Deriva patologica

La prima cosa che mi è venuta in mente vedendo il volto insanguinato del sovrano – il corpo del sovrano violato ed esposto con le sue stimmate – è stata, come immagino per altri, il detto popolare chi semina vento raccoglie tempesta.
Il problema è che chi, come me, intendeva (ed intende ancora) la politica come la sapiente arte di mettere insieme il lato razionale e quello passionale, si trova forse un po’ spiazzato di fronte a quel che accade oggi. Poiché di razionale è rimasto ben poco – per lo meno in superficie, dato che poi la gestione degli interessi materiali mantiene sempre una sua logica ferrea; mentre il lato “passionale”, quando ancora c’è – l’appassionarsi alle idee e al tentativo di metterle in pratica per trasformare l’esistente – sembra ormai consegnato alla sfera del patologico.
Se è vero che alcuni fatti sono densamente popolati dai simboli, allora la maschera di sangue del quasi monarca italiano ne raccoglie davvero tanti. Innanzitutto quella forma estrema di patologizzazione della forma del politico e del suo linguaggio: le dinamiche amico/nemico e soprattutto amore/odio, che pure in politica non sono mai assenti, tendono a polarizzare e semplificare ogni discorso e ogni modalità relazionale della società civile e del suo esprimersi pubblicamente. Una forma patologica, che è se vogliamo psicopatologica: non intendo usare il termine “follia”, che detesto proprio perché generalmente imposto da un potere normativo che definisce folle ciò che sfugge alla sua ortodossia, ma non c’è dubbio che una certa irrazionalità (peraltro mai disgiunta dagli affari) che circola nella testa del capo provvidenziale, unto, miracolato e quant’altro, finisce poi per attrarre e innescare meccanismi psicosociali imprevedibili.

C’è poi la maschera: se devo essere sincero mi ha molto impressionato (e perfino impietosito) quella maschera di sangue, che oltretutto era particolarmente raccapricciante se confrontata con l’altra maschera, quella con il sorriso a mille denti solitamente esibita (con la variante rabbiosa e digrignante). Certo, qualcuno avrà anche potuto pensare che non sarebbe stato male spegnergli quel sorriso ghignante, dato che, a ben vedere, non c’è proprio nulla da ridere…
L’esibizione, infine, del corpo del sovrano, con tutta la sua paradossalità: quello che dovrebbe essere un corpo inviolabile (a proposito: ma quell’esercito di scagnozzi cosa stava lì a fare?), il corpo sacro del potere che si rovescia nel suo contrario: l’estrema vulnerabilità ed esposizione – il prezzo da pagare, perfino con l’immolazione, se si vuole essere tutt’uno con il popolo. (Anche qui bisognerebbe porre maggiore attenzione al linguaggio: mi pare che Berlusconi non parli ormai più di gente, ma sempre più spesso di popolo).
Ma ancor più, con il solito colpo teatrale, quello stesso corpo insanguinato viene mostrato ed esibito (e davvero Berlusconi è un mostro, da questo punto di vista) – anche se poi in tale esibizione mediatica ciascuno ci potrà leggere quel che crede: potenza, forza, invincibilità, ma anche i suoi inevitabili rovesci, vulnerabilità, labilità, finitezza, mortalità. E però, insieme, la forza simbolica della vittima e del martire.
Che lezione trarne?
In realtà non mi pare ci sia nulla di nuovo o di inedito: quel gesto è totalmente iscritto nella soggettivizzazione e nella patologizzazione della politica di cui parlavo in apertura. Quando non ci sono (all’apparenza) progetti o idee forti che si misurano, la parola passa ad altro. Eppure non ci si deve fare ingannare, perché invece i progetti e le idee forti ci sono eccome: ammansire, ordinare, omologare, anestetizzare, riplasmare in maniera autoritaria la società cancellando ogni forma di dissenso e di conflitto, non mi pare siano parole d’ordine da ascrivere all’assenza progettuale. L’irrazionalità e la violenza sono, da questo punto di vista, ben prima che inconsulte reazioni popolari, strumenti come gli altri per governare. (Del resto, uno degli esordi del governo berlusconiano del 2001 è stato il macello di Genova, non va mai dimenticato, e lì le maschere di sangue furono centinaia, con un ragazzo ucciso. Mentre l’ultimo governo Berlusconi ha aperto la sua attività con la dichiarazione di guerra ai rom e ai clandestini).
Come uscirne per tornare su un terreno politico-razionale? Innanzitutto bisognerebbe essere in grado di sottrarsi alla distorsione, ai linguaggi e alle modalità del politico imposti in questi ultimi decenni – un’onda lunga che arriva da lontano, dagli anni ’80, da Craxi, dalla mediatizzazione della politica, dal farne un circo e uno spettacolo (peraltro sempre più basso e becero) cui i cittadini dovrebbero limitarsi ad assistere senza partecipare e dire davvero la loro, se non, con parsimonia, ogni tanto alle urne. E senza mai disturbare il manovratore.
Ma il problema non è tanto la classe politica – peraltro in gran parte, a destra e a sinistra, contaminata dalla deriva patologica. La responsabilità maggiore sta, come sempre, dalla parte dei cittadini, e nella loro scelta di volerlo essere fino in fondo – così come raccomanda la costituzione – senza consegnare a nessuno deleghe in bianco. Del resto, se talvolta appare così labile il confine tra lotta politica e violenza, ci vuole ancor meno a diventare sudditi…

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Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

96 pensieri riguardo “Deriva patologica”

  1. Ti dirò che queste discussioni, in sè sicuramente giustificate dal contesto politico in cui ci ritroviamo, mi sembrano del tutto fuori luogo, se innescate da un episodio che io considero di cronaca nera, e in cui vedo con rammarico un voler scaricare chissà che motivazioni sociopolitiche improprie. Voglio dire: che il clima politico sia quello che vediamo, non è certo cosa di ieri. Mi chiedo se non è un errore volerle suscitare come conseguenza dell’azione di una persona squilibrata. Insomma, se il premier non veniva colpito, avremmo dovuto concludere che il clima politico era civile e pacifico?
    Queste considerazioni non sono fini a sè stesse, perchè temo che si finisca per attizzare una contesa politica in cui Feltri dirà che il clima d’odio è dovuto ai giudici comunisti, e l’opposizione, invece di dare a quest’episodio la delimitazione che richiederebbe, rispondono rimproverando al signor B. questo stesso clima. Mi pare che così si faccia il suo gioco, come sempre direi, perchè non esiste un’opposizione propositiva, ma solo il contrasto speculare alle sue posizioni.

  2. @Vincenzo:
    certo che puoi considerare quel che è accaduto ieri un fatto di pura “cronaca nera”, ma il problema sta proprio qui: che da qualche decennio la politica è stata sequestrata dalle cronache (nere, giudiziarie, rosa, d’avanspettacolo), e il solo riportarla sul suo terreno proprio sarebbe già un’operazione politica di alto livello.
    Le mie riflessioni, però, andavano anche al di là dell’attualità politica: è l’uso politico del corpo (e della sua proiezione immaginaria) ad essere oggi al centro della scena. Sia esso il corpo del potere o il corpo (reso invisibile e cancellato, “nuda vita”) del clandestino.

  3. A proposito di uso politico del corpo, alcune mie riflessioni.
    ciao, Nic

    OLTRE LA VISEITA’ E LE MADONNINE VOLANTI…

    Scrivono Deleuze e Guattari in Millepiani: “Quando il viso si cancella, quando i tratti di viseità scompaiono, si può stare certi che si è entrati in un altro regime, in altre zone infinitamente più silenziose ed impercettibili, dove si operano divenir-animali e divenir-molecolari sotterranei, deterritorializzazioni notturne che oltrepassano i limiti del sistema significante”.
    Forse è quello che avrebbe voluto ottenere Tartaglia col suo lancio di ‘o mia bela madunina’ – chissà… – ma non è su questo, né sulla non efficacia del risultato, che intendo soffermarmi.
    Su viseità e apparati di potere lascio volentieri la parola a Gilles Deleuze (1), per soffermarmi invece su qualcosa che ieri è venuto allo scoperto, anche grazie all’apparizione della madonnina volante.
    Non più di un mesetto fa, il Giornale di famigghia parlava di precise (e islamiche) minacce contro il corpo del despota (2), mentre altri media, più cautamente, parlavano di “giallo” rispetto alle minacce (3).
    Il tutto mentre il commissario Basettoni metteva in circolazione le sue “tesi politiche” (4) – a cui è ovviamente seguito un mese di botte a studenti, operai, antirazziste/i nonché arresti per antifascismo o “rapina aggravata di fotocopie”.
    Bene, da ieri è diventato di dominio pubblico – ma quanti/e se ne stanno rendendo conto? – che il “pericolo” islamico/sovversivo/antagonista/quelcazzochesivuole era in realtà un rischio di aggressione da parte di qualche mitomane (5). Be’ non c’è bisogno dell’intelligence pagata coi soldi pubblici per arrivare a così banale conclusione rispetto a chi – principale mitomane di se stesso – da anni gioca tutto su potenziamento/moltiplicazione/replicazione della propria viseità liftata e corretta.
    Nel rimbecillimento catodico generalizzato, tutto scorre senza lasciare traccia. La memoria, anche a breve termine, è un “lusso” per poche/i, e dopo Basettoni (&Spennacchiotto, quello che si auto-manda lettere di minaccia targate BR) ci ritroviamo nel magico mondo dei Puffi, che oggi non son più blu ma viola (senza neppure sapere che quello è, per antonomasia, il colore lesbico!).
    Sicuramente la “svista” di ieri farà saltare qualche testolina – per altro facilmente sostituibile negli apparati di potere. Qualche testolina che, in nome del democraticissimo “monopolio di stato della violenza” e in nome della sicurezza, di teste altrui ne ha fatte aprire fin troppe nell’ultimo mese…
    Unica nota divertente nel quadro golpista, Tartaglia aveva in tasca anche un crocefisso, un’altra madonnina e dello spray al peperoncino. Secondo la questura questi oggetti starebbero a confermare la premeditazione del gesto (i “raptus”, si sa, sono privilegio soltanto dei maschietti che ammazzano le donne).
    Evidentemente in questa società il crocefisso – ormai emblema di una fin troppo “laica” guerra di civiltà – ha una funzione assai flessibile…

    (1) http://video.giovani.it/gilles-deleuze-viseita-potere.html

    (2) http://www.ilgiornale.it/interni/berlusconi_rivela_minacce_al_qaida_ce_piano_farmi_saltare_aria/15-11-2009/articolo-id=399117-page=0-comments=1

    (3) http://tg24.sky.it/tg24/politica/2009/11/15/sicurezza_e_giallo_sulle_minacce_a_berlusconi.html

    (4) http://www.unita.it/news/italia/91300/a_lunit_documento_dei_nuclei_azione_territoriale_maroni_segnali_seri

    (5) http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/politica/giustizia-21/rischio-mitomani/rischio-mitomani.html

  4. Salve.

    Io credo che, in qualunque modo la si pensi, per ciascuno dovrebbe essere stella polare del proprio ragionamento la verità e anche la giustizia (che per me è a essa collegata, anche se mi rendo conto che nella vita pratica no). Ora il fatto in sé è circoscritto al gesto di un uomo che sembra abbia problemi psichici. Il problema vero è che non si può chiudere gli occhi di fronte ad un fatto: per alcuni la lotta politica è la riduzione al silenzio, se non addirittura l’eliminazione fisica, di chi è visto non come un avversario politico ma come un nemico. E non parlo di quel povero cristo che devo confessare mi ha fatto pena quando ho visto le immagini del momento in cui veniva portato via. Aveva gli occhi sbarrati, era terrorizzato (almeno questo a me è parso, forse perché non trovo giusto infierire su chi è più debole). Sto parlando invece dei tanti, anche miei amici (di alcuni dei quali non lo avrei mai pensato), che hanno esultato, si sono complimentati. Qualcuno ha detto che era un’occasione da brindisi. E perdonatemi il paragone improprio e radicale, mi sono venuti in mente i mafiosi che brindavano per il risultato dell’attentato di Capaci. Ovviamente non voglio paragonare Falcone a Berlusconi. Ma quel giorno ho provato amarezza, esattamente come quando ho letto questa cosa ieri. Giustamente si è detto, usando una perla di saggezza popolare, che chi semina odio, raccoglie tempesta. E’ verissimo. Ma chi sono i seminatori? Certo se si dipinge una persona come un delinquente, un mafioso, un truffatore, un tiranno e un affamatore può darsi che prima o poi a qualcuno viene in mente di compiere un gesto da eroe. Ma questo è nella natura umana. Chi è contro i tuoi interessi è visto da te come la fonte stessa dei tuoi mali e quindi il tuo desiderio è che sparisca. Il padre di quell’uomo ha detto tranquillamente che loro votavano altrimenti ma mai avrebbero pensato che sarebbe successa una cosa simile. Sicuramente. Ma magari, come capita a tutti, vedendo la televisione, leggendo i giornali, commentando le notizie può essere capitato di dire “Che mascalzone. Qualcuno dovrebbe dargli una bella botta in testa”. Non certo perché quello fosse il loro vero desiderio. E magari anche i commenti della gente…si dice più per sfogo che per mettere in pratica ciò che si è detto. Poi magari una mente non del tutto lucida può interpretare male ciò che ascolta e decidere di far diventare reali queste tigri di cartone.

    Però a me, al di là dell’episodio, mi piacerebbe discutere del manicheismo che intride taluni discorsi e reazioni. Perché se Berlusconi dice alla Bindi che è più bella che intelligente (battuta pessima) le donne insorgono in coro affermando di sentirsi insultate anche loro dal premier, con tanto di foto che lo certifica (come da campagna di Repubblica), e invece quando Sabina Guzzanti dice che la Carfagna fa il ministro perché “glielo ha succhiato”, le suddette donne non si sentono svilite e offese? Oppure quando un vignettista dileggia la Meloni (il titolo delle vignette mi pare fosse Ministronza) raffigurandola in una fogna e usando oscenità di tutti i tipi nessuno dice nulla?

    A presto

  5. @Luciano
    a proposito dell’ultima parte del tuo commento, posso essere indignato da tutte le manifestazioni della volgarità umana (al di là del fatto che si nascondano o meno dietro la satira), però ammetterai che è un po’ diverso che sia il presidente del consiglio o un caricaturista o un comico a far le battute.
    Sull’uso osceno, poi, delle donne e dei loro corpi in “politica” (ma è “politica”?), è stato certo il berlusconismo a farne un suo cavallo di battaglia.
    Il problema non è tanto (o non solo) Berlusconi, ma, appunto, la patologizzazione e la personalizzazione della politica, che ha trovato in Berlusconi il suo cavallo di battaglia. E poi è davvero una cosa piuttosto inedita (e insolita) nella storia moderna che l’uomo più ricco di un paese ne diventi il premier (e cerchi di diventarne anche il padrone assoluto).

  6. Salve.

    Certamente da un mio presidente del consiglio mi aspetto che sia serio in tutte le occasioni, mentre devo dire che Berlusconi in questo ha lasciato a desiderare in molte occasioni. Ciò detto, io credo che quella della satira sia una bellissima scusa collaudata ormai da secoli. Però a mio modo di vedere la satira è tale quando mette in evidenza un aspetto negativo di un comportamento che si vuole stigmatizzare. L’invettiva personale non è satira, checché ne dicano gli intellettuali benpensanti di questo paese. Ripeto, per quanto di cattivo gusto, la battuta di Berlusconi resta una battuta, alla quale si è reagito in modo spropositato. Quella della Guzzanti non era né una battuta né satira. Lasciamo poi stare la faccenda della pubblicazione “satirica” contro la Meloni. Due pesi due misure. E questo non va bene per una questione di principio, qualcosa di più generale che la convenienza di parte.

    E’ vero che Berlusconi è l’uomo più ricco del paese. Qui si apre una bella questione. Se io che sono ricco (il più ricco) ho il diritto o meno di essere eletto. Ma su questo si potrà discutere più compiutamente nel prosieguo dei commenti e degli eventi che seguiranno.

    Tu dici che si appresta a diventare il padrone? E di chi? Mi pare che esistano numerose voci critiche nei confronti suoi e del governo e francamente non mi sembra di aver visto o sentito di polizia che chiude un giornale oppure di qualcuno che entra in una redazione e distrugge tutto. Vorrei farti notare che è stato battuto per ben due volte e nulla vieta che lo sia ancora.

    Ultima considerazione sull’uso del corpo in politica. Su questo hai ragione, o almeno hai individuato una parte del problema che droga la vita politica di oggi. Io però aggiungerei anche l’uso di volti noti per accaparrarsi voti. Che so…giornalisti ad esempio che sono votati alla fine perché conosci la persona, oppure chi ha subito una tragedia come la morte di un congiunto in un attentato o è rimasto ferito in azioni di guerra. Credo che ogni volta che si offre un posto in parlamento, in consiglio comunale/provinciale/regionale a chicchessia senza che questo qualcuno si sia mai occupato di politica si sta togliendo qualcosa alla politica quella vera che è passione, partecipazione e impegno.

    A presto.

  7. @Luciano: si può diventare “padroni” in tanti modi, delle menti prima che delle cose o dei corpi. Ho dei seri dubbi che questo paese (che già non amo particolarmente) andrà da qualche parte se non mette da parte Berlusconi e il berlusconismo – 15 anni, anzi ormai quasi 20, praticamente buttati via…

    Sulla satira: non possono che esserci pesi e misure diverse – quel che dice un leader politico o un funzionario dello stato non può essere comparabile per sua natura con quel che dice un comico, satirico o presunto tale, volgare o meno che sia. Il primo non si limita a dire, ma decide ed è responsabile di fronte ai cittadini (in alcuni casi tutti i cittadini), il secondo non decide nulla, non ha potere e può tranquillamente essere ignorato o (come spesso accade) oscurato.
    Certo, oggi in questo paese va molto di moda confondere i ruoli, e allora proliferano politici satirici, comici politici, vallette parlamentari, nani e ballerini che fanno i ministri, e quant’altro. Ma chi ha cominciato?

  8. Questo episodio è una cosa molto (non si sa ancora quanto) grave. Il volto di B. insanguinato è stato uno shock, e non posso che essermene dispiaciuta, così come mi ero dispiaciuta quando avevo visto i corpi feriti dei ragazzi del G8, e come quando vedo ogni atto di violenza, compreso le immagini di Saddam col cappio al collo. Ovviamente B. non è uno qualsiasi, è il Premier, il capo del governo.
    Ciò che più temo, però, è che l’aggressione a B. alla fine risulterà per il PDL un colpo di fortuna inaspettato, considerando come sono riusciti a strumentalizzare istantaneamente il fatto, e far passare in ultimo piano che il gesto inconsulto è stato compiuto da un ragazzo (come è stato definito) psicosi-labile. Gesto che andrebbe considerato alla stregua di un epifenomeno, seppur significativo, che emerge imprevisto e casuale dal clima politico di odio fomentato in questi anni. Clima che, anche se da molte parti si esorta ad abbassare i toni, si va si va via via rinfocolando col passare delle ore.
    “Individuare” la parola d’ordine: ed individuati all’istante i mandanti morali del gesto inconsulto, risulta più facile togliere loro potere, metterli da parte e fare ancor meglio quello che si aveva intenzione di fare. Una bella autostrada spianata di fronte, e lastricata a colpi di decreti d’urgenza, eccetera

  9. Bentrovati a tutti.
    @md
    Ho letto l’articolo di Contropiano, in cui mi sembra che l’aggressione a Berlusconi sia giustificata in quanto “individuato” (a proposito della parola d’ordine denunciata da Milena) come nemico di classe e oppressore sociale.
    Personalmente ritengo che l’uso della violenza/forza sia giustificato in due casi: la legittima difesa e la difesa degli indifesi se aggrediti (non considero l’ipotesi del tirannicidio che non credo possa essere seriamente presa in considerazione nel caso di specie).
    Al di fuori dei casi citati ogni atto di violenza ritengo vada semplicemente condannato, senza aggiungere altro.
    Andrea

  10. Salve.
    Io però vedo, come al solito due pesi e due misure. Se la stessa cosa fosse accaduta a Prodi o a Bersani, nell’ipotesi di un governo di centro sinistra, si sarebbe gridato all’assalto squadrista, all’insulto fascista contro un governo democraticamente eletto. E’ questo, a mio modo di vedere, il nodo cruciale. Che significa chi ha cominciato prima? Berlusconi si è ormai fissato con questa litania che i giudici comunisti lo vogliono arrestare. A me però non pare che qualcuno sia andato all’assemblea dell’ANM e abbia aggredito uno dei suoi componenti. Voglio dire, come mai attacchi di questo tipo ne ha subiti solo lui?
    Oppure, non mi pare che qualcuno abbia assalito Travaglio o Santoro.
    La cosa più sconcertante è che ci sono state persone che hanno esultato dopo il gesto. In Italia non c’è la contrapposizione di due schieramenti, c’è l’odio contro la persona e questo sì, genera questo tipo di episodi. Certo, quest’uomo è psicolabile, però non è stato un raptus, perché lui stesso ha ammesso di odiare Berlusconi e il PDL. Allora mi chiedo, chi ha fatto convergere l’odio su una persona additandola come mafioso, come corruttore di minorenni etc. etc.?
    Il centrosinistra non vuole un’alternativa di programma, tanto che alle elezioni gli hanno rimproverato che presentava lo stesso programma del centrodestra, vuole che sia eliminato Berlusconi. Ma così mica andiamo da nessuna parte però…

    A presto.

  11. @Andrea
    Se va condannato, allora è implicito, e non va neanche fatto esplicitamente.
    Per questo, predico il silenzio: lasciamo che sia un fatto di cronaca nera, e non permettiamo che la politica ne sia minimamente influenzata, come purtroppo sembra volere fare il governo con provvedimenti anche nei confronti della rete.
    I risvolti psicologico-politici, questo individuare in un “clima d’odio” non meglio specificato la causa anche del gesto di uno squilibrato mi preoccupa: mi pare sia la strada maestra per mettere il bavaglio a qualsiasi opposizione (o meglio, l’opposizione dovrà essere pacata e ragionevole, cioè in sostanza smettere di essere tale).
    Questo richiamo agli atti politici del premier da parte di oppositori, quasi a volerne individuare una funzione di causa dell’atto di violenza, porta, immagino inconsapevolmente da parte degli interessati, a fare il gioco del governo nel volere dare un’accelerazione al processo autoritario nel nostro paese.

  12. @Tutti
    Alziamo lo sguardo oltre l’indignazione e la preoccupazione per il clima avvelenato nel nostro paese!
    A proposito di violenza, sempre inaccettabile e condannabile, senza se e senza ma, a meno che non si tratti di salvare la pelle (legittima difesa), proporrei questa riflessione: chi di noi può chiamarsi fuori dal ruolo di “mano assassina”, quando leggiamo notizie come questa ?:

    “Unicef: Ogni anno nel mondo muoiono 10 milioni di bambini , uno ogni tre secondi.

    Ogni anno nel mondo muoiono 10 milioni di bambini con meno di 5 anni, un bambino ogni tre secondi. E la causa della morte sono sempre le malattie che potrebbero essere facilmente evitabili o curabili se fosse possibile vaccinare tutti i piccoli o addestrare meglio le levatrici. E’ la denuncia contenuta nel rapporto che l’Unicef ha presentato oggi a Colonia in Germania.

    ”Stati industrializzati e Paesi in via di sviluppo devono fare di piu’ per i bambini”, ha ammonito la presidente di Unicef in Germania, Heide Simonis. Vaccinazioni, reti impregnate con sostanze antizanzare, contro la malaria, oppure lo stesso addestramento di levatrici solo in Africa ogni anno potrebbe salvare la vita a centinaia di migliaia di bambini. Nel rapporto l’Unicef traccia anche un primo bilancio per gli obiettivi del millennio fissati nel 2000 dai capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Onu.
    Tra questi c’era anche l’introduzione su scala mondiale della scuola elementare per tutti.”

    Se accettiamo il massacro, chi ci esenta dalla vergogna ? E’ triste pensare che l’homo sapiens, nato dal caso “cinico e baro” si avvita nella sua “insignificanza” morale.

  13. Torno indietro al primo commento di Andrea.
    Forse non ci si rende conto che è Lui stesso ad essersi eletto a personaggio-simbolo trascinante le forze populiste di un certo tipo. E quindi è la sua immagine, il suo essere quello che è, e che appare, a catalizzare l’odio di tutta quell’altra parte del popolo verso il quale Lui stesso ha fin da sempre espresso abbondantemente il suo odio. Che Lui stesso ha additato fin da sempre come “il nemico”.

  14. Salve.
    D’accordo, ma come mai la sua parte non assalta quella che tu dici essere quella nemica? Come mai nessuno della sua parte va davanti a casa di Bersani e versa letame? Quello che ci si deve chiedere è fino a che punto regge questa favoletta che da una parte ci sono delle povere pecorelle non violente e dall’altra i lupi assaetati di sangue….
    Bisogna riportare le cose nell’alveo della razionalità e soprattutto dell’obiettività, cioé cercare di ripristinare una visione imparziale che sia maggiormente conforme a criteri di Giustizia e Verità e non filtrata da odio politico e visione di parte. Un fatto è un fatto e su questo non ci piove…però se dietro al fatto si vogliono a tutti i costi vedere trame e inganni (che quando effettivamente ci sono vanno assolutamente stigmatizzati e combattuti) non si arriverà mai ad un confronto dialetticamente corretto. Tartaglia è uno psicolabile e il fatto va circoscritto a quello che è senza esagerazioni, però poi non si può elegantemente dire che la colpa di questo è della vittima. A quando l’uscita che Berlusconi era in combutta con Tartaglia per creare il martire?

    A presto

  15. Questo signore da quando e’ “sceso in campo”, ha diviso gli italiani in modo netto. O si sta con lui…o si e’ contro di lui! Una cosa del genere, in Italia, per quel che ricordo, non era mai accaduta prima. Se uno dice che
    gli avversari politici sono dei coglioni, qualche reazione prima o poi deve aspettarsela…per non parlare poi di tutto il resto.
    Saluti

  16. Scusate se riintervengo, ma vedo che sia Milena che Luther “hanno abboccato” alla grande. Leggete Luciano, che è una persona squisita ma con idee diverse dalle nostre, mettetele in bocca al La russa di turno, e vedrete quanto sia vantaggioso entrare nel merito di chi semina odio. Su questo, il signor B. ha TV, giornali, mezzi economici praticamente illimitati, e noi gli diamo corda…
    Credete a me: il gesto del signor Tartaglia è un fatto isolato, e senza alcuna motivazione politica, questa dev’essere la tesi. Se noi ricostruiamo la politica sulla categoria dell’odio, siamo già in piena dittatura.
    E poi non dite che non siete stati avvisati…

  17. Il nodo, infatti, è proprio quello dell’uso politico di categorie come l'”odio” (o, per converso, l'”amore”) – che era quel che denunciavo come “patologico” nel post.
    E’ chiaro che quando si leggono il “conflitto delle classi” e l’ingiustizia sociale in termini di invidia o di odio, ogni lettura o comprenzione razionale di quel che avviene nella società e nelle sue forme politico-rappresentative diventa problematica, quando non impossibile.
    Che non vuol dire che il livello “passionale” sia assente dalla sfera sociale (tutt’altro), ma che la politica (o quel che ne rimane) è proprio il tentativo di trascendere quel livello e di progettare forme razionali alternative di convivenza. Non si tratta di “amore” ma di “giustizia”, e la differenza è abissale.

  18. E’ chiaro che il gesto di Tartaglia sia isolato e senza motivazione politica, anche perché è un semplice uomo della strada, e nessuno ha armato la sua mano. E concordo sul fatto che questa “dovrebbe” essere la tesi.
    Il problema però è questa tesi la sostiene soltanto l’opposizione (in modo piuttosto debole, purtroppo, perché oggi a ragion veduta non posso che rammaricarmi che non solo Di Pietro, ma anche la Bindi si siano lasciati sfuggire in questo frangente delicato quel che in fondo pensano, e che pensano i molti. D’altronde gli esseri umani, anche se politici, non sono esenti da provare emozioni e commettere errori. Perciò, se B. può proclamare ai quattro venti tutte le opinabili idee mosse anche dalle sue emozioni, la stessa cosa non è concessa all’altra parte) mentre resta evidente il fatto che la maggioranza sostiene i contrario.
    Tu auspichi che non se ne faccia un “caso”, ma a me sembra che caso volle che il fatto è già compiuto e sta davanti ai nostri occhi.
    Rabbonire chi non vuol ascoltare, e che non aspettava altro che questo colpo di fortuna per mettere a tacere tutte le accuse rivolte al “povero” B., la vittima, mi sembra una pia intenzione che comunque non avrà alcuna conseguenza effettiva.
    E d’altronde quando sento frasi come quelle espresse da L. ieri sera da Gad, sulla magistratura che “disubbidisce”, mi aspetto che la prossima parola d’ordine sia “ubbidire”. E poi, “taci, il nemico ti ascolta”. Nel qual caso saremmo noi a dover tacere, e a non aver più diritto di pensiero e di parola.
    Concordo in pieno con quello che ha appena scritto md: la dialettica non “dovrebbe” essere giocata tra odio/amore, ma tra giustizia/ingiustizia.

  19. C’è poi un altro elemento di cui bisognerebbe tenere conto: quanto tutto questo è pura trasposizione a livello mediatico e “rappresentativo”, e quanto invece sia effettivamente sentito proprio e vicino al “corpo sociale”. So bene che la differenza tra i due livelli non è mai netta (il corpo sociale si autorappresenta di continuo, anzi non c’è discorso su di esso che non venga fatto in termini di linguaggio o di rappresentazione), però la sensazione che il chiacchiericcio televisivo e la fluvialità parolaia dei giornali (ma anche di facebook, blog e quant’altro) non siano poi così rappresentativi di quanto avviene nel corpo stratificato e complesso della società, è piuttosto forte.
    Un tempo (remotissimo) si sarebbe parlato di “struttura” e di “sovrastruttura”, e di inadeguatezza della sovrastruttura a rappresentare compiutamente la struttura…

  20. Spero di non essere paragonato a La Russa come è successo al povero Luciano, però vorrei far notare che Berlusconi non “fa” la vittima ma E’ stato vittima di un’aggressione fisica. E sottolineo FISICA. Mi sembra che a tutti, e dico tutti sfugga la differenza.
    E’ solo cronaca nera? Certo che no, trattandosi del capo del governo.
    E diciamo pure che il paragonarlo a Hitler o Saddam, come un ineffabile esponente politico fa spesso, non credo contribuisca ad un civile confronto di idee.
    E, per finire, non si dica che così fanno anche gli altri, perché finora, e si spera che resti l’unico, è Berlusconi il solo a essere stato colpito, e il fatto non è, ripeto, di scarso rilievo.

  21. @Andrea:
    non vedo la stessa indignazione quando vengono malmenati fisicamente operai e studenti ai cortei, o quando gli immigrati o i “clandestini” vengono pestati, bruciati (un altro caso pochi giorni fa), cacciati dalle loro baracche. E qui non si tratta solo di mitomani o razzisti, ma anche di quelli che in divisa detengono il monopolio della forza (e dunque della violenza).

    Ho già indicato più volte che ritengo corresponsabili, quando non mandanti di questo imbarbarimento sociale, in primis coloro che ricoprono o hanno ricoperto le più alte cariche pubbliche del paese, siano essi politici di destra o di sinistra.

  22. @Vincenzo
    non ho “abboccato” ad un bel niente. Il gesto di quel disgraziato e’ sicuramente da condannare. Detto questo pero’…ritengo che comunque B. resti quello che e’… effettivamente e’ un “miracolato”… dovrebbe stare dietro le sbarre e invece e’ Presidente del Consiglio.
    Un gesto stupido e oltretutto controproducente.

  23. Prima dichiarazione del Premier

    “Grazie di cuore ai tantissimi che mi hanno mandato messaggi di vicinanza e di affetto. Ripeto a tutti di stare sereni e sicuri. L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”.

    Che bello…!!!! Come si fa a non odiarlo!!!

  24. Non so se vi siete accorti che, più chi meno (tranne md, forse) siamo stati trascinati emotivamente in questa storia. Io proverei a fare un riepilogo provvisorio.
    E’ accaduto un fatto deprecabile da qualsiasi punto di vista lo si guardi, anche se non gravissimo nel senso che per fortuna il Premier è ancora vivo e in poco tempo tornerà quello di prima. Questo fatto però ha provocato anche in questo ristretto gruppo di dialoganti delle emozioni che certo non hanno favorito il dialogo, ma piuttosto un muro contro muro che ci ha diviso grossomodo in due fazioni.
    Abbiamo capito però, spero, che le categorie amore/odio non andrebbero mescolate con la politica, che andrebbe invece gestita con le categorie giustizia/ingiustizia.
    Però, ammettiamo pure che ci siano,dei sentimenti, e che non possiamo districarci facilmente da questo groviglio di emozioni (cosa che per altro mi sembra accada non solo in strada ma anche in parlamento). Ammesso questo, e se siamo sinceri e non ingenui, vorrei chiedere ad ognuno che ammetta di avere uno o l’altro di questi sentimenti, quale sia lo loro origine, da dove provengano. Perché, se da una parte mi rattrista constatare il possibile “odio” verso una persona, che non è una persona qualunque ma è il capo del governo, d’altra parte non capisco da dove provenga e quale scopo ha di essere l’“amore” verso lo stesso.

  25. Salve.

    Io però vorrei aggiungere alle parole di Milena che non sto parlando dell’episodio in sé. Sto invece parlando di quello che è uscito anche qui che siamo quattro gatti e tutti istruiti, civili. Parlo dell’uso che si fa di un fatto e anche delle parole. Luther citando una frase detta dal premier ha concluso con “come si fa a non odiarlo”. Esattamente come prima parlavo del fatto che alcune persone hanno esultato dopo l’evento. Cioé il problema non è di opposti schieramenti. Il problema è l’odio nei confronti della persona, per cui qualunque cosa accada, qualunque cosa venga detta, viene letta in chiave negativa per la persona stessa. E’ il sentimento di rivalsa, economica e sociale che pervade i ragionamenti, altro che passione politica.

    A presto.

  26. @Luciano, scusami, ma il tuo messaggio non mi è del tutto chiaro. Mi sembra di capire che stai deviando il tema del possibile amore/odio verso il Signor B, al problema del possibile odio per la “persona” in generale, e attraverso l’uso che si fa delle parole. E’ questo?
    Se è questo sarebbe meglio approfondire perché sono interessata al problema.
    (Però sarei interessata anche a continuare a parlare dell’altro problema, dopo). Ciao

  27. Salve.
    Veramente non parlavo di odio per la “persona” in generale, che peraltro potrebbe essere un interessante tema di discussione. Io intendevo proprio l’odio nei confronti di quella persona. Purtroppo per me qualche annetto ce l’ho e ho visto morire dei giovani su fronti contrapposti:Walter Rossi, Valerio Verbano, Claudio e Iaio, Scialappa, Bigonzetti, Ciavatta, Recchioni, Mancia, Giaquinto,Di Nella, Cecchin. Però una cosa mi ha colpito girando in lungo e largo per la mia città: non ho mai visto una scritta inneggiante agli omicidi dei ragazzi di sinistra mentre ne ho viste a centinaia su quelli di destra. 10, 100, 1000 Acca Larentia (a volte con l’aggiunta “il resto Mancia”) oppure 10, 100, 1000 Di Nella. E devo dire che dallo stesso versante vengono poi le più recenti 10, 100, 1000 Nassirya e l’ultima “-6”. Ecco allora c’è da chiedersi se la politica sia la costruzione di un programma di alternativa a quello in fase di attuazione per tentare di migliorare il nostro paese o invece odiare il nemico e gioire quando gli succede qualcosa. Se sia proporre soluzioni ai problemi o cercare di demolirlo come persona di fronte agli occhi della gente. Ripeto, se qualcuno, fosse anche il padreterno, commettesse dei reati deve rispondere di quei reati e non me ne frega un accidente se lo hanno eletto con il 100% dei voti. Si mette un sostituto e lui, se ha sbagliato, va in galera. E continuo col dire che chi sappiamo non è certo un fiorellino di campo. Però agire come il famoso lupo che dice all’agnello che gli sta intorbidando l’acqua che beve e alla constatazione dell’agnello che gli fa notare di essere a valle, lui risponde che sei mesi prima lo aveva insultato e quando ancora una volta l’agnello gli fa notare che a quel tempo non era nato il lupo dice “allora saranno stati i tuoi genitori” non ci sto. In defitiva io vorrei soltanto che la lotta politica non fosse intrisa com’è di manicheismo, ma improntata alla lealtà e alla passione vera. Mi chiedo, prima o poi Berlusconi dovrà sparire dalla scena politica….la sinistra che cosa farà?

    A presto.

  28. @Luciano:
    il problema che sollevi non è di poco conto, dato che attiene a questioni di ordine storico, alla lettura della storia italiana degli ultimi 60 anni, all’idea di sinistra e di trasformazione sociale, al rapporto tra violenza e rivoluzione e quant’altro (tutti temi complessi che non inizio nemmeno ad affrontare e che temo ci porterebbero lontano).
    Di fondo c’è il problema della non equiparabilità tra i morti dei due fronti che in Italia hanno guerreggiato prima negli anni della Resistenza e, successivamente, negli anni ’70. I morti son tutti morti e invocano tutti pietà, ma i fronti politici e ideologici non sono tutti uguali, per lo meno non lo sono per chi li vive storicamente ed è in lizza. E come cantavano i CSI, bisogna scegliere da che parte stare della linea gotica.
    Detto questo, mi pare che una serie di tensioni e di contrapposizioni, e più in generale la violenza politica, siano dei capitoli (quasi) chiusi della storia italiana – dico quasi perché saranno effettivamente chiusi solo dagli storici, e soltanto quando l’ultimo protagonista di quegli eventi sarà stato sepolto.
    Nessuno di noi credo voglia il risorgere degli “anni di piombo”, tuttavia questo non dipende dalle buona volontà dei singoli ma dalle dinamiche storiche (che hanno sempre in sé un certo tasso di violenza). Del resto, se domani il governo dovesse far passare una serie di leggi d’emergenza restrittive della libertà di opinione e di manifestazione quali scenari si aprirebbero? E chi si trova recluso in un CPT non ha forse il diritto di resistere alla detenzione?
    Dopo di che chi scrive 10 100 1000 Nassirya o scrive -6 è e resta un imbecille (ma singoli o gruppi che la pensano così non fanno certo “la sinistra” o il “popolo di sinistra”). Ciò non toglie però che il primo atto di violenza viene innanzitutto da chi ha deciso di partecipare a una guerra sporca ed illegittima (sia sul piano internazionale che per la nostra costituzione) in nome di principi umanitari non ben definiti, e piuttosto costosi e sanguinosi visto il numero di civili uccisi.

    Ma torno, brevemente, al “fatto” oggetto principale della nostra discussione – che evidentemente, come avevo previsto e argomentato, è densamente popolato di simboli e di significati.
    E una cosa è certa: Luciano aveva suggerito che qualcuno avrebbe avanzato addirittura l’ipotesi di un Berlusconi in combutta con Tartaglia – non ce n’era nessun bisogno, visto che il fatto è stato comunque girato e manipolato ad arte ad uso e consumo di chi controlla largamente i canali televisivi. Basti dare un occhio ai vari TG di questi giorni per rendersene conto.
    E tra pochissimo arriveranno le bastonate alla rete (al momento incontrollabile da parte del potere) e alle piazze.
    Stiamo in campana…

  29. Siamo rimasti senza più parole, aggrediti da immagini e voci. Ed è difficile chiamarlo “amore”. Fra ieri e oggi ho scartato ad uno ad uno tutti i pensieri che si proponevano nella mia mente. Fra tutti, oggi ne salvo uno. Il proposito, nonché l’esortazione a mettere in luce quello che ci unisce anziché quello che ci divide.
    La vera scelta oggi credo che dovrebbe essere questa, per il Bene comune. E chiedo a tutti, invece o prima di schierarsi da una parte o dall’altra, di dare il segnale che questo sia possibile, che sia possibile venirsi incontro tra di noi, noi che non siamo là sulla scena della politica e del potere, noi che non siamo liberi di non prendere una posizione, costretti come siamo a prenderla coinvolti e trascinati dai media, e allora invece finalmente liberi di superare le contrapposizioni che ci suggeriscono di dividerci ancora.
    Noi non tiriamo pietre e non mettiamo bombe. “Noi” facciamo l’amore, e lo facciamo tra di noi senza esclusioni, in-vece di riversarlo su uno o l’altro simbolo del potere politico o religioso. Questo dovremmo dire. Questo dovremmo fare. Questo dovremmo dimostrare come possibile. Mettere in luce quello che ci unisce, in-vece di quello che ci divide.

  30. Salve.
    E’ certamente un ottimo proposito. Purtroppo cozza contro la mentalità sociale che va sempre più prendendo piede e cioé l’individualismo. In altre parole si è contrapposto il concetto/valore di popolo (alcuni dicono comunità) al fatto che in realtà siamo solo un insieme di singoli e come tali per forza egoisti e proni al nostro interesse personale. Persino la nostra forma di gestione politica che chiamiamo erroneamente democrazia, viene espletata come due parti contrapposte, come se una dovesse prevalere sull’altra determinandone la rovina. Se ci si basa su questi presupposti non arriveremo che alla disgregazione sociale. Stiamo iniziando con questa scemenza del federalismo, richiesto dalla Lega e invocato poi da tutti come la panacea di tutti i mali quando scoppiò tangentopoli.

    Per inciso, e su questo mi piacerebbe si aprisse una discussione anche in vista delle possibili “riforme” future, sono convinto che è proprio il nostro modo di costruire la gestione del paese che non può far altro che portarci a questo. Noi eleggiamo una maggioranza e insieme ad essa il primo ministro. Quindi ovviamente la minoranza non si riconoscerà in quel primo ministro e lo vedrà sempre e comunque come un avversario. Più di una volta ho sentito esponenti politici dire che il ruolo dell’opposizione è quello di mandare a casa il governo. Ma ciò è assurdo giacché il governo rappresenta (almeno dovrebbe) il potere esecutivo di tutto il popolo. Esattamente come il parlamento rappresenta il potere legislativo di tutto il popolo e non due fazioni. Di fatto nel nostro paese potere legislativo e potere esecutivo coincidono. E questo è vero qualunque sia il colore della coalizione.

    Comunque, sfogo a parte, speriamo di fare scelte giuste quando saremo chiamati a farle.

    A presto.

  31. Vorrei prima rispondere a Milena, che esorta a spiegare perché odiamo o amiamo Berlusconi.
    Nel mio caso il mio giudizio non è dettato da nessuno dei due sentimenti: di sicuro non amo Berlusconi (non lo voto; e con tutti gli scioperi che ho fatto contro il governo negli ultimi due anni potrei farmi bei regali di natale…).
    Non direi neanche che lo odio. Semplicemente dissento dalla politica del suo governo, sotto vari punti di vista.

    Detto questo, tornerei a ragionare con md. Ho l’impressione che il tuo discorso finisca per considerare legittimo l’uso della violenza politica, nel momento in cui equipara la violenza contro il premier a quella contro i manifestanti di Genova o contro gli immigrati respinti o reclusi nei CPT.
    Il tuo ragionamento mi sembra questo (ma forse mi sbaglio): B. è il “mandante” di azioni violente – come la repressione al G8 o la guerra in Iraq – quindi l’uso della violenza nei suoi confronti è giustificato e legittimo.
    Se ho capito bene, allora mi pare che ci sia una grande confusione. Ed esattamente quella del mettere sullo stesso piano l’uso della forza da parte dello Stato, e la violenza esercitata arbitrariamente da singoli o gruppi (questo sì barbarico, tipico dello stato di natura hobbesiano). Quello che leggo in controluce è un rifiuto della concezione dello stato di diritto e quindi del monopolio statale della forza presente in esso.
    Se si crede nello stato di diritto, allora l’uso della violenza non è MAI consentito, nel momento in cui il diritto deve provvedere ai necessari strumenti di tutela, cioè strumenti giuridici.
    Concretamente: se si ritiene, come è stato, che il diritto a Genova sia stato violato – come è stato – allora la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza come tu ricordi, dà la possibilità di ricercare la giustizia per vie legali. E infatti una sentenza di primo grado, seppur parziale e non del tutto soddisfacente, è stata pronunciata contro alcuni degli autori delle violenze.
    Altrimenti sarebbe come dire che, dal momento che esiste il delitto, allora ogni delitto in risposta è lecito, cioè l’occhio per occhio dente per dente, questo sì, ripeto, davvero barbaro.

    Un’ultima cosa.
    D’accordissimo quando distingui tra partigiani e repubblichini: gli uni combattevano per la libertà, gli altri per l’oppressione.
    Però quando vuoi applicare la stessa distinzione al terrorismo rosso e nero negli anni ’70, allora scusami ma prendi una cantonata: gli uni e gli altri avevano in disprezzo – oltre alle vite umane – la Costituzione repubblicana che i partigiani col loro sacrificio avevano contribuito a creare (i brigatisti col paravento tragico della “Resistenza tradita”).

    Sempre intatta la stima per chi consente di intraprendere discussioni mai banali su questo blog

  32. @Andrea:
    quel che dici a proposito della legalità e del monopolio legittimo della violenza è corretto in linea teorica (potremmo anzi dire con Hobbes che lo stato è nato per questo). Ma, appunto, in linea teorica, perché se poi passiamo alla prassi ci sono alcune cose che non tornano: Copenaghen in questi giorni, Genova, Guantanamo, i CIE (o CPT o come li si voglia chiamare), la strategia della tensione, i servizi segreti, le logge, la P2 e quant’altro – una lunga scia di illegalità statali, cui potremmo aggiungere tutte le guerre “giuste”, preventive, umanitarie, ecc. ecc.
    La “sinistra”, il “popolo di sinistra”, i “democratici”, ma anche i “liberali” non sono ancora riusciti, per lo meno in Italia, a costruire uno stato decente e degno di questo nome, nel quale tutti (o quasi) i cittadini possano riconoscersi. E finché sarà così il “monopolio della forza” resterà certo nelle mani del potere, e l’avrà sempre e comunque vinta, ma difficilmente potrà fare prediche a chi non ne accetta la legittimità.
    Tuttavia, non mi sembra affatto il caso in questione: in Italia oggi la “violenza politica”, se si eccettuano casi sporadici e fisiologici in ogni società, praticamente non esiste, e Tartaglia è uno psicolabile, non il militante di una brigata armata o di un qualsivoglia gruppo terroristico.
    (Da questo punto di vista condivido l’opinione di Vincenzo, si è trattato di un fatto di “cronaca nera”; senonché, visto il frangente in cui è avvenuto e la “deriva patologico-politica” in corso, non può non essere politicamente rilevante e produttivo di, si spera non troppo gravi, conseguenze).
    Il mio avvicinare la maschera di sangue di Berlusconi (che mi ha turbato e impietosito come succederebbe per ogni umano) alle centinaia di Genova non voleva mettere in relazione causale o legittimare alcunché, ma solo denunciare l’ormai intollerabile ipocrisia mediatica.

  33. Salve.

    Credo che la tua analisi MD non sia del tutto corretta. Voglio dire che lo stato non è detentore della forza per spadroneggiare in lungo e in largo in barba alle leggi che una certa comunità si è data, ma tale forza emana appunto da tali leggi.Se un poliziotto (o un altro tutore dell’ordine) si comporta in modo difforme deve pagare perché appunto tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. E allora che vuol dire che chi non si riconosce nello stato in cui vive non accetta la legittimità dello stato a usare mezzi coercitivi qualora le leggi non vengano rispettate? Sia chiaro, parliamo sempre di stati di diritto, democratici. Per i regimi totalitari il discorso è ovviamente diverso. Una volta tanto, vorrei che si potesse arrivare a condividere il concetto che la mia libertà termina dove inizia quella dell’altro. Tu vuoi manifestare, io no. E allora facciamo in modo che il tuo diritto di manifestare non debba prevaricare il mio a starmene tranquillo con i miei figli a passeggiare. Stabiliamo che esistano dei percorsi che si innestino nella vita cittadina senza che questa debba subire troppi disagi, voi manifestate il vostro dissenso/consenso per quel che volete e io passeggio con i miei bambini. Il problema è che poi a voi non ve ne frega nulla di mantenere questi accordi, perché, dici tu, io voglio manifestare proprio lì dove stai tu e me ne frego dei tuoi bambini. Se non ti va, te ne devi andare. Libertà è un concetto enorme e se qualcuno se ne appropria sono guai.
    Guarda caso è quello che quasi sempre succede, perché si parte con quella voglia di assalto alla Bastiglia, quel ti devo impedire di parlare e/o fare. A Copenaghen sta accadendo proprio questo. Assalto al centro in cui si svolge la conferenza. Ma per fare che cosa? Che cosa avrebbero da dire o da fare i manifestanti se riuscissero a entrare? La stessa cosa vale per Genova (ma non per la caserma famigerata, quello è un crimine). Una volta tanto io li lascerei fare. Vorrei proprio vedere….

    A presto.

  34. @Luciano: ti faccio un controesempio un po’ provocatorio, a proposito della tesi un po’ astratta sulla libertà che finisce dove comincia quella altrui (a cui preferisco l’alternativa meno individualistica secondo cui la mia libertà comincia esattamente dove comincia anche quella di tutti gli altri, specie di quelli che sono più “altri”, e non finisce da nessuna parte proprio grazie al suo presupposto). Io utilizzo quotidianamente la bicicletta, e quotidianamente sto in mezzo a gas, suv e macchinoni sempre più potenti e prepotenti; mi batto da anni per avere le piste ciclabili, ma tutto quel che ho ottenuto sono poche centinaia di metri di inutili marciapiedi colorati di rosso, che di solito finiscono nel nulla, e dove i suddetti macchinoni parcheggiano impunemente.
    Dunque, che fine ha fatto la mia libertà? (che è poi la stessa libertà dei tuoi bambini a passeggio che rischiano di soffocare, e non certo per il fumo degli scontri di piazza…).
    Sul “lasciarli fare”, mi pare che il problema stia proprio lì, finora li si è lasciati fare anche troppo, e io non intendo più delegare nulla a nessuno.

    @Andrea, due postille.
    Uno. Non riesco a capire dove tu trovi una così netta differenza tra gli ideali dei partigiani e quelli di operai, studenti, donne, intellettuali, giovani metropolitani che a milioni hanno lottato per tutti gli anni ’70. A meno che non si vogliano ridurre le lotte di quegli anni ai deliri di qualche centinaio di invasati con il mitra in mano…
    Due. Se nelle tue osservazioni c’è sottesa la domanda su quel che penso a proposito della legittimità della “violenza politica”, ti risponderei così: il conflitto sociale e la storia di solito non sono esenti dalla violenza, indipendentemente dalla volontà dei singoli; per quel che so di me stesso in quanto singolo, so che preferirei morire piuttosto che torcere un solo capello al peggiore dei miei nemici (o se si preferisce avversari) politici.
    Preferirei altresì non mettere mai alla prova questa mia teoria…

  35. Salve.

    Non mi hai convinto. A parte il fatto della definizione di libertà che inizia o finisce dove vuoi tu, un conto è parlare della poca attenzione dello stato (o degli organi che lo rappresentano) alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadine e la tua è una battaglia civile, altra cosa è prendere d’assalto un luogo dove si sta tenendo, ad esempio, una conferenza internazionale sul clima a cui partecipano non un anonimo signor Smith ma capi di stato, quindi legali rappresentanti dei propri popoli. A questo punto tu dici io non delego nulla a nessuno, ma questo finisce per essere al di fuori del sistema democratico che invece si basa, attraverso il voto, sulla rappresentanza. Quindi mentre Obama rappresenta centinaia di milioni di statunitensi (e ne ha il diritto perché eletto presidente in un’elezione democratica) un signor Smith qualsiasi rappresenta solo sé stesso (o al massimo qualche suo amico o familiare) perché lui non ha valenza e rilievo istituzionale. Io non discuto il diritto di alcuno se non questa pretesa di impedire fisicamente l’espressione di opinioni diverse. In definitiva io posso tranquillamente non voler sentirti esprimere le tue ragioni. Perché dovresti per forza venire lì a dirmelo? Voglio dire, Gianpaolo Pansa scrive un libro e “qualcuno” fa irruzione durante la presentazione del libro stesso per impedirla. Mi chiedo, come mai sono sempre lo stesso tipo di persone che agiscono in questo modo?

    A presto.

  36. @Luciano: avrei un milione di cose da replicarti (non certo per convincerti), ma mi limito a due o tre. Per cominciare: Obama è lì anche grazie al fatto che un po’ di suoi connazionali hanno commesso azioni illegali e non sempre pacifiche per affermare i diritti della minoranza afroamericana.
    La democrazia rappresentativa non è certo l’unica forma possibile di governo democratico, esiste anche quella diretta. Solita obiezione: impossibile che tutti governino tutti. Vero, però in questo momento chi davvero governa il pianeta? Organi eletti democraticamente?
    Mi pare cioè che arranchino, e parecchio, anche le tradizionali democrazie elettive – che oltretutto possono anche democraticamente decidere di andare a fare la guerra o di accaparrarsi risorse di altri popoli.
    Ma così ci allontaniamo dal nocciolo del discorso, che era quello dell’impedire a qualcuno, anche fisicamente, di esprimere le proprie opinioni. Mi risulta però che in questo momento siano i tanti signor Smith (ma ancor più i tanti Gonzales, Alì, Samira, Ndiaje, Shiva, ecc. ecc.) a non poter esprimere alcunché, mentre i potenti (eletti o meno) son sempre lì ad occupare la scena, a decidere e a mandare democraticissimi manganellatori nelle piazze.
    (Lungi da me impedire a Pansa di parlare – che, oltretutto, mi pare abbia tanto di quello spazio che molti altri suoi concittadini, altrettanto colti e con argomenti da condividere, se lo sognano).
    Sulla “tipologia” integralista da te evocata (gli estremisti di qualsiasi bandiera o ideologia) ci sarebbe molto da dire, ma mi pare che siano piuttosto “democraticamente” distribuiti un po’ in tutte le fasce e tradizioni sociali e culturali, compresi i “moderati” o i bravi ed insospettabili padri (o madri) di famiglia…

    Sulla violenza più in generale, sto mettendo insieme alcune riflessioni che consegnerò ad un prossimo post.

  37. Io credo che il volto insanguinato di Berlusconi sia qualcosa di non riducibile allo psicolabile. Il problema è che la vera società berlusconizzata è frutto non di Berlusconi ma di coloro che aimè ne sono ossessionati. Una sinistra che urla “in prigione, in prigione!” (ricordate Bennato?), che risolve la complessità del reale vedendo nel Presidente del Consiglio tutti i mali, le malefatte, le cause profonde della vera corruzione dei tempi; che ha come suoi fari DiPietro e Travaglio, personaggi che non hanno nulla a che fare con la sfera culturale della sinistra (anzi, vogliamo dirlo? semmai dietro al falso genuinismo, al parla come magni dell’uno e al manicheismo giudiziario dell’altro si può scorgere molto bene la figura del manganello…) ; che vede come unica nemesi, escatologia, finalismo rivoluzionario l’arresto di Berlusconi. Una tale sinistra, che spero non sia interamente rappresentativa di tutta la sinistra, si trova ora di fronte come un contrappasso la figura di un Berlusconi consacrato dal suo sangue. Se l’opposizione è questa di cui sopra, è preferibile, mi sento di dire, il populismo democratico di Berlusconi.

  38. @Emiliano
    Credo tu possa rassicurarti: la sinistra, la parte maggioritaria almeno, anche numericamente in parlamento, non è quella di Di Pietro e Travaglio, che come tu osservi giustamente in effetti non le appartengono culturalmente.
    A me i Di Pietro e i Travaglio sembrano l’estremo speculare – uguale e contrario – di quello che tu chiami “populismo democratico” di Berlusconi, quello dei “coglioni” che votano a sinistra e dell’incarnazione dell'”amore” contro l'”odio” (categorie che poco hanno a che fare con la politica se non nell’accezione schmittiana per cui l’avversario diventa nemico).
    Non mi interessa chi ha cominciato per primo, se viene prima l’uovo o la gallina: il Berlusconi che bolla chi dissente come “comunista illiberale” (quando i comunisti non ci sono più) e il Di Pietro che lo apotrofa come “Hitler” o semplicemente “fascista”, per me pari sono, e gli uni oggettivamente funzionali alla fortuna dell’altro.

  39. @md
    Quoto il tuo post del 16 dicembre:
    “Di fondo c’è il problema della non equiparabilità tra i morti dei due fronti che in Italia hanno guerreggiato prima negli anni della Resistenza E, SUCCESSIVAMENTE, NEGLI ANNI ’70” (maiuscolo mio).
    Concedimi che scritto così sembra proprio che BR e partigiani siano la stessa cosa. Il tuo chiarimento mi sembra spieghi che questo non è – fortunatamente – il tuo pensiero.

  40. C’è però da aggiungere, Andrea, che non siamo abituati ad assistere a un confronto politico nel merito di questioni oggettive fra maggioranza e opposizione, più per la tentazione di far cadere il governo con meccanismi giudiziari che per altro. Io non sarei così tranquillo. Alla manifestazione di DiPietro c’era molto PD…e a me quella manifestazione è parsa come l’emblema supremo dell’antiberlusconismo più ottuso…

  41. Che dire, ragazzi, a me sembra che ci si metta sempre troppa passione, troppo amore e troppo odio, in ogni caso troppo per questioni di politica. Quando invece raffreddare gli animi potrebbe essere più utile, perché tutti hanno diritto di parlare, di sbagliare, e spero di ricredersi. E invece no. Vedo tutti così attaccati al proprio scoglio, alla propria opinione, così poco disposti a mettersi nei panni degli altri.

    D’altronde in Italia il bipolarismo si è costituito come una guerra civile, credo che ce ne stiamo rendendo conto. E soprattutto con le ultime elezioni (con la legge elettorale che sappiamo) che hanno fatto uscire dalla scena politica costituzionale le forze estreme della sinistra, si è ridotta di molto la possibile opposizione parlamentare. Così che a fare opposizione “sembra” restare quasi solo Di Pietro, soltanto perché i suoi modi sono più accesi. Poi mettiamoci anche Travaglio, Santoro, e alcuni giornali.
    Ma l’opposizione è necessaria alla vita politica e all’equilibrio dei poteri.
    Mentre, volere e mettere in atto un parlamento e un paese in cui venga soffocata ogni forma di opposizione, è come mettere un coperchio difettoso su una pentola a pressione sotto il quale c’è un bel fuoco acceso. E questo è pericoloso, crea uno stato di pericolo. Perché, da ogni parte si voglia guardare, il fuoco acceso c’è, e i problemi sono gravi e pregnanti, e sono problemi reali. E lo diventeranno sempre di più. E invece cosa si fa? Stiamo a parlare di B. e dell’amore e dell’odio che provoca, o che provocano i media e quant’altro. Ma alla fine si parla solo di lui, e il governo è concentrato per lo più sulle leggi speciali ad personam, e alle persone a lui collegate, e finché non avrà raggiunto i suoi obiettivi non mollerà l’osso.

    Non è che noi singoli cittadini si possa fare molto. Verrebbe da dire che non si possa fare altro che stare a guardare che gli uomini politici facciano il loro lavoro, quello che devono fare per quello che compete il loro compito.
    Ma tutti gli altri cittadini non è che possono starsene buoni buoni e accettare qualsiasi cosa il governo imponga. E non è soltanto Di Pietro, Travaglio e Santoro che hanno da esprimere il loro dissenso, ma c’è una grossa parte della società civile molto preoccupata di quello che sta accadendo e che si esprime nei modi che le sono propri.
    E in ultimo c’è stato il popolo della rete, prima ancora Grillo eccetera.
    A volte io mi metto i tappi di silicone nelle orecchie per avere un po’ di pace, ma nello stesso tempo mi sento rappresentata da molte voci di dissenso e da quelli che vanno in piazza a protestare, sempreché il dissenso sia pacifico, anche se alzano un po’ i toni. Ma perché, qualcuno vorrebbe forse che parlassimo in silenzio? Che ce ne stessimo muti?
    Bisogna stare attenti, perché uno dei motivi che diede avvio agli anni di piombo, che non vorremmo proprio vedere risorgere, fu proprio la mancanza e l’impotenza dell’opposizione popolare.

    Se poi qualcuno avrà qualche fastidio (@Luciano) tipo difficoltà a passeggiare coi suoi bambini, tutto sommato a me sembra un male minore rispetto a tutto il resto. E in ultima analisi mi verrebbe da chiedergli come può essere che, per quanto possa averlo lungo, non riesca a guardare al di là della sua punta del naso.

  42. Cara Milena se togli passione alla politica è finita; ci vuole certo razionalità e bisogna ridurre al minimo la naturale inclinazione faziosa insita credo in ognuno, ma non si può cancellare del tutto; mica stiamo parlando di una equazione matematica.
    Il dissenso è una bella cosa ed è per questo che mi dispiace se è incanalato su posizioni che a mio avviso non sono realmente critiche e frutto di una vera riflessione. Troppo spesso si và per slogan e Berlusconi è divenuto l’icona che mette tutti d’accordo sulla direzione da dare al dissenso; come se senza Berlusconi sarebbe più difficile orientarsi nella complessità diveniente del reale, nel lato imperscrutabile della storia che di punto in bianco può capovolgere ideali, costruzioni morali, interpretazioni del mondo. Non è un discorso facile questo ma la piazza ha significati difficili da definire; un pretesto può essere buono a riempirla, ma in fondo chissà qual’è la molla intima che spinge ognuno a recarcisi (ma ammetto che questi sono discorsi di altro tipo). Comunque la crisi della sinistra c’è; e la classe operaia che vota Berlusconi e la lega pure; colpa della televisione di B? Tutti plagiati? Non ci credo… Non mi piace il giustizialismo di Travaglio e DiPietro non perché siano oppositori e dissenzienti ma al contrario perché portano avanti una battaglia unilaterale contra personam e incanalano il dibattito politico su questioni giudiziarie che dovrebbero occupare solo lo spazio di un’aula di processo; alla società e alle dinamiche segrete o palesi della storia servono intelligenti approcci interpretativi, e il più possibile ampi orizzonti di comprensione e non banali e squallidi, anche se travestiti da opposizione, scontri di potere.

  43. Salve.

    Tanto per chiarire e per tranquillizzare Milena, la questione dei bambini a passeggio è meramente esemplifificativa. Quel che volevo mettere in luce è il fatto che il tuo dirtto a manifestare non può (come troppo spesso accade) prevaricare il mio a starmene tranquillo. Scelgo io le forme in cui esprimere il mio dissensi esattamente come a te è concesso di esprimerlo manifestando. Ma proprio per questo, non vedo che male ci sia a mettersi d’accordo in modo tale che i nostri diritti siano entrambi rispettati. Ripeto, il problema è che ci sono persone che pretendono rispetto senza però concederne agli altri. E al di là di questo, se si sa che una certa area è interdetta al passaggio di tutti tranne che a quello dei delegati per ragioni di sicurezza non si può dire no, io voglio andare proprio lì. Per due motivi, il primo è che esistono delle disposizioni a cui devi attenerti per questioni di legge e secondo perché quando ci sono questi divieti normalmente c’è anche la presenza di personalità istituzionali, nazionali o estere. E allora scattano ragioni diverse perché tu non rappresenti che te stesso e loro una nazione intera. Invece il ragionamento che fa qualcuno è: c’è la zona rossa ergo la devo assaltare. Come fosse la Bastiglia o il Palazzo d’Inverno. Io invece per una volta li lascerei fare, li lascerei entrare nella zona rossa fin nella sala delle conferenze per vedere che cosa sono capaci di fare. Non so perché ma sono convinto che saprebbero solo urlare per impedire i lavori dell’assemblea senza fare altro.

    A presto.

  44. Caro Emiliano,
    condivido integralmente il tuo ultimo post in cui mi rispondevi.

    Io personalmente non ero al No-B day (come non ero a piazza Navona l’altr’anno), e ricordo che la manifestazione non ha avuto l’adesione della segreteria del pd, che è quello che dà la linea al partito (i singoli fanno come vogliono).
    Ma non voglio fare l’avvocato di Bersani.

    Aggiungerei, come dato storico, che nel momento stesso in cui Berlusconi decise di “scendere in campo” nel ’94, col famoso messaggio video della calzamaglia – e quindi ben prima della “persecuzione giudiziaria” nei suoi confronti – annunciò di farlo per salvare l’Italia da “forze illiberali” che avrebbero messo a repentaglio la libertà nel nostro paese.
    Ancora nel 2005, l’altro ieri, ovviamente parlando dei suoi avversari, ossia i “comunisti” (l’Unione di Prodi, figuriamoci), affermava che una loro vittoria elettorale non poteva produrre altro che “miseria e morte”.

    Ricordiamo, ad onor del vero, che Berlusconi ha costruito le sue fortune sull’anticomunismo più viscerale (quando il comunismo non c’era più), negando quindi legittimità democratica ai propri avversari, ben prima di diventare il “cavaliere nero” nella mente dei tanti che tu giustamente stigmatizzi.

  45. Il principio liberale, per cui la propria libertà finisce dove comincia quella degli altri, è semplicemente stupido. Difatti, ciò che la legge deve stabilire è prorpio dove collocare questo confine. Se quindi le decisioni sono sempre di merito, a cosa ci serve un principio generale che non è in grado di fornire soluzioni dinteresse pratico?
    Altrettanto scivoloso è il terreno della democrazia rappresentativa, in quanto il Parlamento viene eletto in accordo a specifiche norme elettorali. La pretesa preliminare che io mi debba sentire rappresentato dal Parlamento eletto è quindi del tutto ingiustificata. Prendiamo ad esempio la legge attuale, in cui i parlamentari vengono nominati dai padroni dei rispettivi partiti. Bossi, Berlusconi, Casini, Di Pietro sono tutte persone che “posseggono” i loro partiti, e quindi un’unica persona nomina, tramite l’assegnazione dei numeri di lista i parlamentari che devono essere eletti. Malgrado tutto ciò sia perfettamente legale, ognuno ha diritto a contestare la rappresentatività di un parlamento che, proprio per le modalità con cui è stato eletto, non può svolgere il ruolo fondamentale che la costituzione gli assegna, non avendo i parlamentari alcuna reale autonomia dai loro rispettivi padroni.
    Richiamare quindi tali principi generali per entrare nel merito di specifiche questioni politiche mi sembra almeno ingenuo. La politica è una faccenda complessa, il mantenimento degli equilibri dei poteri perchè l’esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini siano garantiti non è questione che si possa considerare risolta una volta per tutte.
    Taccio invece sulle questioni che riguardano specificamente il signor B. : chi vuole, può leggere le mie opinioni sul mio blog, e del resto penso che chi oggi, dopo sedici anni dalla sua entrata in campo, non si renda conto della gravità e della specificità dei problemi che egli pone alla stressa democrazia italiana, non abbia significative speranze di apprenderlo da qualche frase aggiuntiva che io potrei qui scrivere.

  46. Salve.
    Infatti, lasciamo stare il signor B., c’è già chi pensa a lui e a noi non serve per proseguire nel ragionamento.

    Iniziamo con il principio liberale evocato. Io non lo trovo stupido affatto. Il discorso è ovviamente fatto per rimarcare che il mio operato ha dei limiti che sono sanciti dalla esistenza e presenza dell’altro. Significa in sostanza che non siamo elementi singoli ma viviamo in una comunità. Interviene nelle questioni di metodo che sono tutt’altro che banali ma anzi determinano la nostra esistenza come società civile, di più, io credo che misurino la “gradazione ” qualitativa di quell’aggettivo. Non credo esistano decisioni esclusivamente di merito e/o di metodo. I due concetti non sono ortogonali ma si influenzano a vicenda.
    Veniamo alla rappresentatività della nostra democrazia. Io la definerei più una oligarchia rappresentativa ma questo è un altro problema. Il principio generale per cui si votano dei propri rappresentanti per legiferare credo sia ritenuto giusto da tutti. Il problema è ovviamente il metodo. Anche qui, metodo e merito, si intersecano. I partiti sono diventati delle scatole vuote in cui si prepara il prodotto per quello che è di fatto un mercato cioé la politica. Ormai siamo arrivati al marketing vero e proprio perché dopo la caduta delle ideologie quel che conta è il numero dei voti e quindi il numero dei parlamentari con cui condurre la trattativa a vantaggio dei propri interessi. Ecco che sono fiorite le candidature di volti noti della tv, superstiti di attentati, vedove e orfani degli stessi, attricette, veline e così via peggiorando. Potremmo stabilire che siano necessari dei requisiti per potersi candidare, ma quali(al di là di una fedina penale immacolata)? Ma questo sarebbe poi costituzionale? Ovvero io come cittadino ho lo stesso diritto che ha un altro di candidarmi? L’ostacolo principale è il fatto che gli italiani sono dei gran paraculi (non tutti, certamente), campano cercando il modo migliore di fregare gli altri e anche in questo non farebbero eccezione.

    D’altronde non sentirsi rappresentati da coloro che siedono in parlamento implica non riconoscere come valide le leggi che lo stesso ha promulgato e questo crea dei seri problemi perché non si può semplicemente dire “io faccio come mi pare”.

    A presto.

  47. Sì, Emiliano, infatti tu parli di passione, che non è infatuazione (o, sull’altro fronte degli affetti, odio istintivo) ma è, appunto, passione nell’accezione di sofferenza nel constatare l’ingiustizia sociale, e quindi passione per la possibilità della giustizia sociale.
    Ma forse non si può negare che ogni parte del dissenso sia affetto dalla stessa passione, anche se esprime in modi che magari possiamo non condividere, ma che non possiamo non constatare, compreso quelli che incanalano il dibattito politico sulle questioni giudiziarie di una personam.
    Però, anche B., non se lo sono inventati loro (o noi): esiste ed è una realtà che sta paralizzando il paese. E anche fosse solo un simbolo, è come se ci proponessimo di parlare di fascismo senza tirare in ballo Mussolini, anche se sarebbe ingenuo pensare che tolto di mezzo B. tutto sarebbe più facile, o lì finissero i nostri problemi.
    Proviamo a chiederci piuttosto, visto che esiste tutta questa passione, dove potremmo (e quindi dovremmo) incanalarla. Oltre naturalmente a fare dei dibattiti sulla rete.

  48. @Luciano: anch’io volevo dire qualcosa sull’idea della “propria libertà che finisce dove comincia quella degli altri”.
    Perché semplicemente “noi ci diciamo liberi”, ma in realtà “noi non siamo liberi”. Perciò, eventualmente, la libertà potrebbe cominciare ad essere per tutti allo stesso livello, ossia con gli stessi diritti e doveri.
    Se qualcuno si crede libero, ponendo l’accento sulla propria liberà, ciò può avere gravi conseguenze, come quando in nome della propria libertà si limita la libertà altrui. E qui mi riferisco ai leghisti che in nome della propria libertà sul loro territorio, limitano la libertà degli altri. O come quando si ha il diritto di produrre o inquinare o edificare indiscriminatamente col beneplacito del partito della libertà. La libertà può essere un’idea molto pericolosa e distruttiva. Ce ne siamo resi conto?
    (ps: avevo scritto prima di leggere il tuo ultimo commento)

  49. Concordo con Milena: la concezione liberale della libertà è una questione di sfere e di paletti; quel “dove finisce” sa tanto di confini proprietari, e dunque potrebbe non voler finire mai – e di fatti è un po’ difficile smentire la tesi che sia più libero chi possiede più cose e “potenza” rispetto a chi non ha nulla.
    Non a caso le “libertates” medioevali erano privilegi, una concezione totalmente in linea con certe tendenze rifeudalizzanti dell’attuale “partito della libertà” (la libertà di “fare un po’ quel cazzo che ci pare”, come ironizzava un comico colto e per nulla volgare, un po’ di tempo fa…).

  50. @Luciano
    E’ esattamente l’opposto: quando il liberalismo fa quella affermazione sui confini della libertà, lo fa proprio in polemica al concetto di comunità. In filosofia politica infatti, si fronteggiano due gruppi di teorie, appunto qulle liberali da una parte e quelle comunitariste dall’altra. Quell’affermazione non è quindi il volere limitare la libertà individuale, ma all’opposto affermare la potenziale libertà assoluta dell’individuo che può trovare una limitazione, come dire, fisica dal contatto con altri individui. E’ questo che io contesto, questa rivendicazione dell’individuo. Per i comunitaristi come me, al contrario, gli individui semplicemente non esistono, prima viene la comunità e la cultura a cui siamo stati educati e in cui viviamo.
    In ogni caso, quando usavo il termine “merito” non lo facevo in contrapposizione a merito ma piuttosto a quello di “principio”. Volevo esattamente sostenere che si tratta di un principio inutile, come si potrebbe esemplificare nello stesso esempio che tu portavi. Posto che c’è chi vuole manifestare e chi passeggiare, queste due opposte libertà sono oggettivamente in conflitto tra loro, e la specificazione dei tempi e dei luoghi dove si possa manifestare non può trovare dirim ento alcuno dal principio. Ci sarà un prefetto che stabilirà limiti della manifestazione, augurabilmente in ossequio a norme in qualche misura oggettive. Sono quindi le specifiche norme che chiariscono le modalità secondo cui è lecito manifestare, e non vedo proprio come sapere che esiste un limite alal mia libertà possa aiutare nello stabilire tali norme. In questo senso, si tratta di un principio inutile. Da comunitarista poi, escludo che esista uno spazio di libertà che possa essere considerato del tutto privato.
    Sull’ultima frase poi, non posso proprio convenire: il fatto di non riconoscere la rappresentatività del parlamento, non mi esenta per niente dall’obbedire alle leggi. Qui, bisogna distinguere tra l’aspetto istituzionale e quello politico, che sarebbe un guaio mescolare tra loro. Così, malgrado riconosca che le leggi elettorali ci consegnino un parlamento composto da persone mediocri, il cui massimo merito è la fedeltà ai loro padroni, ciò non mi porta automaticamente a non rispettare le leggi: se lo facessi, il mancato riconoscimento della rappresentatività del parlamento si trasformerebbe nel rifiuto stesso dell’ordinamento esistente in quanto tale. Posso criticare e combattere il parlamento nella sua effettiva composizione, ma non posso disconoscerne il valore istituzionale, pena la negazione stessa dell’istituzione statale. Ciò che mi premeva mettere in luce è che l’effettiva realizzazione della democrazia richiede una continua lotta, anche la più aspra, e non può trovare mai una definitiva realizzazione.

  51. Salve.

    Credo che una buona definizione di libertà sia: facoltà dell’uomo di pensare e agire in piena autonomia. L’ho presa dal dizionario Garzanti. Ora mi pare del tutto evidente che questo sia un principio astratto e che nella sua astrattezza sia autoconsistente. E’ astratto perché ovviamente, anche nella più totale solitudine, possono esistere dei fattori limitanti che mi obbligano a prendere una decisione piuttosto che un’altra. Allora vuol dire che sono meno libero? Credo di no. Io decido ciò che voglio fare in conformità con l’ambiente in cui vivo. E lo decido da solo perché non c’è nessun altro. Nel momento in cui siamo in due, io continuo a poter decidere in piena autonomia ma la pienezza di questa autonomia è filtrata dall’uso di spazi (in senso lato) comuni. Ovvero posso fare ciò che voglio ma senza ledere il diritto dell’altro a fare altrettanto. In particolare questo vuol dire che che la sfera delle mie possibilità subirà un re-shape per garantire l’altro. Ora tu mi dici che questo sa di “spazi proprietari”. Ma l’uomo, l’abbiamo ricordato tante volte, è un animale territoriale, anche in senso astratto, e io credo che il principio di proprietà venga da lì. La libertà sancisce l’esistenza di uno spazio inviolabile in cui io decido in prima persona e nessun altro e quello spazio lo considero mio nel senso più pieno del termine. Non a caso secondo me si dice di essere nel pieno possesso delle proprie facoltà. Il concetto di possesso è radicato nell’uomo. La nostra capacità di creare socialità deriva certamente dal riconoscimento e alla accettazione di questo limite che garantisce noi stessi e chi ci vive accanto. Poi tu giustamente dici che potrebbe essere interpretato come avere più libertà = possedere più cose. E in effetti il mondo che abbiamo costruito forse lo ha messo in evidenza ma questo secondo me non intacca il principio generale che non parla di possedere, semmai di essere. Vincenzo dice che questo è inutile. Io dico che non è vero. La nostra legiferazione deriva da quello.

    Una parola ancora sul riconoscimento di rappresentanza. Io credo che dire che questo o quel parlamento non mi rappresenta implica anche una non accettazione (se non coatta) delle leggi e norme che detto parlamento emana. IO dico che il parlamento come istituzione ci rappresenta e questo fornisce alle leggi che esso emana non la giustezza ma quanto meno i requisiti minimi di accettabilità. Ovvero, nel momento in cui non ne riconosco l’autorità non ne riconosco neanche le leggi. Poterle di conseguenza cambiare o abbattere è un altro paio di maniche. Però io parlo sempre di principi generali, poi declinandoli sui casi reali le cose sono ovviamente più complesse.

    A presto.

  52. Andrea, a proposito della retorica anticomunista di B. Una scuola di pensiero legge la fase storica di tangentopoli come l’espressione di un’attività delle procure orientata politicamente; in quegli anni il crollo del bipolarismo mondiale aveva creato anche internamente al Paese un cambiamento degli eqilibri, così si sono sprigionate forze da sinistra che hanno utilizzato il potere giudiziario per mettere in ginocchio un’intera classe politica: questo è il panorama ideologico, il contesto in cui la figura di B. si inserisce e si colloca culturalmente. Non credi che in questa tesi ci sia del vero? Almeno in una pur minima percentuale?
    Comunque la fitta pioggia di azioni giudiziarie nei suoi confronti fino ad arrivare alle dichiarazioni del “pentito” col seguito di bava alla bocca dei soliti Gomez e Travaglio e DiPietro e Santoro non sembrano dargli ragione? Credo che se B. non fosse entrato in politica mai sarebbe stato oggetto di interesse di molte procure. Così B prende forza su chi ha spiccata vocazione garantista; su chi tiene in mente gli episodi tragici di accanimenti giudiziari basati con insipienza sui pentiti (non dico che non vanno usati; credo che ci voglia molta cautela nel maneggiare questo strumento) di cui il caso Tortora è un esempio lampante.
    Milena, non credo che B sia una realtà che sta paralizzando il paese come dici tu. Scusa ma detto così sembra un luogo comune, un dire tutto e niente; la paralisi di un paese dovuta a una persona! E’ tutto un sistema che va preso in considerazione. Per esempio: Il governo Prodi cadde in che modo? L’inchiesta su Mastella; quant’è cattivo Mastella…e poi? Un governo a terra, tempo perso per il paese, Mastella adesso è in carcere assicurato alla giustizia da quel cattivo che era? Non mi pare…
    Speriamo in una stagione di serie riforme condivise, benefiche per il Paese; per uscire appunto dalla paralisi.

  53. Perbacco, mi sono perso questo bel dibattito senza neanche accorgermene.
    Rimedierò: leggerò con calma tutti i commenti.
    Vorrei dire ad MD che condivido perfettamente quello che ha scritto, anzi che anch’io avevo pensato le stesse cose, ma non avevo trovato le stesse belle parole per dirle.

  54. Caro Emiliano,
    mi chiedi se credo al fatto che la sinistra abbia “utilizzato il potere giudiziario per mettere in ginocchio un’intera classe politica”. A una domanda posta così la risposta è no. In genere non credo ai complotti, anche quando si riferiscono ai “grandi vecchi” che starebbero dietro le BR o alla “lobby ebraica” dietro le torri gemelle. E neanche al complotto della “sinistra” dietro tangentopoli. E non è tanto una “scuola di pensiero” che afferma tale tesi – il pensiero in genere si occupa d’altro – quanto una parte politica (quella di Berlusconi).
    E ti faccio notare che il più grande beneficiario della stagione di tangentopoli, a conti fatti, è proprio Berlusconi, da 15 anni al potere (quindi se dovessimo usare il cui prodest arriveremmo ad altre conclusioni).
    Vero è che tangentopoli è ovviamente legata alla caduta della cortina di ferro, che per 45 anni impedendo alternative di governo aveva prodotto un ceto politico insostituibile e quindi inevitabilmente corrotto anche se non privo di meriti, come adesso, dopo 15 anni di bipolarismo all’italiana, dobbiamo riconoscere.
    Se invece mi chiedi se secondo me vi siano stati giudici condizionati dalle loro opinioni politiche nello svolgimento della loro funzione – q

  55. Caro Emiliano,
    mi chiedi se credo al fatto che la sinistra abbia “utilizzato il potere giudiziario per mettere in ginocchio un’intera classe politica”. A una domanda posta così la risposta è no. In genere non credo ai complotti, anche quando si riferiscono ai “grandi vecchi” che starebbero dietro le BR o alla “lobby ebraica” dietro le torri gemelle. E neanche al complotto della “sinistra” dietro tangentopoli. E non è tanto una “scuola di pensiero” che afferma tale tesi – il pensiero in genere si occupa d’altro – quanto una parte politica (quella di Berlusconi).
    E ti faccio notare che il più grande beneficiario della stagione di tangentopoli, a conti fatti, è proprio Berlusconi, da 15 anni al potere (quindi se dovessimo usare il cui prodest arriveremmo ad altre conclusioni).
    Vero è che tangentopoli è ovviamente legata alla caduta della cortina di ferro, che per 45 anni impedendo alternative di governo aveva prodotto un ceto politico insostituibile e quindi inevitabilmente corrotto anche se non privo di meriti, come adesso, dopo 15 anni di bipolarismo all’italiana, dobbiamo riconoscere.
    Se invece mi chiedi se secondo me vi siano stati giudici condizionati dalle loro opinioni politiche nello svolgimento della loro funzione – questione diversa – bè allora la risposta è sì, essendo i giudici uomini come tutti gli altri, soggetti (come noi) a passioni politiche, simpatie ed antipatie.

    Ora ti rivolgo io una domanda: il fatto che vi possano essere stati degli errori giudiziari (lasciamo stare i complotti e le dietrologie), come sempre ve ne sono stati, giustifica la messa in discussione di uno dei principi cardini dello Stato liberale da Montesquieu in poi – peraltro, sia detto per inciso, non troppo apprezzato sembra da molti commentatori in questo blog – ossia dell’indipendenza del potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato, e in particolare dall’Esecutivo? questione che porta con sé anche l’altra, per cui si è fatta, scusa se è poco, la rivoluzione francese, ossia il principio dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge? E che ognuno debba essere giudicato dal proprio giudice “naturale”, come dice la Costituzione, e non invece sceglierselo?

  56. Caro Andrea mi sono permesso di chiamarla scuola di pensiero in quanto lettura, interpretazione storica e non cavallo di battaglia semplicemente politico funzionale a una parte.
    Il principio dell’indipendenza dei poteri è sacrosanto ed è per questo che io penso che anche quello politico debba in qualche modo essere tutelato da quelli che tu chiami errori umani ma che spesso sono interessate prese di posizione motivate dal protagonismo o da un retaggio politico culturale; io credo che i padri costistuenti fecero bene a istituire una barriera o immunità che appunto preservasse anche la classe politica da eventuali attacchi giudiziari. In fondo nel fenomeno di tangentopoli c’è un po’ di quello che tu chiami complottismo e che per inciso non piace neanche a me: la politica è collusa con la mafia, sono tutti corrotti, il potere non può che essere marcio…Mi pare che debba essere ripristinato un equilibrio che da tangentopoli in poi si è perduto.

  57. Caro Emiliano, sono d’accordo quasi su tutto. Chissà che tu non abbia ragione rispetto alla parte dove sta pendendo in questo momento lo sbilanciamento dei poteri, e in fondo c’è da augurarselo, vista la direzione che probabilmente prenderanno le “riforme” prossime venture.

    Dissento solo sull’attribuzione del “complottismo” a tangentopoli. Se con ciò si intende la tendenza a vedere complotti dappertutto, in questo caso a vedere il complotto organizzato mi sembra sia la parte politica di Berlusconi (non che la sinistra ne sia stata esente in tante altre occasioni).

  58. @Andrea ed emiliano:
    sul piano “formale” concordo con voi e con la tesi costituzionale del bilanciamento dei poteri; sul piano materiale è però tutta un’altra faccenda. Il potere dei media (specie della TV, di quella generalista e di massa, per ora) non è certo ininfluente nella gestione di uno stato e nel governo di una società, anzi! Se poi il presidente del consiglio, che è capo di uno dei tre poteri tradizionali, è anche l’uomo più ricco del paese che governa, controlla buona parte dei media e ha ridotto la sede del potere legislativo ad un bivacco feudale… capirete che qualche elemento di preoccupazione, non dico un comunista impenitente come me, ma anche solo un qualunque democratico temperato o un liberale moderatissimo dovrebbero averlo…

  59. Andrea, parlavo di complottismo alludendo al seguito popolare che le vicende giudiziarie avevano in quegli anni e che irrobustivano le posizioni prevenute nei confronti della poitica, inclini a vedere appunto sempre complotti, inciuci, corruzioni; fino a dilagare in un qualunquismo, in un passivo scetticismo civile; qualcuno ancora è lì a cavalcare e ad aizzare simili sentimenti per il proprio tornaconto.
    Forse a tutto questo è meglio attribuire parole come “collusionismo”, “corruzionismo”…
    md, l’anomalia di un Presidente del Consiglio ricchissimo e con in mano molta industria editoriale e mediatica non è mai stata risolta neanche dalla parte politica avversa. Forse è un’anomalia fisiologica nel contesto, nella realtà storica in cui si inserisce. Sicuramente B. rappresenta nel bene e nel male una fase storica, piena di cambiamenti, di disorientamenti, di schizofrenie culturali…Il passaggio da prima a seconda repubblica non è del resto un titolo vuoto. Molti hanno pensato che il conflitto d’interesse potesse essere una buona arma delegittimante; molti si saranno scontrati con la natura complicata e inedita del problema…
    Di fronte alla gazzarra dei contenuti mediatici, anche antiberlusconiani; al paradosso di un consenso che sale in proporzione all’attività affannata e mirata degli altri poli del potere editoriale; allo svuotamento dell’effettivo potere attuale dei media, talmente ridondanti da essere come un telo trasparente e bucato; di fronte a tutto questo mi sento un pò di relativizzare il problema da te posto. B. ha perso le elezioni quando “controllava” anche le televisioni “pubbliche”, ad esempio…Insomma non credo ci sia da preoccuparsi, nonostante tutto, per la salute della democrazia.
    Un saluto e un grazie per i sempre interessanti spunti di riflessione che proponi in questo bel blog!

  60. @Emiliano
    Bè il rischio è che alla fine complottismo voglia dire tutto e il contrario di tutto. Se, come penso possiamo concordare, è la tendenza a leggere i fatti come il prodotto di oscure manovre, torno a dire che in questo caso complottista è chi vede dietro indagini giudiziarie, sulle quali è difficile esprimere valutazioni per chi come noi ignora tutte le carte processuali, semplicemente l’ordito di una trama tessuta dalle lunghe mani della sinistra (che poi manovrerebbe anche la stampa internazionale, dal Financial Times all’Economist).
    E l’interpretazione delle inchieste su Berlusconi come “via giudiziaria” al potere perseguita dai “comunisti” non credo proprio la si possa considerare un’interpretazione “storica”, quanto semplicemente un argomento di mera propaganda politica, senz’altro efficace, visto il seguito. Argomento propagandistico agitato soprattutto dall’ala craxiana del PSI poi confluita in Forza Italia, e che ha avuto come cassa di risonanza gli organi di informazione controllati dal premier o dalla sua famiglia. Propaganda legittima, ma sempre propaganda.
    Se poi si intende il fenomeno, in senso molto lato, come il discredito calato sulla classe politica in genere da tangentopoli in qua, bè allora il primo ad giovarsene è stato proprio Berlusconi, che ha giocato parte del suo consenso presentandosi come uomo del fare contrapposto al “teatrino della politica” romana, e ha sempre tenuto a distinguersi dai politici di professione.

  61. @md
    Io qualche preoccupazione ce l’ho, anche se ritengo idiota, oltreché pericoloso, gridare in continuazione “al lupo al lupo” paventando fascismo e nazismo incombenti.
    Riguardo alla distinzione su piano formale e materiale, credo che la democrazia sia fondamentalmente questione di rispetto delle regole, e quindi di forme. Del resto è proprio il presidente del consiglio che si arroga il diritto di decidere lui il ricorso alle urne – prerogativa che la regola suprema, la Costituzione, assegna al capo dello Stato – sulla base di una fantomatica “Costituzione materiale” che ci porrebbe già in un regime di presidenzialismo “di fatto”. Attenzione quindi a brandire la materia contro la forma..

  62. Andrea, la propagada non spiega la mole di procedimenti giudiziari nei confronti di B. scatenata dall’ora esatta della sua entrata in politica; forse c’è più di una propaganda…e magari è questo che ne spiega il seguito…Comunque un buon natale a tutti e ci riaggiorniamo dopo le feste!

  63. @Andrea
    Mi accusi, credo di capire, senza nominarmi, di attaccare lo stato liberale. Stranamente, pare che anche tu ti renda conto di come questa struttura istituzionale venga messa a dura prova dalle vicende politiche dell’attualità e di come vengano messe a rischio quelle stesse libertà che lo stesso sistema dovrebbe garantire. Forse allora, qualche domanda e qualche dubbio dovremmo porcelo, no?
    Per quanto mi riguarda, io critico aspramente la teoria di Popper della “società aperta”, cioè della stessa pretesa di potere costruire una società senza ideologie. A me pare piuttosto che i soggetti che costituiscono questa entità chiamata “stato”, proprio per il fatto di costituire una comunità, cioè un’entità collettiva, condividano certi valori di fondo, e quindi un’ideologia, dei valori che proprio perchè introiettati, non vengono più neanche sottoposti a un vaglio consapevole. Questo mi pare inevitabile. Ma se è così, è chiaro che chi dice della società di cui fa parte che non è ideologica, proprio attraverso questa negazione, impedisce che l’ideologia dominante possa venire messa in discussione, divenendo così iperideologica.

  64. Salve.

    Io credo che quello che Andrea voleva intendere è che il sistema di valori che definisce uno stato liberale non costituisca una struttura rigida e che prevede di disciplinare tutti gli aspetti della vita di coloro che quello stato compongono. Intendo dire che l’ideologia è di per sé autoreferenziale, non riconosce elementi (concetti) estranei né ne prevede l’integrazione, se non a costo di una, diciamo, re-ingegnerizzazione con e secondo le categorie linguistiche e concettuali da cui è partito. In questo senso lo stato liberale proprio perché non realmente ingessato in una ideologia, appare dinamico e (teoricamente) pronto ad adeguarsi ai bisogni dei cittadini mentre quello ideologizzato no, perché possiede un paradigma rigido secondo cui interpretare i bisogni.

    A presto.

  65. @Vincenzo
    Lo Stato liberale sicuramente non è la società perfetta, né ha la pretesa di esserlo (ricordiamo l’affermazione di Churchill che la democrazia è il peggiore dei sistemi, eccettuati tutti gli altri…). Ed è, tra l’altro, sempre a rischio. Esso va difeso giorno per giorno onde evitare cadute nel dispotismo, sempre possibili. Di qui la vigilanza democratica che tutti noi dovremmo svolgere e probabilmente, ognuno a suo modo, cerchiamo di fare.

    Luciano, grazie per l’esegesi.

  66. @Luciano
    Credo che il tuo commento sia la dimostrazione dimostrata di come il liberalismo si tiri fuori dalla disamina dei propri presupposti.
    Se invece questa disamina venisse fatta, allora si giungerebbe a conclusioni molto lontane dalle tue.
    In fondo, il tuo argomentare mi somiglia, se mi permetti, ai credenti che, dando per scontato la verità della loro fede, e proprio a partire da ciò, pretendono di confermarla. E’ chiaro che se la discussione parte dal presupposto che il sistema liberale è il migliore e il meno rigido, le conclusioni non possono che essere ovvie.
    Nel libro che ho scritto, io tento di metterne allo scoperto tutte le magagne, i presupposti dogmatici: non posso che incoraggiarvi a leggerlo.

  67. Vincenzo, quelli che hanno fede proprio in quanto parlano di “fede” non possono avere la presunzione di dimostrarla; già nella parola è insita la prerogativa di indimostrabilità. Semmai sono gli atei spesso e basare sulla scienza il loro dogma di esclusione della possibilità di un Dio.

    Le “magagne” dello stato liberale sono funzionali alla sua imperfezione, alla sua non pretesa di armonizzare ogni contraddizione umana e sociale; in definitiva a un basso profilo salvifico, che mette in guardia da derive di perfezionismo assoluto e ideale che sempre hanno insanguinato la storia.
    Insomma è un po’ come il razinalismo di Kant che proprio nella sua accettazione del limite trova la sua forza e sopratutto il suo dinamismo; l’essere pronto a mettersi in discussione, a deformarsi lungo i tragitti impervi del tempo che si fa storia…

  68. Beh, non direi proprio che il liberalismo (che comunque non confonderei con lo stato liberale, i cui istituti possono essere usati in qualsiasi sistema politico) abbia un basso tasso di ideologia, tutt’altro: esso parte proprio dal principio ideologicissimo di una costituzione antropologica che fa dell’individuo e della sua sfera proprietaria il fulcro – facendo derivare l’uno e l’altra da un presunto (quanto indimostrato) stato naturale.
    E compito di una discussione razionale è proprio quello di mettere in luce i presupposti e in discussione le “fedi” – compresi gli stessi da cui essa parte, correndo anche il rischio dell’autodissolvimento.
    Sul fatto, poi, che siano le ideologie “perfezioniste” a far scorrere più sangue, mi pare che le guerre condotte in nome dei principi liberali (passate e odierne) ci dicano che non sta lì il discrimine della convivenza pacifica.

  69. md, mi sembra difficile distinguere liberalismo e Stato liberale, come non mi sembra vero che gli istituti di esso possano essere usati in qualsiasi sistema politico. quando Hitler ha dato al cancelliere, cioè a se stesso, il potere di legiferare, o quando Mussolini ha sciolto il parlamento per trasformarlo in camera dei fasci e delle corporazioni, o ancora quando Lenin (mutatis mutandis e senza voler accomunare troppo fenomeni storici diversi) ha sciolto con la forza l’assemblea costituente regolarmente eletta, costoro non hanno semplicemente “utilizzato” istituzioni dello Stato liberale, ma le hanno distrutte, in particolare il principio dell’autonomia del legislativo dall’esecutivo. Tra l’altro sapendo deliberatamente di farlo.

    Concordo con quanto scritto da Emiliano a proposito di Kant.

  70. PS per Vincenzo e md
    Vincenzo ha scritto che il principio liberale per cui la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri è “semplicemente stupido”. Vedo che md ha messo la frase nel florilegio del blog, presumo che la condivida.
    Che significa tale principio? Significa che la mia libertà non può pregiudicare la libertà altrui. Detto in altri termini, che deve valere per la sfera delle mie azioni un principio di reciprocità: devo permettere agli altri la stessa libertà che mi concedo. Devo consentire agli altri – a TUTTI gli altri – di poter fare le stesse azioni che consento a me stesso.
    Esempio elementare: se amo ascoltare musica, con il mio comportamento non devo impedire al mio vicino di godere dello stesso piacere, per esempio ascoltando ininterrottamente il mio stereo potentissimo a tutto volume facendo tremare il palazzo.
    Proprio stupido stupido non mi pare.

  71. @Andrea: l’aver messo una frase nello spazio che ho denominato “fior fiore dei commenti” non vuol dire automaticamente che io la condivida (in questo momento, ad esempio, ce n’è una di f.p. che non condivido), ma solo che la ritengo interessante o significativa o curiosa…
    Nella fattispecie, però, condivido con Vincenzo non tanto il giudizio di stupidità ma certo quello di “astrattezza” del principio in questione, proprio perché la sfera di partenza (ciò che è la “mia” libertà) non è chiaramente definita, né credo sia definibile in ogni caso. In teoria potrei essere l’uomo più ricco di un paese, volerlo governare, cambiarne la costituzione e l’anima dei suoi cittadini… – dove finisce e comincia in questo caso la “mia” libertà? ma soprattutto quella di (tutti) gli altri?
    E’ chiaro che si tratta di stabilire dei “limiti” – ma appunto chi e come li stabilisce resta il problema.
    La polis – di cui lo stato liberale è una delle forme possibili, ma non l’unica né la migliore – è nata proprio con lo scopo di limitare la violenza. Senonché temo che si sia limitata a trasferirla ad altri livelli: c’è sempre un fuori per cui il principio di libertà non vale, o vale meno – ecco perché dico banalmente che non può esserci libertà senza giustizia, e viceversa.
    Dopo di che sono tornato all’astrazione di cui sopra: i contenuti di quei concetti-contenitore (o concetti-progetto, come amava dire un mio docente) vanno pur sempre praticamente e storicamente di volta in volta definiti.

  72. Sicuramente “astrattezza” è altro da “stupidità”.
    Ma nel caso in questione non condivido neanche questa critica.
    L’affermazione presa in esame è appunto un “principio”, e in quanto tale una regola generale, e che generale deve restare per poter fungere da criterio di riferimento per tutti i casi particolari.
    Certo, si potrebbe arrivare, per spingerci al paradosso, a negare legittimità all’uso di tutti i concetti generali tout court, e al limite del linguaggio, ma non credo sia una strada conveniente.
    Considerare come criterio guida nei rapporti tra cittadini il riconoscere come legittimo solo ciò che non pregiudica il diritto dell’altro alle mie stesse prerogative a me sembra non solo una buona definizione della libertà (giuridica), ma anche quella che meglio soddisfa quell’esigenza di giustizia che dalla libertà non dovrebbe mai essere disgiunta, come tu opportunamente osservi.

  73. Salve.

    Mi scuso innanzitutto per essere stato un involontario e non richiesto/autorizzato esegeta del pensiero di Andrea che è assolutamente chiaro e lampante. Cercare di spiegarlo agli altri era un tentativo di verificare che io stesso l’avevo capito.

    Detto questo, concordo in pieno con quanto lui dice e vorrei rimarcare, MD, che secondo me tu confondi potere con libertà. Essere il più ricco del paese non ti garantirebbe, neanche se tu venissi eletto, maggiori libertà dal punto di vista individuale. Come ricordato quello che enunciamo è un principio, un assioma. Inoltre, vorrei dire qualcosa sull’astrattezza di detto principio (e di tutti i principi). Irridendo alla valenza astratta del principio stai sostanzialmente dicendo che l’uomo dovrebbe agire, decidere e governarsi su basi puramente empiriche. Ma questo implicherebbe che ciascuno agirebbe secondo i propri interessi e bisogni e sarebbe la fine dello stato in qualunque forma e con qualunque nome tu voglia chiamarlo. Varrebbe solo la legge del più forte. Nomos e Physis, di nuovo. E stavolta l’avrebbe vinta Physis. L’esempio di Andrea è quanto mai centrato su ciò che implica il rispetto dell’altro nel godere della propria libertà. Tu puoi essere l’uomo più ricco, più potente del pianeta e aver fatto una legge per cui tu puoi sentire la musica al volume che ti pare e quando ti pare, ma quel principio tu lo avrai sempre e comunque violato perché lui resta lì, inamovibbile, a ricordarti che tu sei un uomo ingiusto e agli altri che la loro libertà è stata violata (e in questo è intimamente connesso con la Giustizia) e che è giusto riappropriarsene. Anche il principio secondo cui gli uomini sono tutti uguali è puramente astratto, perché sappiamo di essere tutti diversi, in molti sensi. Ma non nell’essere umani. Ogni volta che questo principio è stato violato è successo qualcosa di abominevole (ma so che non c’è alcun bisogno di ricordartelo, data la tua sensibilità).

    A presto.

  74. quando scrivevo “noi ci diciamo liberi”, intendevo dire che non è l’individuo a stabilire la sua libertà, ma è la società in cui vive ad aver determinato, ancor prima che nasca, il significato della libertà dell’essere umano – dove il “diritto” sarebbe l’estensione dell’esercizio pratico della propria libertà, mentre il “dovere” ( o “obbligo”) potrebbe essere il limite al quale la propria libertà deve sottostare.

    Non sono un’esperta di diritto, ma credo che le teorie liberali collochino la “persona”come unica titolare di diritti, cui viene attribuito il godimento, o meglio, la proprietà di determinati diritti.
    Mentre, ditemi se sbaglio, credo che le teorie comunitarie pongano la comunità come titolare di diritti, prima ancora della persona, per cui le libertà (diritti) individuali sarebbero subordinate a quelle della comunità.

    La settimana scorsa rileggendo “Immunitas” di Esposito, ho trovato un brano di Simon Weil che mi è sembrato un interessante ribaltamento della teoria del diritto liberale.

    “Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono degli obblighi verso di lui. Un uomo, che fosse solo nell’universo, non avrebbe nessun diritto ma avrebbe degli obblighi”. (Simon Weil, “La prima radice”)

    Sembrerebbe che per la Weil, il concetto di libertà non sarebbe solo astratto ma del tutto inesistente.

  75. Luciano, hai messo il dito sulla piaga: il punto è proprio quello del “potere”. La cosiddetta “libertà” si fonda esattamente sul potere di ciascuno, il potere di fare o non fare, di avere o non avere, di dire o non dire – e sul potere delle strutture comunitarie di limitare la sua sfera individuale tenendo sotto controllo i conflitti interindividuali.
    La libertà astrattamente intesa non esiste, è flatus vocis, proprio perché è sempre da intendersi come essere liberi – cioè “in grado di” – fare o non fare qualcosa di determinato.
    E, inevitabilmente e per converso, come avere degli obblighi nei confronti degli altri – ma anche questi obblighi sono sempre determinati.
    Nello “stato di natura” non si è liberi, perché non serve esserlo; mentre nello “stato civile” si deve essere liberi, perché non si può non esserlo.
    Naturalmente non sto considerando qui i diversi sistemi politico-giuridici, dove comunque la libertà è sempre una faccenda di sfere, di poteri e di contropoteri – con il limite estremo dell’annullamento di tutte le sfere nel caso della tirannide, o meglio dello stato totalitario.
    L’uguaglianza dell'”essere tutti umani allo stesso modo”, cioè in termini di specie, non può essere messa in discussione, nemmeno volendolo.
    Nemmeno la libertà di ciascuno è in discussione, senonché ciascuno è libero in grado diverso e in relazione al suo “poter esserlo”.
    La giustizia dovrebbe garantire che ciascuno possa esprimere al massimo grado la sua potenza, ma cozza nel cozzare delle potenze tra di loro.
    E dunque, temo che la libertà finisca così per essere più un comprimere e reprimere che un dispiegare ed esprimere.
    Diciamo che sono incline al pessimismo, a meno che non mi si dimostri che la stragrande maggioranza del genere umano è in procinto di diventare incline alla razionalità, all’autocontrollo e all’autolimitazione della propria sfera di potenza (o libertà che dir si voglia).
    Naturalmente non mi escludo dalla conta…

  76. In effetti sono molto più propenso a considerare la libertà, come fa Milena, in termini di “diritti”, “doveri” e “obblighi”.
    Forse non è così che i gentili interlocutori l’hanno intesa, ma mi pare che il rischio sia sempre quello di parlare di “libertà” in termini un po’ troppo metafisici… o forse retorici?
    Anche il termine “principio” (un po’ meno quello di “assioma”) mi risulta non del tutto chiaro.

  77. La discussione che abbiamo suscitato è sicuramente complessa, e davvero difficile da condurre mediante gli spazi angusti dei commenti.
    Io vorrei soffermarmi su due aspetti che a me appaiono decisivi. Il primo riguarda le motivazioni per cui mi riconosco come comunitarista e non liberale.
    Io rifletto sulle mie esperienze di vita, e considero quanto l’educazione, prima familiare, poi anche nell’ambito scolastico e sociale in genere ha contato nel determinare la mia visione del mondo. Vorrei che anche voi riflettiate sull’apprendimento della stessa lingua in cui, badate, non è che ci limitiamo a comunicare, ma in cui pensiamo. In altre parole, la lingua diventa parte costituente di noi stessi, e dovrebbe quindi essere chiaro che tutti partecipiamo a un universo simbolico che ci fa comunità. Questa stessa condivisione del linguaggio, ma la cosa si può estendere alla religione ed a qualsiasi contenuto culturale, ci unisce in una maniera che noi stessi non possiamo controllare, per cui siamo inevitabilmente compartecipi di una comunità. Potrei anche dire che se il mio vicino parla, non posso fare a meno di capire ciò che dice: non solo sono in grado di capirlo, ma sono perfino costretto a comprendere le parole che egli pronuncia. Se così è, ed anzi la società esiste proprio per questo motivo, trattare la società come l’insieme di più individui, tra l’altro che si pretende siano liberi e razionali, è un errore madornale. Da chimico, nel libro uso la metafora del gas ideale in cui le molecole interagiscono solo per urti perfettamente elastici, per illustrare la teoria liberale. Come la teoria del gas ideale non può spiegare come un gas raffreddato e compresso passi allo stato liquido, così la teoria liberale immagina una società che semplicemente non esiste.

  78. Come secondo punto, vorrei ritornare sulla mia affermazione sulla stupidità del principio liberale. In una società, la mia libertà viene sempre in conflitto con le libertà altrui. Non è quindi che esista un mio spazio individuale che mi consenta di essere libero senza pregiudicare libertà di altri. La legge è fatta apposta, per stabilire cosa è lecito e cosa non lo è. Il legiferare, il considerare che devono esistere regole valide “erga omnes” non è affatto un principio liberale, è un principio che deve necessariamente stare in qualsiasi ordinamento statuale, e le leggi ci sono sempre state, anche duarnte i regimi più dispotici. Se si crea uno stato, lo stato esite in quanto esistono delle leggi. Le leggi quindi servono a certificare la leicità di determinati atti sociali. Detto questo, il principio liberale dei confini delle libertà è stupido in quanto inutile. A me apre che un principio inutile debba semplicemente essere messo da parte, dovremmo disfarcene.
    Voglio ancora considerare un semp0lice esempio di problemi reali che potrebbero sorgere nel volere garantire la libertà di tutti. Immaginiamo che io ambisca andare in giro nudo. Sappiamo che molti non amano vedere loro simili nudi in giro per le città. Qui, c’è un elementare conflitto di libertà: chi stabilirà se deve prevalere il mio diritto di non indossare abiti, o il diritto di altri di non volere vedere il mio corpo nudo?
    Qui, vorrei proprio sapere come mi aiuta il principio liberale.
    E’ solo un esempio, ma tutti gli esempi che volessimo portare giungerebbero alla medesima conclusione. Resto in attesa di un unico esempio contrario, in cui cioè il principio del confine della liobertà possa aiutare a scelgiere tra più alternative.

  79. (Errata corrige: sembrerebbe che per la Weil il concetto di libertà non “SIA” solo astratto ma del tutto inesistente. Scusate, quando sono stanca faccio errori a bizzeffe.)

    Proseguo il ragionamento di Vincenzo dicendo che nessuno, neppure a casa propria, può fare ciò che vuole, perché anche a casa propria ognuno può fare solo quello che consente il diritto, esattamente come in qualsiasi luogo pubblico. Può starsene nudo a casa propria, è vero, perché questo è consentito dal diritto privato, ma non può uccidere né rubare né alcuna altra cosa che sia vietata dalla legge.
    Se però, al di là di ciò che è legale fare, qualcuno decide di infrangere la legge, nonostante tutto “può” considerarsi libero di farlo, anche se poi sarà costretto a subire la conseguenza di essere incriminato, sottoposto a giudizio e condannato a scontare la pena proporzionale al reato commesso.
    Anzi, l’idea che “a casa mia sono libero di fare ciò che voglio”, è uno dei luoghi comuni più diffusi e più dannosi, frutto bacato del diritto liberista.

    Avevamo abbandonato il signor B., ma ora vi devo dire che questo signore avrebbe la mia stima se si sentisse in “obbligo” di servire il suo paese assoggettandosi alle leggi in vigore, piuttosto che arrogarsi il “diritto” di piegare le leggi alla sua bisogna.
    Trovo gravissimo il fatto che lui e chi con lui siano preoccupati dai suoi problemi personali originati dalle attività antecedenti alla sua “scesa in campo”, tanto che ritengo che il governo sia “occupato” da questioni di giustizia del tutto secondarie rispetto alle attuali esigenze e problematiche del paese. L’unica consolazione è che finché sono trattenuti in questa faccenda provocano meno danni che se facessero davvero qualcosa – il ponte sullo stretto, per dirne una, o le centrali nucleari che hanno in programma, eccetera, eccetera.
    Considerando inoltre “come” vengono approvate le leggi a colpi di maggioranza, è evidente che siano inclini a procedere in via “eccezionale” in quasi ogni questione intendano affrontare – escludendo il parlamento e il dibattito parlamentare.
    Ma quando lo stato di eccezione tende a confondersi con la regola, le istituzioni e gli equilibri delle costituzioni democratiche non possono più funzionare e lo stesso confine fra democrazia e assolutismo, ahimè, sembra cancellarsi.

  80. md, concetti come individuo, proprietà privata, non hanno secondo me la consistenza di assiomi ideologici come altri presupposti alla base di progetti grandiosi di stati organici. Sono istanze più elementari, quotidiane, percepibili, magari anche, nel caso della proprietà, più meschine, che corrispondono a bisogni immediati e secondo me innocui, se ben regolamentati.

  81. Mi accorgo che ogni volta torno al punto di partenza, ovvero “cosa ci possiamo fare?”.
    Ogni uno di noi ha solo un “buono elettorale” da spendere alle prossime votazioni, e voterà (o non voterà affatto perché non si sente rappresentato?) secondo l’opinione che ha maturato nei mesi o anni precedenti, in ore ed ore spese ad ascoltare telegiornali e dibattiti televisivi dei rappresentanti dei partiti di governo, che ci dicono più o meno esattamente quello che vogliamo sentire per ottenere la nostra fiducia.
    Ascoltiamo le loro parole e valutiamo più credibile, o verosimile, quello che dice Tizio o Caio, o viceversa.
    Perché alla fine è di questo che si tratta: loro si mettono in vetrina e noi acquistiamo col “buono elettorale”. C’è qualcos’altro che possiamo fare?
    Ogni uno di noi, volendolo, potrebbe entrare in lizza, già, ma questa è un’altra storia … che infatti generalmente la nostra “potenza” è davvero minima in questioni di “politica”. Tanto che mi chiedo davvero a cosa serva appassionarsi tanto. Se è poi molto diverso dall’andare allo stadio e tifare per l’una o l’altra squadra … Suvvia, non scherziamo …
    Il motivo per cui, certo non tutti, ma alcuni o molti di noi si appassionano, è perché vorrebbero che la politica riuscisse a far essere un mondo più giusto di quello che è. Quello che ognuno di noi pensa che “dovrebbe essere” … anche se “quello che dovrebbe essere” non è per tutti la stessa cosa, ovvio.
    Il dato di fatto, però, è che i partiti che in questi anni ottengono il favore della maggioranza degli italiani, sono “er peggio”, ossia quelli che riescono a far leva sugli istinti più bassi: sulla paura dello straniero, sul desiderio di arricchirsi impunemente e di pagare meno tasse, eccetera. Sono loro la massa dei votanti, e sono gli stessi che posti di fronte alla scelta fra liberare Gesù o Barabba, scelsero Barabba. Ed è chiaro dai risultati elettorali che la maggioranza degli italiani ha più simpatia per i furbi e i “ladri di polli” che per chi gli propone un mondo appena un po’ più giusto di quello che è, o è sempre stato.
    Quindi mi sa che questo mondo dovremo tenercelo così com’è (sempre stato); e non vorrei pensarlo, ma temo che andrà di male in peggio e che il regresso sia inarrestabile.
    Difficile non pensare a Vico, quando sosteneva che la storia dell’umanità procede per tappe dai “bestioni” agli “eroi”, e quindi agli “uomini di ragione”; dopodiché il percorso si capovolge e torna indietro – anche se, possiamo sempre sperarlo, ma non è un’equazione matematica che la maggior parte dell‘umanità possa raggiungere o aver mai raggiunto il livello della ragione.
    E soprattutto nel panorama italiano, la comparsa del mito Berlusconi da una parte, e quello della Lega dall’altra, i due poli che insieme hanno raccolto il favore della maggioranza, sta ad indicare quanto la popolazione sia incline a credere ai miti piuttosto che lasciarsi guidare dalla ragione.

  82. Vorrei dir qualcosa intorno a qualsiasi argomento, e quindi anche a questo, ma quando la confusione concettuale su ciò che si discute si dilata al massimo (e questo accade, direi, dalla fine della seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri), è meglio attendere che le acque si calmino un pò, altrimenti si rischia di dire che il mare è fuori dall’acqua che lo costituisce!
    Con questo mi rivolgo alla cultura attuale, alla gente comune, alla politica, e a tutti coloro che hanno per lo meno l’ “intenzione” di capire veramente qualcosa intorno ai temi proposti (e non come tanti che invece seguono i propri interessi fregandosene del resto; e questi “tanti” sono innanzitutto le classi sociali e le ideologie politiche e di altro carattere).

  83. Salve.

    Indipendentemente da come ciascuno di noi ha votato, vota e voterà non credo sia un buon viatico pensare che “mica saranno tutti coglioni che votano a sinistra” oppure “Ed è chiaro dai risultati elettorali che la maggioranza degli italiani ha più simpatia per i furbi e i “ladri di polli” che per chi gli propone un mondo appena un po’ più giusto di quello che è, o è sempre stato.” Siamo arrivati al punto che da una parte pensano che chi vota altrimenti è un “ci-siamo-capiti” e dall’altra che gli altri sono amici di ladri quando non addirittura ladri loro stessi. Io sono stato e continuerò a essere un proporzionalista e secondo me noi abbiamo perso il senso di dove siamo ora e di dove vogliamo andare. Noi non siamo più una comunità, un popolo. Siamo diventati due fazioni in lotta tra di loro. Pensare che il Parlamento invece che essere la sede del potere legislativo sia il luogo in cui una parte sevizia l’altra finirà col generare odii e rancori e alla fine distruggerci. Non si può governare con un senso di rivalsa nei confronti dello schieramento avversario e delle parti sociali che esso rappresenta. In teoria si dovrebbe, con le elezioni, scegliere un programma e quindi tutto il l’arco costituzionale dovrebbe legiferare sulla base di quel programma. Io credo che già il nome che si è dato lo schieramento che non vince (cioé quello il cui programma è ritenuto meno valido), Opposizione, per quanto suggestivo, è sbagliato. Che cosa vuol dire che l’opposizione sta in Parlamento per abbattere il governo, per mandarlo a casa? Questa è, a mio modo di vedere, una scemenza bella e buona.

    A presto

  84. Un gran bel dibattito…tutto o quasi incentrato sulla diade destra/sinistra…
    Ha ancora senso questa distinzione?…
    Colgo l’occasione per augurare un sereno 2010 a tutti…e… vabbuo’ anche a Mister B…pero’ con qualche malattia!!!

  85. a Vincenzo
    Fin dall’inizio avevo fatto un esempio di applicazione del principio, quello dell’ascolto della musica, che sarà pure “stupido” ma mi pareva calzante. Ringrazio Luciano per averlo preso in considerazione.

    a luther
    Non direi che il dibattito corrisponda alla divisione destra/sinistra, a meno di voler ammettere che sia solo la destra a difendere i principi liberali, e questo – per quanto la sinistra sia messa male – non mi sembra corretto.

  86. @Andrea
    Scusami Andrea se non ho colto. Allora, vediamo di considerare il tuo esempio. Tu dici che in uno stato teocratico come quello iraniano, non è possibile avere una legge che regoli i suoni in ambito domestico? Non credo, credo che qui si dimostri proprio che il liberalismo non ci serve. Tant’è che in tantissimi stati liberali esistono ad esempio le centrali termonucleari, che non permettono ai cittadini che vivono nella zona di evitare rischi alla propria stessa incolumità fisica. Ciò in omaggio a un principio di interesse collettivo prevalente, ed in definitiva al principio fondamentale della crescita del PIL, della maggiore ricchezza come misura dello stare bene. E’ anche questo un principio ideologico connaturato allo stato liberale, come il perseguire l’allungamento della vita media, come lo stabilire confini statuali. Non riesco a capire come sfuggano a tanti tutte le assunzioni implicite, e quindi scontate di qualsiasi forma di ordinamento sociale: senza questo, non esiste neanche la società. Vogliamo parlare della libertà di stampa, e della ovvia traduzione di essa nella libertà di stampa di chi ha i soldi per stampare e farsi leggere?
    Lo stato liberale è prima di tutto uno stato, una comunità che condivide dei valori di fondo. Non dico certo che sia equivalente a uno stato teocratico, ma trovo scorretto distinguere una società aperta: le società sono tutte comunità in cui si èstoricamente stratificato un insieme di valori comuni. Ciò ovviamente non ha niente a che fare con un giudizio di merito, nel riconoscere che un tipo di organizzazione statale possa essere preferibile ad un’altra. Se però devo scegliere, è scorretto considerare uno dei termini di confronto come “non giudicabile” in quanto considerata a priori superiore.

  87. @Luciano:
    “Io credo che già il nome che si è dato lo schieramento che non vince (cioé quello il cui programma è ritenuto meno valido), Opposizione, per quanto suggestivo, è sbagliato.”
    Infatti, il Governo di Maggioranza potrebbe considerare non tanto l’Opposizione quanto la Minoranza, con il rispetto e la considerazione dovuta ad Ogni Minoranza, che non è un niente; ma non lo fa e di fatto la relega a ruolo di Opposizione, eccetera.

    In quanto ai “ladri di polli”, avrei dovuto precisare che non è farina del mio sacco, ma di averla tratta da uno degli esilaranti monologhi di Ascanio Celestini, in cui sosteneva con ironia che gli italiani scelgono i “ladri di polli” perché sono più simili a loro stessi, ci si riconoscono.
    Devo però ammettere che anche per esperienza personale ho avuto modo di conoscere i meccanismi di corruzione su cui si fonda la politica. E non è una novità. Favori in cambio di voti, appalti concessi agli affiliati, cariche distribuite fra amici e amici degli amici, e lavoro ottenuto con laute donazioni (leggi bustarelle per ungere gli ingranaggi). Corruzioni e favoritismi che sono così radicate nel tessuto sociale che passano come la “normalità assoluta”, vale a dire che sembra impossibile che le cose possano funzionare diversamente. E quelli che non si adeguano al sistema di corruzione in breve sono fuori dal gioco. Ed è un gioco sporco, non c’è dubbio, e senza neppure andare a disturbare le “mafie” vere e proprie.
    E non bisogna credere ingenuamente che da “mani pulite” in poi le cose siano cambiate. Proprio per niente. Tutto è come prima, come sempre. Soltanto che dopo “mani pulite” c’è stata la riscossa di quella parte di società che era stata presa con le mani nel sacco, e la scalata alla ripresa del potere, che non hanno intenzione di mollare perché rende parecchio. D’altronde l’amministrazione dei gettiti dello Stato è un affare colossale che va a distribuirsi nelle tasche dei soliti neppur troppo ignoti.
    (Mentre la Brambilla ha pensato bene di regalare un “buono vacanza” per le famiglie dei “poveri” che dal momento che non riescono più nemmeno a pagare le bollette, per lo meno potranno consolarsi di non poterlo neppure usufruire, perché in ogni caso costerebbe loro più di quello che si possono permettere. Giusto un diversivo per dirsi “ma come siamo buoni”. E d’altronde, cosa ci si può aspettare dal partito dell’amore? Questo ed altro, ossia che va tutto a puttane.)

    Quando tu parli di “fazioni in lotta tra di loro”, credo che non siano tanto le ideologie a far da spartiacque, quanto e innanzitutto la lotta per accaparrarsi il potere economico.

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