e della pazzia e giacere in una sorta di sospensione contemplativa. Un attimo che potrebbe essere eterno. Un attimo nel quale chiedersi che cosa sta succedendo, e vedere se da quella esperienza così terribile e radicale si possa ricavare qualcosa – anche se sono proprio il che cosa del succedere e il qualcosa dell’esperire ad essere qui revocati in dubbio…

(continua e si conclude in forma di contrappasso nel prossimo post)

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Nota iconografica. Il quadro (poco fedelmente) rappresentato sopra si intitola Malinconia ed è stato dipinto da Munch nel 1892 (ne esistono, come in molti altri casi, versioni diverse). C’è un appunto interessante del pittore norvegese su quest’opera: “Camminavo lungo il mare… Le rocce sorgevano sull’acqua come mistici esseri marini… Il mare blu scuro e viola saliva e scendeva… L’acqua singhiozzava e succhiava attorno alle rocce. Lunghe nuvole grigie striavano l’orizzonte. Sembrava che ogni cosa fosse morta – come in un altro mondo. Un paesaggio di morte“. Lo spaesamento e l’alienazione sono temi tipici di Munch: ne troviamo efficacissime rapresentazioni in diverse opere, dal celeberrimo Grido a Sera sul viale Karl Johan (potente perché lì è la folla ad essere al centro della scena, come se si trattasse di un corteo spettrale), da Angoscia ad Agitazione interna, ad altri con figure femminili intitolati ancora alla Malinconia.
Un buon sito su Munch mi pare quello del Munch Museet di Oslo.

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Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

39 pensieri riguardo “Il vuoto individuale: fenomenologia della noia”

  1. Che posso farci: voi filosofi siete in fondo tutti seguaaci di Platone, e quindi, di qualunque cosa parliate, l’assoluto ci deve stare per forza. 😀
    Poichè seguendo Platone, non potete distinguere le parole dalla realtà, visto che le parole sono la realtà, anzi una realtà più vera della realtà sperimentabile, l’esistenza stessa della parola “noia” è per voi sinonimo di un’esperienza definibile in maniera rigorosa e univoca.
    Se invece non foste platonici, come me, allora pensereste all’esperienza della noia come una modalità del nostro mutevole stato d’animo e vivreste la denotazione sempre come uno scarto rispetto alla realtà inconoscibile.
    La noia, a modesto parere di uno che non crede alla teoria di Platone, è la stato d’animo corrispondente a una funzione che non viene espletata. Poichè la natura c’ha fatto in modo che la vita stessa coincida con l’utilizzo delle nostre facoltà, non esercitarle significa simulare la morte, e sentiamo il disagio di non sapwer cosa fare della nostra attenzione (e non vale solo per l’attenzione). Mi pare pertanto di non poter convenire con i virtuosismi di Heidegger: la noia è in realtà correlata con la capacità di interesse. L’attività intellettuale è certamente il migliore antidoto alla noia: chi svolge attività manuali, chi si interessa solo ad aattività manuali, si annoia molto più faiclmente, così come soffrono terribilmente di noia gli animali, in particolare domestici: liberati dallla necessità di provvedere al proprio sostentamento, non sanno più cosa fare del proprio tempo.

  2. L’attivita’ intellettuale e’ certamente un antidoto contro la noia… anche chi non ha interessi intellettuali ha pero’ la possibilita’ di “ammazzare” la noia…penso ad esempio al bricolage…insomma…non creiamo un “classismo” anche per gli stati d’animo…
    Sulla noia degli animali non credo tu abbia ragione…gli animali agiscono per istinto…azione-reazione… per annoiarsi… cioe’ per essere tristi, insoddifatti…per provare disgusto per la vita…dovrebbero essere meno “animali” e piu’ umani.
    Il post di MD affronta una tematica piu’…profonda…credo si riferisca non alla noia intesa come ” non so che fare,che noia!” …ma al malessere interiore… che fa stare male…e si sta male perche’ la mente…il corpo…cominciano a farsi sentire. La vita consiste in questo non sentire niente di preciso. Stare in salute consiste nel non sentire il corpo (Spinoza)*…se cominciamo a “sentire”…mente compresa…significa che c’e’ qualcosa che non va…e sprofondati nel nulla purtroppo ce ne sono tanti…
    Saluti

    P.s.: * Credo che l’abbia detto Spinoza…forse…molto forse!!!
    @ md
    sara’ che sto esagerando… ?che la filosofia ai non addetti fa male…?
    s’e’ mai visto un commercialista che legge libri di filosofia? mah…

  3. Beh Vincenzo, a 8 anni non avevo mai nemmeno sentito parlare di Platone…, oltre al fatto che esistono un bel po’ di filosofi che non sono proprio teneri con Platone – certo, si può anche decidere di ridurre la filosofia a Platone e poi di creare il partito dei filosofi (platonici) e l’altro… che sarebbe?
    Per quanto concerne manuale e intellettuale, io mi annoio molto meno quando svolgo delle attività manuali; ma, appunto, si tratta di altro genere di noia rispetto a quello “assolutistico”, “platonico” e “virtuosistico” di “noi” filosofi…
    infine, sulla noia animale, magari bisognerebbe chiederlo a loro…

    @luther: hai colto nel segno!

  4. L’obiezione di luther sugli animali è propria di un pregiudizio ideologico platonico, credere in una comunicazione solo verbale, per cui con gli animali non comunichiamo. Io l’ho invece osservata la noia di una cagnetta da compagnia, e ne ho evidenze, certo non certezze, non inferiori a quelle che mi deriverebbero da un impossibile colloquio con l’animale. C’è anche un pregiudizio antrocentrico, di credere che l’uomo sia così differente dagli altri animali.
    Allo stesso modo, caro Mario, non occorre studiare Platone per essere immersi nella sua ideologia che domina la società in cui viviamo come presupposto di fondo.
    Io scherzavo su come siamo innamorati delle parole, e come nel contesto della filosofia questo sia evidente.
    Secondo me, la vera rivoluzione in filosofia sta nel porre attenzione al linguaggio, come un punto di discrimine tra un prima e dopo. Dopo Wittgenstein ed altri dopo di lui, nulla può più essere come prima in filosofia.
    Non trascurate anche quanto la cultura aiuti, soprattutto nella vecchiaia, quando tante attività manuali sono precluse, a vincere la noia.

  5. Qui però il punto non è il platonismo, ma se nell’esperienza (non nella teoria, nell’idea o nel concetto) esistenziale della noia sia o meno riconoscibile una domanda di senso, cioè se la noia sia o no un sentire ad alto tasso filosofico che revoca in dubbio il significato del nostro stare al mondo. Certo, se farsi domande di questo genere viene reputato un gioco inutile o “ideologia platonica” – che peraltro andrebbe molto meglio definita – allora non si può andare lontano con la ricerca.
    Wittgenstein prende molto sul serio i fatti – il mondo è costituito da fatti, in apertura del Tractatus – oltre al linguaggio che in ogni caso è esso stesso un fatto. Io mi domando: che cos’è quel sentire, prima ancora di definirlo o denominarlo, anche se certo la “precomprensione” o la Weltanschauung indirizzano sempre preliminarmente le nostre domande e risposte.
    Ma sono anche convinto che – consci di questo inevitabile essere già da sempre situati (tanto per heideggereggiare!) – si possa comunque provare a porsi limpidamente di fronte ai “fenomeni” e, sempre e di nuovo, interrogarli.
    Oltretutto Heidegger dice una cosa profondamente antiplatonica, e cioè che noi siamo innanzitutto emotivamente situati – anche se non si spinge a dire che in primis siamo corpo e materia all’interno di un mondo che è per lo più corporeo e materiale – “natura”. Ciò non toglie che – guarda un po’ – anche dire “materia”, “corpi”, “natura” è pur sempre parlare, teorizzare, evocare concetti…

  6. Dopo una giornata di noia mortale come quella che ho trascorso io oggi, questo bel dibattito mi ci voleva proprio.
    Io, da profana, in merito all’argomento, mi identifico di più con Luther.
    Comunque la noia di oggi mi è servita per riposarmi.
    Del bellissimo post di MD, quello che più sento vicino al mio sentire è lo stretto rapporto tra noia e solitudine. Anzi direi che per me le due cose coincidono perchè è proprio quando ci si sente soli che tutto ciò che ci circonda ci appare sensa senso, senza prospettiva.
    Ancora grazie per tutto quanto hai scritto.
    Ciao.
    PS. Dalle poche esperienze che ho avuto, credo proprio che anche gli animali, in particolare i cani, si annoino quando non c’è qualcuno che li fa giocare.

  7. md, bella lezione sulla noia metafisica e affini (nausea, assurdo, angoscia, ecc.).
    Tutto vero. Ma non sarà anche che l’idea di affrontare questi temi viene ora perché l’estate è per eccellenza la stagione della noia e della malinconia, in cui cessano le attività che ci tengono occupati (e preoccupati) per il resto dell’anno, ed emergono il vuoto, la solitudine, il confronto con se stessi?

  8. @Kinnie51: grazie! In effetti il rapporto tra noia e relazioni sociali va meglio indagato (Schopenhauer non a caso connette la noia alla socialità). Tuttavia la noia “autentica” e radicale si manifesta proprio in assenza di legami con le cose e con le persone – è un perdere la bussola, uno sprofondare nell’insensatezza, requisito essenziale per la domanda più radicale: ha senso tutto questo?
    Sugli animali non saprei dire, ricordo però che proprio di questa “noia esistenziale” parla Leopardi nel suo Canto notturno… può benissimo essere che sia un sentire comune che condividiamo con altre specie.

    @Andrea: certo, è possibile che ci sia anche questo elemento – forse non è un caso che il primo sintomo di cui racconto avvenne proprio in piena estate, a scuola finita… ed anche nelle mie estati siciliane ho simili attacchi di malinconia.
    Del resto la “vacanza” a volerla prendere nel suo significato etimologico ha proprio a che fare col vuoto. Credo però che tale svuotamento possa anche diventare l’occasione per “arieggiare” un po’ le nostre vite, no?

  9. Quoto in pieno il commento di Andrea e spendo qualche altra parola per dire che la noia è un modo specifico di stare con se stessi e con le cose, la immagino come un lento attraversamento di un ponte rialzato su uno strapiombo, tra il vuoto che non occlude qualsiasi espressione, e i paesaggi della memoria del proprio vissuto. La noia è una vacanza dal solito ritmo, l’aprirsi di un nuovo paesaggio – il ponte sullo strapiombo vertiginoso – cioè uno stato momentaneo che può sfociare in crisi esistenziale (e quindi occasione di rinnovamento) o altrimenti ri-approdo sulla strada di tutti i giorni, senza vertigini né strapiombi.

  10. Ho vissuto la noia, il ‘vuoto interiore’ come ‘estraneità’ e ‘assenza’, e non soltanto nei momenti di riposo, ma anche per un lungo periodo della mia vita. Estraneità da ‘sè’ e assenza del ‘sè’, di chi vive all’insegna del ‘dovere’, dover essere , dover fare, fino ad identificarsi completamente con quelle ‘maschere’. Grazie ad esperienze di rilassamento del corpo e di ‘svuotamento’ della mente ho scoperto l’ ‘io sono’, che, forse, assume quelle ‘forme-maschere’ e diviene nell’ ‘io sono anna’, e così via. Md ha scritto: “è qui che Heiddeger parla della noia autentica, quel sentimento che si presenta quando si è liberi da occupazioni, o anche quando ci si allontana dalle COSE e da NOI STESSI”. Ora, quando esco da quelle ‘maschere-forme’ nei momenti di riposo non trovo il vuoto interiore, posso riavvicinarmi all’ ‘io sono’, e questo ha in parte colmato anche il vuoto che nasce dal nasce dal sentirti estranea all’altro, alla persona che sentivi più vicina di tutte le altre, quando ti accorgi che non è la tua anima gemella e non vuole neppure diventare un’anima ‘sorella’, quando si dissolve quell’arcobaleno di ponti che ti univano a lui e vorresti morire, sostituiresti il nulla al dolore. Il ‘nulla’, la ‘morte’. Da bambina, nei momenti di solitudine, mi fermavo a pensare all’universo senza confini, al tempo senza inizio e senza fine, al fatto che avrei compiuto dieci anni, poi venti, trenta e così via, e poi sarei morta. Grazie alle piccole esperienze vissute negli ultimi anni ho rispolverato l’idea di un dio immanente che, forse, diviene in noi, attraverso di noi, ed ho scoperto un’energia che scorre nel nostro corpo. Il sedermi sull’erba, l’appoggiare la schiena al tronco di un albero, l’immergere le mani in un ruscello mi basta per sentirmi collegata al mondo circostante, parte di esseo, e anche questo riesce ad attenuare la solitudine come assenza dell’altro e anche dell’Altro. Da una canzone di un cantante che non amo: “io lo so che non sono solo anche quando sono solo … e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango”. Mi affascina la reincarnazione o forse la metempsicosi, l’idea di poter divenire, evolvere attraverso varie vite. Ho bisogno di approfondire. Comunque, da una bella canzone di Guccini ‘Cirano’ “facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un’altra vita, se c’è come voi dite un dio dell’infinito, guardatevi nel cuore, l’avete già tradito; e voi materialisti col vostro chiodo fisso che dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso… lasciatemi LE ALI”.

  11. ….La domanda si presenta anche in certi momenti di noia, quando ci sentiamo ugualmente distanti dalla disperazione come dalla gioia; ma in modo tale che l’incombente normalita’ di cio’ che e’ induce ad una desolazione nella quale appare indifferente che cio’ che e’ sia o non sia”. Heidegger.

    In questo passo Heidegger considera la noia (poco prima aveva parlarlato anche della disperazione e della gioia) come un momento che interrompe l’ordinario incedere della vita, introducendo la meraviglia col corollario di spaesamento e meraviglia.

    La noia dunque e’ un’occasione di scoperta, di vita, partecipando della meraviglia.

    La noia e’ dunque filosofia. In quanto scoperta della meraviglia.

  12. Io rimango sbalordito dai filosofi, da voi tutti filosofi fino al midollo, che riuscite a rendere complicato ciò che per noi persone comuni è semplice e ovvio. State a scrivere papelli interi per definire la noia, quando a tutti è noto cos’è la noia.
    Ma no, troppo semplice, ecco che l’Heidegger di turno si alza e spiega che finora non abbiamo capito nulla della noia, che egli ha scoperto una noia che è più noia della altre noie, una specie di bianco più bianco degli altri detersivi insomma. E tutti dietro Heidegger a intepretare le auliche affermazioni del suddetto, da cui pendiamo per avere la verità.
    So che non mi perdonerete questo sarcasmo, ma l’ho fatto, ve l’assicuro con intento didascalico, una specie di maieutica socratica in fondo 😀

  13. @Vincenzo
    noi “comuni mortali” abbiamo tanto da imparare…deve pur esserci qualcuno che “pensa”…per esempio su questo blog ci fu un post che invitava a parlare del tempo…trovai interessante un aforisma di Sant’Agostino… “Se non me lo chiedi lo so; ma se invece mi chiedi che cosa sia il tempo, non so rispondere” …o giu’ di li’…secondo la tua logica i filosofi sarebbero inutili perche’ complicano le cose…
    iNVECE trovo fondasmentale che le complichino…parlando dell’anima, del tempo,del nulla, dell’uomo, della noia…
    saluti…

  14. @Luther
    Beh, ma Sant’Agostino diceva in fondo quello che dicevo io, e che io ho mutuato dalle “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein. In sostanza, che il linguaggio è una forma di vita e che nel linguaggio già sta tutto a posto, non occorre che venga Heidegger a fare ordine, perchè il risultato paradossale è che complica, come dicevo, cose in sè semplici. Non c’è nulla di nascosto in ciò che diciamo, è piuttosto lì davanti a noi in tutta evidenza. Ora, capisco che uno possa baloccarsi con le parole, ma in verità di filosofia ce ne sarebbe un gran bisogno, e qui mi distacco da Wittgenstein, per affrontare i problemi reali di ogni giorno, quelli dell’educazione , della nostra vita sociale e politica. Dico a voi che siete filosofi non perchè io non senta il bisogno di confrontarmi sulla filosofia, sennò non sarei neanche venuto su questo blog: lo frequento ormai da alcuni mesi, e ho stabilito un rapporto direi di amcizia con Mario, che è abbastanza paziente da tollerare le mie intemperanze. Tra noi, rimane questa polemica, o meglio questa differenza nella concezione stessa della filosofia, proprio perchè, come dicevo anche nel primo commento a questo stesso post, non possiamo fare finta che il linguaggio sia lì da sempre datoci quasi da Dio, e quindi sia una cosa perfetta che a noi tocca di interpretare. Questa visione è fiabesca, perchè in realtà il linguaggio è stato creato dagli uomini che con il suo uso ne determinano automaticamente il significato. Non c’è quindi nessun segreto da scoprire, nulla di nascosto che i filosofi possono scoprire sul linguaggio. Quando infatti si discute sul significato delle parole, si discute in verità di tuttaltro, di quello che ci fa comodo che una parola significhi, questo è il vero oggetto del dibattito. Mi fermo qui, per il momento.

  15. @Vincenzo, avrei un centinaio di obiezioni ma mi limito a 2 o 3:
    -anzi, sulla noia è stato scritto fin troppo poco
    -a proposito della contrapposizione tra “semplice” e “complesso”, così come tra “noi persone comuni” e “voi filosofi”, beh questa sì che è davvero una posizione sbalorditiva, anche perché ti sfido a spiegarla in maniera semplice…
    -potremmo poi dire che i filosofi usano i concetti così come i contadini la zappa e i musicisti le note: dunque si tratta di semplici abilità, c’è chi è bravo a fare una cosa e chi un’altra, tutto qui – e se qualcuno vuole imparare a coltivare la terra deve andare “a scuola”, essere molto umile e piegarsi ad apprendere da maestri più sapienti di lui, esattamente come chi vuol fare il filosofo di professione
    -ma qui c’è una complicazione: io concordo con Epicuro, tutti possono filosofare, dunque a rigore non esiste una professione filosofica, per lo meno non più di quanto esista una professione umana – ma appunto, “possono”, non sono obbligati o necessitati a farlo…
    -a proposito di “semplicità” proprio Wittgenstein è un pessimo esempio, dato che nessuna “persona comune” riuscirebbe a leggerlo per più di due pagine
    -il linguaggio non ci è stato dato da Dio, ma nemmeno possiamo granché controllarlo esattamente come non possiamo controllare granché delle nostre emozioni, passioni, strutture culturali, sociali, ecc.
    -col cavolo che non c’è nulla di nascosto in ciò che diciamo: si tratta di un giacimento nel quale scavare una vita, che comunque non basterà
    Anch’io mi fermo qui, in attesa di pubblicare il prossimo post che sarà ancor più involuto, inutile e incomprensibile del precedente…

  16. Dimenticavo: proprio la scorsa settimana è stato pubblicato un libro di Amedeo Vigorelli (con il quale molti anni fa ho sostenuto un esame e un’animata discussione sulla Fenomenologia dello spirito), edito da Mimesis e intitolato “Il disgusto del tempo. La noia come tonalità affettiva“. Ma guarda un po’!
    Questo l’abstract:

    La noia come tonalità affettiva fondamentale, legata al sentimento del tempo, è posta da questo studio al centro di un ripensamento etico dei problemi dell’antropologia filosofica. L’approccio interdisciplinare a questo tema, difficile e sfuggente, ha dovuto tener conto sia delle classiche impostazioni della psicologia fenomenologica e della psicoanalisi esistenzialista, sia degli studi dell’antropologia storica e della storia dei concetti. Nei tre capitoli, in cui è articolato il volume, viene analizzata la struttura ontologica della noia, in quanto sentimento vitale; la sua specifica intenzionalità, rivolta al sentire temporale; la sua tipicità storica e antropologica, come tonalità minore della melanconia. Il confronto con le interpretazioni di Heidegger, Sartre e Jankélévitch, così come le suggestioni ricavate dalle ricerche di Kolnai, Minkowski e Binswanger, hanno consentito un’esauriente chiarificazione fenomenologica del tema. Il percorso storico, attraverso facedia di Petrarca, (ennui di Pascal, la melanconia di Leopardi, introduce il lettore a una stimolante disamina della modernità del sentimento, che si apre su nuove indagini.

  17. @Mario
    Nel contesto dato, è chiaro come distinguere un filosofo “classico”, perchè anch’io, si sarà capito, mi considero un filosofo, da una persona che non è un filosofo classico. Il primo si chiede cosa sia la noia, il secondo no: mi pare un criterio semplice semplice, anche se certo contestabile.

    Wittgenstein è in effetti difficile da leggere, anche perchè le “Ricerche filosofiche” sono scritte in stile aforistico, e ciascun aforisma è un mondo a sè. A me però pare che è una difficoltà insita in ciò che dice, e comunque egli è davvero un genio, tanto di cappello!

    Io non dicevo però che non ci sia da chiarire ciò che diciamo, mi sarò spiegato male, ma in realtà ho scritto che non è nel linguaggio che sta il mistero. E’ per me inutile, lo ribadisco, baloccarsi col significato delle parole, ma su quello che vogliamo dire inevitabilmente col linguaggio. Sarebbe come se davanti a un pittore che sta creando un quadro, ci mettiamo a discutere dei pennelli invece che del quadro. Le parole sono solo uno strumento che gli uomini si sono dati per comunicare. L’uso delle parole è un fatto eminetemente politico, e come tale va affrontato, non come l’accertamento di un fatto in sè che noi dobbiamo decifrare, come potremmo decifrare dati astronomici per ricostruire una determinata galassia. Quando parliamo, noi nel nostro piccolo contribuiamo a definire e a modificare il significato delle parole.

  18. @Mario
    Infine, ti ringrazio di avere postato sulla noia perchè mi ha consentito di esprimere in proposito la mia opinione, che non ho mai considerato vera in assoluto (anche perchè non credo nella verità assoluta), e quindi è stata per me un’opportunità.
    Mi sono permesso di essere sarcastico solo perchè tutti voi siete poi d’accordo tra voi, e quindi, esprimendo un’opinione non condivisa, ho ritenuto, spero non a torto se magari ti avessi offeso, di potermi permettere questi strumenti retorici.

  19. @Vincenzo: il sarcasmo, qui, è benvenuto! Così come ogni opinione, punto di vista, riflessione (che, in quanto tali, non possono contenere alcuna offesa) – e che sono, tra l’altro, ottimi antidoti alla noia…
    Anche se pare che la noia conti tra “noi” filosofi parecchi fan…

  20. Ah, che simpatiche canaglie!
    Ciccio e Franco, Peppone e Don Camillo, Mimì e Cocò…
    E’ davvero una gioia vedere quanto ci si può spingere in là con il manierismo politically correct 😉

  21. @Umberto: hai qualcosa contro Ciccio e Franco?
    E poi… non c’è mica bisogno di buttarsi addosso merda quando si discute, anche se si hanno opinioni radicalmente diverse… soprattutto quando non si conoscono i propri interlocutori… (ed intendo praticamente tutti gli interlocutori…)

  22. Sto pensando alla noia, e ricordo i momenti in cui all’essere è capitato di languire in questo non-sentimento, come un non-sentire, o sentire solo in parte, e soltanto la parte di ciò che potevo supporre negativo, dove esisteva solo il bisogno e la mancanza, e ogni cosa era riferita unicamente a me stessa, con tutte le proiezioni di quello che avrebbe potuto essere, e non era, con l’angoscia e l’insoddisfazione per una realtà limitata. Sentimento adolescenziale, oso dire, anche se forse – magari non per tutti – è necessario attraversare l’adolescenza per giungere alla maturità. Ciò che un tempo chiamavo noia, ora la chiamo serenità e pace.
    Perdere l’illusione che le cose possano essere diverse – e meglio – di ciò che sono, può condurre ad uno stato di accettazione e farci superare quel genere di sentimenti appicicaticci nei quali, quando vi indugiamo, amiamo crogiolarci. Se non che siano provocati (proprio) da eccessivo amor proprio.
    L’unica attenuante è che siano come nuvole di passaggio

  23. @milena: capisco quello che dici, ma tendo ancora a distinguere ciò che dipende (anche) da me e che (forse) potrei contribuire a cambiare da quello che invece è inevitabile. Forse è superstizione, non solo fissazione adolescenziale, ma il rovescio della medaglia assomiglia troppo al fatalismo perché io lo possa accettare.
    Un caro saluto

  24. Sono contenta che capisci quello che dico, perché invece io credo di non essermi spiegata e di avere le idee un po’ confuse al riguardo.
    Ho seguito solo parzialmente la disamina sui sentimenti che avevi iniziato ad approfondire qualche tempo fa. Soltanto ho dei problemi col copia-incolla, perciò ho letto velocemente.
    Ora, secondo me, ovvero dal mio punto di vista, i sentimenti dipendono in larga misura da noi stessi, a meno che, una volta provocati da agenti esterni, ci limitiamo a subirli in noi stessi senza avere il potere di modificarli.
    Di ogni sentimento, ciò che in realtà percepiamo è l’emozione legata ad essi, e può darsi che un’emozione sussista indipendentemente dal nostro volere o potere. Accade. Ciò che possiamo fare, però, è : o subirla passivamente, oppure osservarla con una certa dose di distacco e, attraverso l’analisi dell’intelletto, darle il peso/valore che si merita.
    Sentimenti come l’odio, per esempio, non andrebbero neppure presi in considerazione come possibili, perché dal momento in cui – intellettualmente – metto davanti ad ogni cosa il rispetto, sarebbero una contraddizione esistenziale inconciliabile.
    Quindi, anche se può capitarmi di percepire l’emozione legata all’odio, avrò cura di liberarmene, magari non facilmente, ma di sicuro. O almeno, è così che io mi regolo.
    Ci sono sentimenti, insomma, che valgono la pena di essere provati, percepiti, alimentati, ed altri decisamente no. Quindi è una questione di scelta. Ma anche di intelligenza, perché sono fermamente convinta che una persona veramente intelligente, non potrebbe dare albergo a dei sentimenti che in ultima analisi risulterebbero nondimeno nocivi per se stessa, ovvero per chi li prova in prima persona. L’odio fa male anche al portatore, non solo ai soggetti sui quali viene riversato.
    Per quanto riguarda la noia, vale lo stesso, soltanto è un sentimento, o meglio, stato dell’essere, che coinvolge il soggetto che lo prova e non va molto oltre se stesso, in realtà non capendo dove voglia andare e che scopo abbia di esistere.
    Credo infatti che ognuno di noi, volendolo – e quindi potendolo – possa trascorrere il tempo in compagnia di sentimenti più vantaggiosi per il proprio e l’altrui benessere.
    Quando ieri parlavo di accettazione, intendevo sottolineare quanto la maggior parte dei sentimenti – e soprattutto le emozione legate ad essi – sarebbero vani e come andrebbero guardati con una buona dose di sospetto. E che una volta compreso questo, quel genere di emozioni perdono il loro potere su di noi, e noi lo riprendiamo su noi stessi.
    Provo un sentimento? Un’emozione? Va bene. Non per questo però mi devo identificare in quel sentimento e in quell’emozione. Io sono altro, molto altro. Sono attraversata da questo e quello e il loro contrari. Ma sono altro e vado avanti. O avanti e indietro. E chissà che l’oggi non abbia fatto un passo avanti.
    Un caro saluto anche a te.

    Ps: mi potresti consigliare alcune letture (accessibili) su questi temi, in particolare di Spinoza? Giusto per distrarmi durante le vacanze di ferragosto …

  25. Interessanti le tue osservazioni, Milena…
    In quanto a letture, potresti provare con “Cosa può un corpo?” di Deleuze, un testo accessibile anche per il modo in cui è scritto, trattandosi di lezioni universitarie in stile colloquiale, compresi gli interventi degli studenti – sembrano quasi degli appunti sbobinati…
    C’è poi un testo del neuroscienziato Damasio, “Alla ricerca di Spinoza: emozioni, sentimenti e cervello”, ed. Adelphi, consigliatomi da un amico, che però debbo ancora leggere – sembra molto interessante, ma non so dirti quanto sia specialistico.
    Non saprei se consigliarti di provare ad affrontare direttamente l’Etica: se però si riesce a superare la fatica dei continui rimandi da una proposizione all’altra, con tanto di catena dimostrativa (ma dopo un po’ ci si abitua), trovo che sia un testo non impossibile da affrontare.
    Buone letture e buone vacanze!

  26. Grazie md. per i suggerimenti, anche se ormai è forse un po’ tardi per trovare quei libri per le vacanze estive, ma di sicuro li terrò presenti.
    So che è anche un po’ tardi per continuare sul discorso che avevo intrapreso, ma questa mattina, ripensandoci, mi è parso che le cose possono essere più semplici di come le avevo espresse ieri. Mi sembra infatti che i discrimine fra sentimenti sani e degni di essere alimentati e, viceversa, sentimenti insani quindi indegni di essere nutriti, stia nel riconoscerli o meno come passioni. Poiché sono proprio le passioni a renderci schiavi e a privarci della libertà. Certo è che quando siamo dominati di una o l’altra passione, ne subiamo la dipendenza e crediamo erroneamente che niente altro possa renderci felici. Sembra infatti che le passioni nascondano a noi stessi la cosa desiderata, più profondamente desiderata, che è quella di essere liberi dalle passioni.
    Allora, buone vacanze anche a te

  27. Però, che sciocca! Non mi ero accorta che hai già compiuto un bel lavoro su Spinoza, qui presente nel blog. Inizierò da questo, e grazie ancora

  28. Anche l’immortalita’ e’ noiosa.

    Se vivessimo in eterno avremmo sempre tempo per fare qualsiasi cosa. E non godremmo della fugace felicita’ del presente.

    Oggi la noia e’ strutturale agli uomini che sono stati resi oggetto dal tempo del dominio tecnologico.

    Essi non sono piu’ attori dell’hegeliana contrapposizione servo -padrone.

    Il loro tempo e la loro vita (persino il loro funerale) e’ interamente gestita dal “mercato”.

    E non si tratta propriamente nepure di quella che Marx chiama alienazione. Infatti l’alienazione e’ sempre contenuta nello scontro servo padrone e trova la propria risoluzione definitiva nell’affermazione del comunismo.

    Si tratta di un totale dominio di una Divinita’ che chiamiamo economia che ha reso tutti funzionari ed il tempo presente uguale al futuro.

    E la vita, percio’, noiosa.

    Dio e’ morto. E la morte di tutti i valori afferma la nuova religione del nichilismo.

    La droga, l’acool, la velocita’ ed il sesso sono in qualche modo disperate risposte al vuoto nei valori lasciati dal nichilismo di una generazione “annoiata” perche’ senza rivoluzione.

  29. @Fabio
    Io penso che le fatiche della sopravvivenza siano state per l’umanità un grande mezzo di superamento della noia. Per questo, io, che penso che l’uomo sia in fondo un animale come gli altri (2% di differenza nel DNA rispetto allo scimpanzè dicono), parlavo della noia degli animali domestici. Noi uomini delle società tecnologiche somigliamo a loro, ed in particolare agli animali domestici che citavo: la tecnologia ci libera da tante fatiche, e lo dico anche per esperienza diretta, ricordando nella mia infanzia le fatiche qoutidiane di mia madre, ci deve poi liberare del tempo libero che c’ha donato. Questo naturalmente è un ulteriore occasione di business, ma rimane questo aspetto per me paradossale di fare di tutto per non faticare tutto il giorno, finendo poi per confrontarci col problema di cosa fare del tempo libero.
    Naturalmente, questo è un discorso statistico: l’otium romano era una formidabile occasione per incamminarsi verso la saggezza, ma la saggezza inevitabilmente riguarda solo una percentuale trascurabuile degli uomini. Non so perchè le cose stiano così, ma sarebbe sciocco a mio parere non considerare le differenze interpersonali storicamente sempre verificate, anche se molti di noi desiderebbero che le cose stessero diversamente.
    Ritorniamo quindi al tema della tecnologia e della sua spaventosa influenza sui nostri comportamenti, e mi fermo qui.

  30. Ciao Vincenzo.

    Secondo il concetto di “alienazione” di Marx, l’uomo subisce un processo di estraneazione nella produzione, recuperabile attraverso la soluzione definitiva del conflitto servo-padrone (comunismo).

    Il punto e’ che il polemon servo-padrone e’ comprensibile in una logica ottocentesca, laddove nel XXI secolo questo conflitto sia superato dal dominio del Mercato e della Tecnica ad esso funzionale. Che ha reso il padrone ed il servo ugualmente ad esso subordinati.

    L’uomo diventa oggetto ed il suo tempo non gli appartiene piu’.

    Non perche’, come diceva Marx, di esso se ne e’ appropriato il padrone, ma perche’ se ne e’ appropriato il “padrone” del “padrone”. Il Mercato.

    In questo contesto di “alienazione”, la noia non e’ accettabile in quanto non funzionale al Mercato.

    Esso si incarichera’ di riempire ogni spazio di alienazione con l’unica cosa che puo’ offrire: le merci. Che potranno assumere di volta in volta, a seconda del “consumatore” che si ha di fronte, la forma della “droga”, dell’alcool, del sesso (malamente scambiato per emancipazione), della velocita’, del nuovo tipo di automobile, del cellulare, eccetera.

    Morti tutti i valori, il danaro diventa il nuovo generatore simbolico di valori in grado di attrarre le energie alienate.

    I giovani, infatti, “alienati” nel senso che abbiamo chiarito, non sopportano la noia. E ce lo dimostrano sovente con le piu’ tragiche conseguenze.

  31. @Fabio
    Sarei abbastanza d’accordo con te, salvo sostituire noia con ozio: è l’ozio che è inaccettabile, e la noia sarebbe invece lo stato d’animo che permette l’omologazione. Infatti, la generazione della noia dall’ozio è tutt’altro che scontata, e questa capacità di apprezzare e di godere dell’ozio si potrebbe considerare la vera opposizioone alla società di mercato del monopensiero.

  32. Io ho letto “La nausea” di Sartre ; non so se a quei livelli ma l’ho provata sulla mia pelle.
    Noia/nausea/angoscia è difficile fare un distinguo.
    Qui non si parla di noia per “giramento di pollici” perchè una domenica piove o si è costretti a stare qualche ora sotto l’ombrellone in spiaggia.
    Questa noia è più macroscopica, è angoscia allo stato puro.
    E’ però noia totale , noia della vita non di quel quotidiano momento.
    Se è noia breve del non saper trascorrere il fine settimana la superi ancor meglio come dice Mario con lavori manuali ma quando persiste per settimane , mesi è il lavoro intellettuale che ti permette di uscirne almeno nella mia esperienza.
    In certe occasioni mi sono “fatto” di musica rock tutte le sere per ore fino allo sfinimento , in altre mi sono “ubriacato” di libri fino al coma librario.
    Come dice Mario potrebbe esserci attinenza tra noia/nausea e relazioni sociali in quanto io per esempio con gli anni sono scivolato nella misantropia ; però analizzandomi trovo che questa dipenda dal fatto che non trovo persone con pari miei interessi probabilmente però o per una mia pigrizia o perchè nella mia zona non ci sono molte iniziative culturali ( sono immerso nella zona del Prosecco e dei natali dello Spritz ) da coltivare la sera o nei fine settimana.
    Dice una cosa esatta Vincenzo quando porta la metafora del pittore : per discutere del quadro devo essere sincero se non si vive questa esperienza è molto difficile essere obiettivi in merito.
    Questa noia/nausea Vincenzo non ha niente a che vedere con l’ozio oppure stiamo parlando di cose completamente diverse.
    Molte persone ora non ci sono più perchè sopraffatte da questo “male”; quante volte ho sentito commenti del tipo .
    Io rispondo sempre .
    Io ad esempio ho avuto un’ esistenza tormentata in tutti i suoi stadi : infanzia, adolescenza, giovinezza e certamente questo influisce è ineluttabile ma in tutti questi passaggi c’è sempre stato un libro al mio fianco. Fumetti prima ( francamente per distrarmi non nego che ne leggo ancora, quelli del mio ragazzetto ) libri per ragazzi , libri e saggi poi ed ora.
    La lettura e il desiderio di apprendere sono stati sempre la mia ancora di salvezza, non saprei concepire un’esistenza senza questo.
    Ora come ho già detto in altro post l’approdo alla Filosofia è un vero “toccasana” , trovare passione per i filosofi mi ha fatto rinascere a nuova vita e mi sta aiutando moltissimo ad “accumulare” serenità.
    Non se ne abbia Mario se il mio inconscio l’ha preso a Mentore di questa vastità che chiamasi “Filosofia”.
    Piarantonio D.F.

  33. quante volte ho sentito commenti del tipo : “aveva il lavoro, una casa , una famiglia, va a capire te”.
    Io rispondo sempre “Ogni mente è un mondo sè non si può standardizzare l’individuo”. Ciò che è il massimo per uno può essere il minimo per un’altro.

    Sul post di prima non sono comparse queste scritte probabilemente perchè le avevo punteggiate in modo errato.

  34. Non so chi tu sia, leggerò i filosofi da te citati, ma come inizio di articolo sinceramente non esprimi minimamente che cosa sia la noia, quella che provo io ora, una sensazione momentanea e che penso passerà ma che ora sto provando. L’essere stufi perché la vita oggi non ha uno scopo, non si crede più in nulla, non vedo speranze per il futuro, non mi interessa fare figli, non ho interesse nella mia relazione, non credo di avere molte speranze lavorativamente parlando. Mia madre è sempre stata una persona altera e depressa, poco tempo fa mi ha detto che la vita finisce prima dei 30 anni, il resto praticamente è merda (questo lo aggiungo io). Questa è noia, nessuno sconvolgimento o sensazione che ti prende come hai descritto, solo un sentirsi annoiati giorno dopo giorno, con ogni tanto qualche momento di stupore o sorriso che si fa sempre più raro.

  35. cara Lucrezia, anch’io ovviamente non so chi tu sia, ma da quel che dici tenderei a identificare quello stato di cui parli con la disperazione piuttosto che con la noia: fortuna vuole che le passioni, anche le più tristi, sono oscillanti, vanno e vengono.
    Il sentimento che descrivevo in quel post di tanti anni fa – che comunque è soggettivo e soprattutto affetto da radicale solitudine – ha più a che fare con una sorgiva angoscia esistenziale, il sorgere di una domanda radicale sul senso del mondo, e lo straniamento che si prova di fronte a questo sprofondare dei significati.
    La disperazione di cui tu parli è forse più socialmente connotata: è la società ad essere affetta da mancanza di senso e di prospettive. Forse stiamo parlando di una specie stanca di se stessa e del suo perenne affannarsi, per poi dover finire inevitabilmente nel gorgo muto. Meglio allora l’antica pace (e noia e brevità) del tempo animale?

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