Bisogna ascoltarli i primi filosofi – quei presocratici che forse erano più sapienti di quanto non fossero amanti (ed anelanti) di sapienza. Ancora oggi le loro parole – e le loro teorie fisiche un po’ strane per la nostra mentalità scientifica (che pure è intrisa fino al midollo dei loro concetti e del loro linguaggio) – quelle parole risuonano forti e chiare. E ci avvertono che nonostante la natura ami nascondersi, occorre un’ampiezza dello sguardo e una capacità di penetrazione fuori del comune per poter vivere in essa e convivere con essa. Le nostre società ultratecnologiche ed onnipotenti hanno imparato solo una parte della lezione. E tendono, sempre più, ad avere lo sguardo corto e miope, ed anzi rivolto ormai quasi solo al proprio ombelico.
Empedocle è alla ricerca forsennata di questo sguardo lungo ed ampio, che si rivolge tutt’attorno alle cose, dentro le cose, fin dentro se stessi – fino a ricomprendere quello stesso sguardo che guarda se stesso. E ci parla di una natura quantomai irrequieta, che si svolge muta ed indifferente sotto quello sguardo (come già succedeva per Anassimandro, ed ancor più per Eraclito):
“E queste cose interamente mutando non s’acquetano mai, a tempo convengono tutte quante nell’uno per opera dell’amicizia (philòteti); a tempo sono travolte al contrario, separatamente ciascuna, dall’inimicizia che nasce dalla contesa (nèikos).” [fr. 17].
Ma Empedocle ci ammonisce a proposito dei nostri sensi limitati: “anguste si espandono infatti attraverso le membra le facoltà“. E sferza la nostra vista corta e incapacità di elevarci all’intero: “Esseri di corta durata, che vedono lungo la loro esistenza solo una piccola parte di vita, di natura simile al fumo svaniscono, ciascuno fidando solo di quanto gli occorre per caso; in tutte le direzioni condotti, e tutti si vantano di aver trovato l’intero” [fr. 2].
Ora, succede quotidianamente di essere percossi dagli elementi. Talvolta malamente ed irrimediabilmente. E pure imprevedibilmente. Ma questi avverbi affetti da fatalismo, possono essere, se non rovesciati, senz’altro attenuati da una precisa scelta insieme cognitiva ed etica: abbandonare la via dello sguardo corto e parziale, ed incamminarsi su quella (più ardua e meno comoda) dello sguardo lungo, che contempla l’intero.
La filosofia non risolverà certo i problemi idrogeologici del nostro paese (né tantomeno i mali dell’umanità) – ma l’ascolto di un’antica sapienza (ovunque essa sia: scritta in pagine ermetiche o tramandata da una millenaria cura del territorio o sognata ed immaginata dai poeti) non potrà che farci bene ed esserci utile. Un’utilità di lunga durata ed ampio raggio.
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La filosofia non risolverà certo i problemi idrogeologici del nostro paese (né tantomeno i mali dell’umanità) – ma l’ascolto di un’antica sapienza (ovunque essa sia: scritta in pagine ermetiche o tramandata da una millenaria cura del territorio o sognata ed immaginata dai poeti) non potrà che farci bene ed esserci utile.
Il pensiero è bellissimo e nobile, certo…ma il problema forse sta più alla base…
Occorono bravi geologi e tecnici specializzati.
tre regole fondamentali:
ripulire i tombini, non costruire sugli argini, rispettare la natura.
la filosofia, più che risolvere i problemi, ci aiuta a rifletterci sopra.
ciao Mario
Se c’e’ un sapiente che abbia percorso – nascosto, come si conviene al sapiente – il novecento italiano questi e’ stato Giorgio Colli. Nessuno come lui ha affrontato il Logos con lo sguardo del presocratico [non a caso Colli prediligeva per i presocratici la denominazione di “sapienti” e non di filosofi]. Quel che devasta la visione d’insieme e’ quel che ieri ha condotto l’Occidente [quell’Occidente che muovendo da Atene e’ passato per Gerusalemme e di qui e’ ritornato a Roma] ai vertici di astrazione della scolastica. Se del tutto prendiamo in considerazione oggi solo quel che puo’ essere ridotto/tradotto a quantita’ non abbiamo scampo. E il passaggio dalla primitiva economia di sussistenza a quella di baratto dapprima, a quella di scambio da ultimo [da cui l’introduzione del denaro e la conseguente necessita’ del calcolo] ne e’ la prima causa, il motore ahinoi finanche troppo mobile.
più che altro la natura fa quello che vuole, il lungo raggio empedocliano aiuta a disingannarci nella fede cieca nella tecnologia, che su di essa può far poco o niente.
certo è che se quel poco e utile è fatto male allora l’attenzione è da riporre nell’amministrazione e non, come invece viene fatto, associandola alla fede che siamo in un mondo perfetto tecnologico. Ma tantè la gente di filosofia non se ne occupa.
ehm…empedocleo! 😉
@luca ormelli: in effetti non solo la natura, ma anche Giorgio Colli ama nascondersi (o, per meglio dire, è stato rimosso); e già solo “La nascita della filosofia” andrebbe letto e meditato ogni giorno, riga per riga.