La mia amica filosofa Nicoletta Podimani, impegnata da anni sul fronte delle battaglie sociali, antimilitariste, antirazziste, libertarie, femministe, per i diritti LGBT – insomma, per tutto ciò che potrebbe rendere migliore e più vivibile questo derelitto paese – ha scritto di recente un contributo per un opuscolo distribuito durante la festa antileghista che si è tenuta a Brenta lo scorso 3 luglio. Ho pensato di pubblicarlo sul blog per almeno due motivi: il primo è che rispecchia esattamente quel che penso sul tema del leghismo, delle ossessioni identitarie, delle fobie, del razzismo (del tutto in linea con quanto espresso da anni su questo blog); ma soprattutto perché mi è piaciuto il taglio con cui Nicoletta lo ha scritto, insieme biografico (che attinge al vissuto e all’esperienza diretta) ed antropologico, oltre che teorico-politico. Cito solo due aspetti dello scritto che trovo molto interessanti: la “scalata nella gerarchia etnico-sociale” e il presunto “riscatto” da parte dei “terroni”; la contiguità ideologico-culturale del leghismo con il nazifascismo e l’integralismo cattolico. Sono certo che potrà interessare anche i lettori della Botte…
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Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza in un paesello della Brianza. Erano gli anni Sessanta-Settanta, caratterizzati dall’immigrazione dal Sud. Mio padre, in realtà, era arrivato a Milano anni prima, durante la guerra, spedito dalla Sicilia a fare il servizio militare al Nord. Lì ha conosciuto mia madre.
Il mio cognome diceva chiaramente le origini paterne e per i parenti da parte materna nonché per coloro che, come unica lingua, conoscevano e parlavano il dialetto brianzolo, io ero “la figlia di un terrone” o, addirittura, “la mezzo sangue terrona”. La prova “scientifica” del mio “mezzo sangue” era, per tutti costoro, la mia profonda e viscerale ribellione contro ogni forma di disciplina. Perfino mia madre ne era convinta.
Tanti anni dopo, occupandomi di razzismo fascista¹, avrei scoperto che sedicenti “scienziati razzisti”, redattori della rivista La Difesa della Razza, avevano sostenuto le medesime “teorie” – chiamiamole così… – portando avanti la feroce lotta contro il meticciato e per la “purezza della razza” in Italia e nei territori dell’Impero italiano dell’Africa Orientale.
Questo conferma come le teorie del razzismo biologico del regime fascista abbiano improntato di sé anche la cultura popolare italiana del dopoguerra, iniettandovi la fobia della mescolanza e l’odio per l’altro. E, d’altra parte, dimostra anche che l’odio verso i “terroni”, che trovava le sue origini nella questione irrisolta del razzismo fra italiani esplosa definitivamente all’indomani dell’unificazione², è rimasta una questione aperta, malgrado il ritorno – in occasione dei 150 anni dall’unità d’Italia – della retorica nazionalista sull’italianità.
Ma torniamo indietro di qualche decennio, in quel paesello di cinquemila anime a metà strada fra Milano e Como dove gli immigrati meridionali arrivati di recente venivano concentrati in vecchie corti o in case-alveare costruite ad hoc.
All’epoca non si erano ancora diffusi i supermercati, e per fare la spesa si andava nelle varie botteghe: il panettiere, il lattaio, il fruttivendolo, il macellaio, ecc. Lì, in coda aspettando il proprio turno, era usuale doversi sorbire il comizio “anti-terroni” del negoziante, accompagnato dal plauso delle “sciure” che avevano sempre qualche pettegolezzo da aggiungere sui “terùni”.
Queste immagini mi sono tornate vivide alla memoria quando, dopo essermi trasferita a Milano per frequentare l’università, lessi sul numero di Uvizeta dedicato al centenario della morte di Marx (1983) un articolo sull’immaginario, dove l’immaginario alienato veniva rappresentato con la metafora del salumiere che sogna un mondo popolato di salumi. E proprio in quel periodo, siamo all’inizio degli anni ’80, faceva il proprio esordio la Lega Lombarda, una formazione partitica travestita da movimento, con un portato di becero razzismo e un apparato scenografico-mitologico funzionale alla costruzione di una rappresentazione di stampo para-nazista: l’invenzione della Padania e il legame sangue-terra, i raduni a Pontida, la figura del guerriero-eroe Alberto da Giussano, la sacralità delle (inquinatissime!) acque del Po; tutte cose che ricordano l’invenzione del mito ariano che, nella Germania pre-hitleriana concorse a preparare l’avvento del nazismo³.
In quel periodo molti presero sotto gamba la cosa, ritenendo la Lega Lombarda più pittoresca che altro. Ma a me, come ad altri, fu subito chiaro che stava accadendo qualcosa di molto pericoloso, perché non era frutto solo della “pancia” di qualcuno, ma rientrava in un progetto politico ben più ampio che, facendo leva sulla “pancia” di molti, mirava a sdoganare e a rendere “politici” contenuti profondamente discriminatori e razzisti. I discorsi dei bottegai brianzoli sentiti durante l’infanzia, erano assurti ad elementi di propaganda di un partito razzista pronto a presentarsi alle elezioni.
In effetti la Lega, in particolare per bocca del suo leader indiscusso – emblema della mediocrità e dell’ignoranza più presuntuose, tipiche proprio di chi non sogna altro che un mondo popolato di salumi – avrebbe di lì a breve costruito un immaginario identitario in cui potevano riconoscersi tanto il padrone della “fabbrichetta” quanto l’operaio che vi veniva sfruttato.
Uno strumento fondamentale di questa operazione ideologico-politica fu l’alimentare la guerra tra poveri per allargare il consenso. E così anche all’immigrato meridionale, che aveva vissuto sulla propria pelle l’esperienza della discriminazione e dello sfruttamento, veniva offerta su un vassoio d’argento l’occasione di un riscatto sociale. Un tempo additato col termine denigratorio di “terrone”, ora poteva cogliere l’occasione di una scalata nella gerarchia etnico-sociale e diventare a sua volta oppressore dei nuovi immigrati – definiti, a seconda dei periodi, coi termini razzial-generici di “vu cumprà”, “albanesi”, “marocchini”.
Nell’ “uomo nuovo” (4) del leghismo si potevano riconoscere anche coloro che volevano dimenticare la propria storia di emigrazione e le umiliazioni subite.
Dal punto di vista antropologico, l’ennesima conferma di questo processo l’ho avuta in occasione di una supplenza, negli anni ’90, in una scuola professionale femminile in provincia di Milano, a Rho per la precisione. Era il periodo in cui gli immigrati, da qualunque parte del mondo provenissero, erano riduzionisticamente categorizzati come “marocchini e albanesi”. Alle ragazze di una classe feci leggere alcune testimonianze di emigrati dalle zone depresse d’Italia nella Milano industriale – Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati (5) – raccolte da Franco Alasia e Danilo Montaldi alla fine degli anni ‘50. Dalle fotocopie avevo cancellato i nomi e la provenienza degli intervistati, e chiesi alle studenti di leggerle e di dirmi, secondo loro, di chi si trattasse. È inutile dire che, unanimemente e senza alcuna esitazione, mi venne risposto che si trattava di “albanesi e marocchini”. Grande fu il loro stupore quando mostrai le interviste originali, dove era chiaro che i parlanti erano originari delle regioni da cui venivano i loro padri e le loro madri e che le storie riportate nel libro erano le stesse dei loro genitori: costretti a dormire uno sull’altro in baracche, anguste stamberghe e cascinali fatiscenti, costretti a vivere da clandestini se non avevano casa e lavoro per ottenere il permesso di soggiorno, richiesto in base ad una legge risalente al fascismo.
Il problema, dunque, era che questi genitori non avevano raccontato nulla del proprio passato alle figlie e ai figli e che, inoltre, umiliando “marocchini e albanesi” compivano una catarsi rispetto alla propria dolorosa storia di emigrazione, rimuovendola completamente.
Il medesimo processo ha coinvolto quelli che, quando ero bambina, venivano definiti “i terroni del Nord”, cioè i triveneti, la cui storia di emigrazione ha moltissime somiglianze con l’esperienza dei meridionali. E da anni proprio l’arricchito Nord-Est è diventata una delle roccheforti della Lega – che dal 1991 ha preso la forma della federazione sotto il nome di Lega Nord.
Un altro aspetto rilevante dell’ideologia leghista è la prossimità di alcune sue tematiche conservatrici e reazionarie con elementi ideologici del fascismo e dell’integralismo cattolico. Dall’affermazione delle “radici” cristiane dell’Europa (senza contraddizione con le pagane “radici celtiche della Padania”…); dal ruolo di “custode del focolare domestico”(6) attribuito alla donna – che deve “trasmettere i valori legati alla tradizione e all’amore per la propria terra” e “tutelare la famiglia naturale e gli interessi famigliari, morali, economici e politici della donna” (7) – al machismo – che con la Lega si declina come “celodurismo”, a partire dalla famosa affermazione di Bossi “La Lega ce l’ha duro”.
Da questo punto di vista un ruolo fondamentale ha avuto, all’interno della Lega, la presenza di esponenti provenienti dall’estrema destra fascista come Borghezio. E proprio Borghezio, nel 2009, in occasione dell’incontro di un gruppo di estrema destra a Nizza viene colto mentre, a margine, ad alcuni militanti elargisce consigli strategici di questo tenore: “Bisogna rientrare nelle amministrazioni dei piccoli comuni. Dovete insistere molto sull’aspetto regionalista del movimento. Ci sono delle buone maniere per non essere etichettati come nostalgici, ma come un nuovo movimento regionale, cattolico, eccetera, ma sotto sotto rimanere gli stessi”.
Un discorso a sé andrebbe fatto in merito all’omofobia della Lega: le sporadiche dichiarazioni di apertura nei confronti di gay e lesbiche convivono, infatti, senza alcuna contraddizione con affermazioni omofobe quali quelle del ministro Calderoli secondo cui “Essere culattoni è un peccato capitale” e “La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni”, o quelle dell’europarlamentare Matteo Salvini secondo il quale l’omosessualità andrebbe considerata una malattia mentale, fino ad arrivare alla violenza dell’ex sindaco di Treviso, Gentilini, che ha auspicato la “pulizia etnica per i culattoni”(8).
Nell’Italia repubblicana, fino all’avvento della Lega, c’era stato un certo pudore a lasciare che tematiche razziste ed omofobiche tipiche del ventennio mussoliniano fossero professate a gran voce anche a livello istituzionale e non solo in ambiti ristretti. In questo la Lega ha giocato il ruolo di apripista: dal momento della sua comparsa ad oggi non si contano le affermazioni e le pratiche violente che istigano non solo alla disumanizzazione, ma addirittura all’uccisione del “diverso”. L’invito esplicito a dare la caccia ai migranti in territorio italiano o a sparare sui barconi di immigrati, la criminalizzazione dei centri sociali e dei seguaci di una determinata religione, la denigrazione e il sarcasmo nei confronti delle persone omosessuali non sono più appannaggio del salumiere brianzolo o del machismo da bar: nell’inveire a gran voce contro tutti costoro sono, da alcuni anni a questa parte e in un continuo crescendo, esponenti politici, parlamentari, sindaci, ministri. L’effetto, sul piano sociale, è che odio e fobie si rafforzano e chiunque, oggi, può sentirsi legittimato a sfogare su tutti i “diversi” paure e frustrazioni mediante una violenta affermazione del proprio suprematismo.
A Bologna, la campagna elettorale leghista per le amministrative del 2011 aveva come parola d’ordine l’importanza di ridare Bologna ai bolognesi. La cosa è assai curiosa e denota una notevole ignoranza, dato che si tratta di una città popolata da numerosi studenti fuori sede già dalla fondazione della sua università, ritenuta la più antica nel mondo occidentale. Ma, al di là di questo, durante il comizio a sostegno del candidato sindaco leghista, il ministro Tremonti ha fatto esplicitamente riferimento al cognome campano del candidato dell’opposta coalizione per arrivare a dire che, di questo passo, il prossimo sindaco bolognese si potrà chiamare Alì Babà.
Che un ministro usi, pubblicamente, il cognome di qualcuno in funzione denigratoria e razzista è lo specchio della miseria in cui versa questo Paese. Basti pensare che la pratica di discriminare in base ai cognomi – tornata diffusamente in auge nei confronti delle persone di origine musulmana dopo l’11 settembre 2001, col pretesto della “sicurezza” – ha un pericoloso precedente nelle persecuzioni antisemite e nell’olocausto.
Come il salumiere brianzolo usava, quando ero piccola, il proprio negozio per sdoganare la sua visione del mondo, così la Lega usa la politica istituzionale per diffondere le proprie fobie. E lo fa con successo, come dimostra il diffuso clima di paura generato mediaticamente nella popolazione per creare consenso intorno alle nuove, feroci, politiche securitarie e di controllo sociale di cui i “pacchetti sicurezza” di Maroni – con il loro portato razzista e criminalizzante – sono l’espressione più eloquente.
E se qualcuno si è stupito che un esponente politico “sinceramente democratico” come Pier Luigi Bersani sia arrivato a dichiarare, dalle pagine del quotidiano La Padania il 15 febbraio 2011, “So che la Lega non è razzista”, proponendo alla Lega Nord un “patto tra forze popolari”, è bene ricordare che fu proprio il governo di centro-sinistra con la legge Turco-Napolitano a creare in Italia, nel 1998, i Cpt, veri e propri lager per immigrati irregolari, e a spianare la strada alla successiva legge Bossi-Fini sull’immigrazione.
1. Nicoletta Poidimani, Difendere la “razza”. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini, Sensibili alle foglie, 2009. Sul meticciato si vedano, in particolare, le pagg. 82-103
2. Si veda ibidem l’intero cap I: “Dall’identità nazionale alla ‘razza italiana’: genealogia di un’idea”
3. Gorge L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, il Saggiatore, 1968
4. Uso, non a caso, questa espressione mussoliniana
5. Franco Alasia e Danilo Montali, Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, (I ed.: Feltrinelli, 1960)
7. Cit. dal “Volantino di intenti” (31 marzo 2006) del Gruppo politico femminile della Lega Nord Vedi
8. Si veda qui il relativo articolo
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Ringrazio l’autrice e il comitato della festa per la gentile autorizzazione. L’articolo è inserito nell’opuscolo Lega, se la conosci la eviti se la capisci la combatti (60 pagine, 3 euro) a cura della Festa popolare antileghista. Per eventuale richiesta copie: antileghista@inventati.org
foto di ro_buk
Come non condivede quanto scritto da Nicoletta qui sopra?
Mi viene da pensare a come siano stati bravi questi manipolatori di piccole menti. Hanno costruito un partito su un’iconografia inesistente. Non esiste la figura storica di Alberto Da Giussano, la battaglia di Legnano non si è svolta a Legnano, la Padania non è mai esistita, i Celti con i leghisti che cosa centrano?
– “tagliare, tagliare i ponti, si, i ponti sul po, così tutti sti teroni a casa loro, insieme agli immigrati”.
-“sa, ho visto un Napoletano, di quelli bravi però, con la maglia della Lega, ecco lui può stare qui, è Napoletano ma è una brava persona, uno che è venuto qui per lavorare”
Queste due frasi le ho sentite a pontida durante il raduno della Lega, ero li, come ben sai, per fare un reportage fotografico. Quello di cui mi sono reso conto è che esiste una grossa differenza tra l’immagine pessima, razzista e ignorante che la lega da di se attraverso i mezzi di comunicazione e quella che è la sua base, ben più razzista e ignorante della stessa Lega. Contrariamente a quel che si crede, ad esempio, il terrone che non ha voglia di lavorare è ancora attualissimo tra la base della Lega.
E’ per me motivo di vanto avere una fotografia associata a questo scritto.
Ho letto questo testo come una dimostrazione che la rabbia può essere usata per fare qualcosa invece di piangersi addosso. L’ho scoperto da poco: la rabbia può essere un’energia preziosa se si s’impara ad usarla invece di essere usati da lei, o invece di soffocarla.
@Rob: grazie a te!
a proposito della questione “terrona” hai sicuramente ragione, ma vanno anche registrate le contraddizioni interne alla base leghista. Come ad esempio dimostrato dalla cronaca della festa di Besozzo, con l’episodio del cantante salentino che, nonostante il dito medio di Bossi, si trova ad eseguire le tarantelle davanti ad una platea apparentemente “mista” (sempre che il suo resoconto sia veritiero).
D’altra parte la più accanita leghista ch’io abbia mai conosciuto è una mia cugina terronissima (che, avendo lavorato alla Rinascente di Milano e comprato casa in Brera si credeva anche milanesissima), la quale, devastata psicologicamente da vicende di immigrazione, di seduzione, di fuga e di abbandono, ha trovato nel leghismo una formula bell’e pronta di riscatto sociale, con cui crede di aver risolto i suoi decennali problemi di livore e risentimento. E questa è soltanto una delle storie…
(Tra l’altro il peggior modo di usare l’energia derivante dalla “rabbia” a cui fa riferimento rozmilla)
Carina quella del salumiere che sogna un mondo di salumi. Provengo da una famiglia bergamasca e, si sa, i bergamaschi sono tradizionalmente ghiotti di i salumi. Mio padre faceva ingrassare un maiale nel paese di origine e a dicembre c’era la cerimonia dell’uccisione del maiale e relativo insaccamento dei salami, che poi venivano appesi in cantina a stagionare. Devo ammettere di essere stata cresciuta a pane a salame, e che mi ci son voluti anni di yoga e digiuni per liberarmi delle merende a base di pane e salame.
Mio fratello però è un salumaio convinto: pensate un po’ che il patronimico della sua compagna di vita è Salami – deve essersela cercata col lanternino. Ovviamente è un cognome come un altro, però la coincidenza fa per lo meno sorridere, ed entrambi sono leghisti o giù di lì. Ricordo che la signora Salami già anni fa era terrorizzata dall’idea che l’Italia potesse diventare multietnica. Che paura!
Però ho anche dei dubbi che si possa far qualcosa per cambiare la testa alle persone che pensano (pensano?) in quel modo. Se qualcuno si fissa su un’idea, è difficile fargliela cambiare. Qualsiasi cosa vede o gli si dica, la legge e la interpreta sempre a modo suo, che di solito è il modo più vantaggioso per se stesso. E a quel punto qualsiasi possibilità di dialogo va …. non si sa. Ma mi dispiace constatare quando qualcuno perde così inutilmente la bussola. Quando la ragione va a farsi benedire … è molto strano. Più esattamente è un paradosso. Oppure è il rovesciamento della medaglia. Da parte mia mi sforzo di guardare entrambi i lati, senza fissarmi sull’idea che solo uno sia quello buono e giusto. Ma se abbiamo di fronte qualcuno che vuole guardare soltanto un lato, come per esempio mi capita con mio fratello, come si fa? Questo mi addolora, anche perché so che mio fratello non è stupido, e per tanti versi è una persona pregevole.
Perciò lo chiedo sinceramente, qualcuno conosce come si può fare? Esiste una soluzione, una possibilità di pacificazione fra le parti, o è un destino ineluttabile che esse siano contrarie, opposte, e per ciò stesso, nemiche?
Sai, Md., a proposito della tua cucina “terronissima” che poi è diventata leghista, a me sembra che abbiamo diritto di parlare di un’altra, di un altro, solo a patto di rispettarlo. Perché se disprezzassimo qualcuno, per il motivo che odia o disprezza qualcun altro, in fondo non saremmo diversi da colui che disprezziamo. E quindi non avrebbe senso disprezzarlo, a meno che non intendessimo nello stesso tempo disprezzare noi stessi. Così la vedo io.
Pensiamo davvero che disprezzando i leghisti che disprezzano i terroni e gli extracomunitari potremo ottenere qualche effetto risolutore o mettere in moto un qualche processo catartico?
Diversamente, quale potrebbe essere il punto su cui poter far leva?
(le ultime domande in omaggio a Xavier, caro amico, che ci esorta a farci domande)
Quando mi confronto con un leghista ho sempre l’impressione di stare davanti a una persona che non conosce, a cui manca la curiosità di uscire per conoscere il mondo. Molti leghisti sono ex comunisti, molti leghisti sono tesserati cgil e molti di questi sono attivi anche nella fiom. Una volta persone vitali che oggi hanno smesso di cercare di approfondire e di capire. Non a caso i leghisti o sono anziani o sono giovani delle valli e o dei paesini. Tutta gente che ha poche possibiltà di confronto o che il confronto non lo cerca più. Meglio chiudersi in casa e dare ascolto alla tv che ci racconta di fatti che mettono la paura addosso. Mentre andavo a Pontida ho ascoltato radiopadania, ad un certo punto hanno fatto una lettura dai giornali, non ci crederai, hanno elencato solo le notizie di cronaca in cui erano coinvolti migranti, cose del tipo “giovane tunisino tenta di violentare donna a Pavia” oppure “extracomunitario rapina una farmacia armato di coltello”. La lega ha gioco facile in un’Italia in cui tutti fanno terrorismo mediatico, dove il migrante viene perlopiù descritto come un delinquente comune. Perchè la gente ci casca? Secondo me per i motivi che ho scritto qui sopra. Non giustifico certo nessuno, sia chiaro.
Bossi e compagnia hanno un esercito di scimmiette lobotomizzate a cui dare una ragione di vita, la rabbia verso gli altri.
C’è da chiedersi come sia possibile che le scimmiette siano così tante.
Per quanto riguarda il leghista che viene da lontano, non c’è dubbio, Nicoletta ha ragione quando afferma che all’immigrato meridionale “veniva offerta su un vassoio d’argento l’occasione di un riscatto sociale”, ma questo non vuol dire che la base leghista, quella radicata nelle valli Bergamasche e in veneto non sia ancora razzista nei suoi confronti.
@rozmilla: hai forse notato del disprezzo nelle mie parole? Mi pare di essermi limitato a registrare una storia, e a cercare di comprenderla. E comunque faccende come l’odio o l’amore o il disprezzo, per quel che penso io, devono star fuori il più possibile dal piano politico. Credo anzi che proprio questa indebita intrusione (forse più immaginaria che reale, ma l’immaginazione è una leva potentissima) sia una delle principali cause del declino politico del nostro paese.
Non ho notato alcun disprezzo nelle tue parole, Md., e non vorrei mai pensarlo, e me guarderei bene. Forse avrei dovuto specificarlo.
Però nel caso in questione mi pare più un caso di groviglio di sentimenti e risentimenti popolari che di politica. Per questo ho riflettuto sulla faccenda del disprezzo.
Inoltre nei giorni scorsi, riflettendo sul significato e il valore del danaro, mi sono imbattuta in una curiosa associazione d’idee fra “prezzo” e “disprezzo”, che derivano dal latino pretiu(m) di etimologia incerta – dice il dizionario. Non possiedo un dizionario etimologico che di certo mi manca, ma anche così, a naso, appare evidente che “dis-prezzo” è il parasintetico del “prezzo”, vale a dire un prezzo a cui si è dato un valore negativo. E che quindi la cosa significata dal disprezzo non ha più un suo valore di scambio positivo, bensì, essendo stata per l’appunto disprezzata, è fuori dal mercato di scambio.
Per di più trovo la cosa molto interessante soprattutto se rapportata alle relazioni umane; perché è chiaro che quando un individuo – terrone o extacomunitario – riceve il disprezzo dall’ambiente sociale in cui si trova, o vorrebbe inserirsi, rimane escluso dai rapporti, e quindi in senso lato potremo dire che è “fuori dal mercato di scambio”. Non ha più prezzo, non ha valore, e quindi può essere anche mandato senza pena al macero. Anzi, è un dis-valore, perché occupa lo spazio utile per quelli che invece un valore ce l’hanno, o se lo danno (i leghisti). Mi sembra che tutto questo sia in linea con la questione trattata nel post. O mi sbaglio?
@rozmilla: molto interessante…
@rozmilla:
Leggendo il tuo post, anzi in verità rileggendolo, mi è venuta in mente anche una ulteriore espressione, che utilizziamo a volte nelle relazioni, quando vogliamo comunicare a qualcuno che lo stimiamo (stimare.. stima.. anche qui, guarda caso, si riaffaccia il discorso sul valore). Parlo dell’espressione “ti apprezzo”, cioè “ai miei occhi hai un valore”. E quindi viceversa, se ti disprezzo, non hai più un valore ai miei occhi, e perciò ti tolgo dal mio sistema dei valori e in un certo senso ti tolgo addirittura dal mio campo visivo. In sostanza, il macero di cui tu parli.
Bene rozmilla, credo proprio che tu abbia aperto uno spiraglio molto originale.. anche nel senso di ciò che è originario, all’origine, cioè primordiale e in un certo senso alla base. E penso proprio che per questo, in futuro, varrà la pena di dedicarvi qualche attimo in più di riflessione.
Grazie per questi spunti così preziosi.. – prezioso – prezzo – ma che, non se ne esce???
A tal proposito mi sovviene una lettura molto originale di un mio maestro e docente – Luciano Parinetto – di alcuni testi filosofici antichi: in particolare dei frammenti di Eraclito (“Fuoco non fuoco” il titolo della raccolta con la sua traduzione) e degli aforismi dei cinici (Il vangelo dei cani).
Vi si insiste molto, specie per Eraclito – tradizionalmente avvolto dai fumi mistici ed oracolari di certe interpretazioni -, sul concetto di “valore”, di “mercato” e, soprattutto, di “scambio” (cruciale per la circolazione e il movimento delle cose, non a caso Eraclito usa metafore che alludono all’oro).
Mentre per Diogene è fondamentale il meccanismo della “falsificazione dei valori”.
In sostanza, urge una riflessione sul perché tutta una serie di parole (e dunque di concetti e di mentalità) mostra significati così ambigui ed ambivalenti. O che, magari, ambivalenti non sono affatto.
di quale post parli, Francesco?
forse questo?
http://rozmilla.wordpress.com/2011/07/14/mio-fratello-mi-ha-messo-sottovetro/
effettivamente non so se se ne potrà uscire.
ma mentre lo scrivevo pensavo a che effetto potrebbe fare a mio fratello leggerlo.
forse potremmo uscirne tutti con una bella risata.
sai come quando si diceva … liberi tutti … e che gioia
e tutti a far merenda
ciao
Chiedo venia.. In realtà avrei voluto scrivere commento, non post. Mi riferivo infatti al tuo commento su questa pagina, dove rifletti sul prezzo/disprezzo, etc..
Comunque va bene anche così, dato che l’errore mi ha permesso di conoscere il tuo blog, che non avevo mai visitato.
Purtroppo, si sa, i rapporti tra fratelli non sono sempre facili, e il tuo post ne è l’ennesima dimostrazione..
Ciao, e che la gioia liberi tutti..