L’individualità come carattere radicato nella biologia è (almeno per ora e per quanto ne sappiamo) un dato indiscutibile. E questo radicamento fa sì che ogni vivente, a diversi gradi e livelli di entità e coscienza, sia fondamentalmente autocentrato: in primo luogo viene il sé e la sua conservazione, costi quel che costi – e poi il resto del mondo. Poco importa che la stessa biologia ci racconti che le cose non stanno proprio così, visto che il dna e la filogenesi di ciascuna specie usano gli individui per perpetuarsi e, laddove possibile, espandere il proprio dominio: una sorta di astuzia della ragione che superagisce le singolarità. La dialettica specie/individuo è comunque dominata dal conatus della conservazione.
Questa premessa mi serve a puntare l’attenzione su un fenomeno che sempre mi colpisce e che riguarda la ricaduta psicologica ed esistenziale di tale dettato naturale. Ciascun individuo umano parte dal presupposto che tutto ruoti attorno a sé, poco importa che ne sia o meno consapevole. Ogni suo pensiero, comportamento, azione, sentimento vanno nella direzione dell’autocentramento e della tensione autoconservativa. Anche l’abnegazione, il sacrificio e la generosità estreme sono atti dell’io, che soddisfano una sua qualche pulsione – e non può che essere così. Naturalmente sto semplificando e usando l’accetta – psicologia all’ingrosso! Ma taglio corto (con l’accetta), per arrivare al punto: mi interessava cioè richiamare l’attenzione sulle ricadute comunicative e relazionali del marchingegno bioconservativo.
Lo faccio con qualche esempio. Il primo riguarda la dinamica interpersonale del resoconto autobiografico (quella pratica corrente del “senti un po’ che cosa mi è capitato”, senza dover necessariamente arrivare al temibile “ti racconto la mia vita”). Mi stupisce costantemente quell’attitudine secondo cui l’emittente presume sempre che il ricevente sia al corrente delle sue vicissitudini, che l’abbia seguito in ogni anfratto del suo girovagare psicoesistenziale e che sia quindi pronto a comprenderne ogni esito o futura scelta e decisione. Sarà anche una questione di memoria (non sempre ricordiamo che cosa abbiamo detto o taciuto e a chi) – ma credo che il motivo di fondo stia di nuovo nel nostro essere narcisisticamente autocentrati: noi siamo i re e attorno a noi la corte (di amici, parenti, conoscenti) ci segue assiduamente e applaude alle nostre evoluzioni. Non ci si chiede nemmeno se l’altro sia o no al corrente di tutti i passaggi intermedi e di tutto il lavorìo del nostro cervello o della nostra interiorità. È ovvio che ne è al corrente, non abbiamo dubbi in merito. D’altro canto l’ascoltatore lascia che il soggetto parlante lo creda, né mai gli farebbe la scortesia di tacciarlo di eccessivo narcisismo. Anche perché, al di là della diversa propensione ad ascoltare o a parlare per lo più – dovrebbe saper bene che lui, a conti fatti, soffre dell’identico male.
Il secondo esempio verte sul fraintendimento comunicativo. Ne facciamo quotidiana esperienza: sia che si scriva a qualcuno (specie con i nuovi, eccessivamente veloci e volatili, strumenti digitali), sia che gli si parli de visu – non abbiamo mai la certezza assoluta che quel che stiamo comunicando arrivi così come desideriamo che arrivi. O meglio: forse non ce ne preoccupiamo più di tanto, dato che presumiamo in genere che quel che noi inviamo in qualità di mittente sia sempre chiaro (poiché per noi lo è), mentre non sempre riteniamo così chiaro quel che riceviamo. La trasparenza comunicativa finisce così per essere unilaterale, tutta dalla nostra parte, tant’è che ci sorprendiamo spesso di essere stati fraintesi, preoccupandoci molto meno del rischio inverso. L’evidenza è presso di noi, mentre dall’altra parte c’è per lo più confusione e mancanza di attenzione. Di nuovo il narcisismo opera alle nostre spalle.
Dovremmo infatti chiederci se la tanto esaltata dialogicità sia davvero orizzontale e a doppio senso, e quanto invece non sia sotto sotto una finzione o una costruzione (come succede nel dialogo socratico, ad esempio). Quel che esce dalla mia bocca è oro e vale di più di quel che ricevono le mie orecchie – naturalmente anche in questo caso sto generalizzando e ragionando all’ingrosso. Però credo che tali processi unilaterali, e tale propensione verticale al monologo, siano atteggiamenti fin troppo diffusi, anche in contesti insospettabili e apparentemente democratici.
E’ davvero dura ascoltare l’altro e ammettere di avere molto da imparare – soprattutto se l’altro che riconosco in me o il me stesso che vedo riflesso nell’altro sono reciprocamente affetti da inguaribile narcisismo. L’impressione di rette parallele che mai si incontrano è fortissima. Che non vuol certo dire che non si scrutino, vicine o lontane che siano: anzi, è forse quella la loro principale attività.
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(Ho scelto di tagliar fuori dal discorso la relazione parentale – coppia, genitore-figlio, fratelli, sorelle, ecc. – quella strana dualità affettiva ed esclusiva che ha dinamiche tutte sue, talvolta insondabili – come magnificamente Matisse ci mostra nel quadro sopra riprodotto ed intitolato La conversazione. Magari ci sarà occasione più avanti per riparlarne…).
Noi tuoi lettori ci concentriamo spesso sui tuoi articolati e sempre convincenti discorsi e trascuriamo le bellissime immagini che ,tanto accuratamente, scegli ad illustrare i tuoi sempre lucidi pensieri.
grazie Paola!
Devo dire che questa volta ho faticato non poco a trovare l’immagine giusta; non ricordavo affatto quel quadro di Matisse, e sono molto contento di averlo scovato (e che ti piaccia); quello passato a scartabellare monografie e cataloghi di artisti non è, evidentemente, tempo perduto…
Puntuale e rigoroso, come sempre! Serpeggia qua e là un senso di sfiducia, o é troppa puntigliosità la mia? Mi piace pensare, comunque, che non tutto sia riconducibile ad una pulsione dell’io senza scampo, a un’autoaffermazione che può anche ammantarsi di nobili intenti, ma che alla fine resta solo atto di “generoso egoismo”. E poi perchè,in fondo,la questione mi pare attenga più al sesso degli angeli che ad altro. In quanto al resto, che ormai non ci si ascolti quasi più è talmente vero che riesco a trascorrere giornate intere senza spiaccicar parola, primo perché mi pare veramente di non aver nulla di interessante da dire, secondo per evitare l’ascolto di altrettante inutili sciocchezze. Il silenzio, quando te lo puoi permettere, é il meglio che ti possa capitare. Un dubbio: forse dovrei piantarla anche di scrivere…
@xavier: sulla penultima frase: pienamente d’accordo; sull’ultima: e perché mai?
Solo per poi sentirmi confortare come hai ben fatto tu, caro e paziente amico…
Ho l’influenza da due settimane, una brutta influenza, ed è forse anche per questo che faccio non poca fatica a capire non solo la parola “narcisismo”, in questo discorso. Tagliato corto, o stemperato tra fumi della mia febbre, non so, come tutte le idee un po’ troppo noir, mi piace poco. La prima cosa che ho pensato, è che questo post sia scaturito da qualche brutto incontro che hai avuto, però forse mi sbaglio. Ma da lì a trarne una regola generale, ce ne vuole … ma forse mi sbaglio di nuovo.
Anche perché, se vogliamo, un sano narcisismo è anche la condizione indispensabile per fare molte cose, tra le quali scrivere, ma anche per poter amare gli altri … almeno come amiamo noi stessi. Infatti, se non amassimo prima noi stessi, che tipo di amore, cure e attenzioni potremmo dedicare agli altri?
“Ama il prossimo tuo come te stesso”, per me significa che se non riesci ad amare pienamente te stesso, come uomo libero e non come schiavo, difficilmente potrai amare allo stesso modo gli altri, e se necessario batterti per la loro stessa libertà.
Certo, bisognerebbe capire dove finisce un sano narcisismo e dove comincia quello malato. Così come mi piacerebbe sapere dove finisce questa influenza.
Ma se l’eccessivo narcisismo è comunque un male, di cui chi è affetto non sa di esser malato (e forse è per questo che non riesco a capire cosa sia o dove stia il problema) mi sembra anche inutile mettere il dito nella piaga. O sollevare il sospetto che siamo tutti malati di inguaribile narcisismo. Perché detto questo, a chi verrebbe ancora in mente di parlare e con chi, e a quale scopo? O scrivere ancora, e perché? Per mostrare ancora una volta il proprio narcisismo? Mentre per dimostrare di non esserne affetti dovremmo tacere per sempre? Una dimostrazione che però rischierebbe di condurci in breve ad una pace sepolcrale … ante e post litteram.
Ad ogni modo, preferisco pensare che gli altri siano ben-disposti ad ascoltarmi, almeno quanto lo sono io ad ascoltare loro. Ma anche se mi accorgessi del contrario, servirebbe a poco piangere sul latte versato.
Del resto c’è di buono che mi mancano le occasioni per infastidire le altrui regali orecchiette con i fatterelli miei. Mi capita più spesso di scriver di o attorno ad essi, questo e vero, senza sapere, per esempio, fino a che punto i miei talvolta estenuanti commenti rappresentino una scocciatura per chi occasionalmente li legge. Ma insomma, se così è, ditelo …
@milena
no, fortunatamente nessun brutto incontro particolare, solo pacata e smagata osservazione dei comportamenti sociali e, soprattutto, autoosservazione.
Che non vuol certo dire dedurne una regola generale (a mia preventiva discolpa ho premesso che si trattava di psicologia all’ingrosso).
L’amor di sé – come amava distinguere quel gran narcisista di Jean-Jacques Rousseau – è buona cosa (oltre che inevitabile biologia), ma la sua perversione (che lui chiamava “amor proprio”) non può che portare danni, talvolta irreversibili. (Dall’ombelico direttamente agli imperi).
E mi pare che del secondo ce ne sia fin troppo in giro.
Detto questo, ti auguro naturalmente una pronta e rapida guarigione, tanto più che la primavera (forse) bussa alle porte…
Cara Milena, guarisci presto e torna alla carica “più forte e più bella che prìa”. Io non mi incuriosisco degli altrui fatterelli, che poi son quasi sempre gli stessi per tutti, nel bene e nel male, ma ammiro l’ostinazione, quando, com’é ovvio, non é cretineria. Mi piace perché é un tratto di femminile caparbietà e forza d’animo, cosa che che troppo spesso noi uomini narcisi trascuriamo. Questo tuo sentirti così fortemente “essere sociale” a dispetto di tutto, ne é la prova convincente, e supera di gran lunga il disorientamento che ogni tanto provo davanti alle tue “monumentali” dissertazioni. Abbi pazienza: son borbottone da una vita. E mi raccomando: curati bene.
hai delle splendide perle all’interno di questa botte, Mario!
abbiamo in comune parecchio, a partire dall’amore per l’arte e dalla scelta delle opere…
🙂