(Il buon vecchio Emilio Agazzi, un professore marxista che ebbi la fortuna di seguire per qualche anno all’Università Statale di Milano, recitò una volta, durante una lezione, la filastrocca in voga ai suoi tempi di studente, e forse anche ai tempi di Aristotele: la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale).
Bisognerebbe preliminarmente intendersi sul concetto di potenza, piuttosto stratificato e ambiguo.
È potenza la passività di un ente o di una mente, nel farsi soggiogare da ciò che le è esterno.
È potenza questo esterno, somma di forze incontrollabili e sovrastanti – potenza della natura, si suol dire.
È potenza la dis-posizione dell’ente o della mente a mutare, a cambiare forma o contenuto. A diventare quell’altro-da-sé che è già in-sé. È potenza la possibilità – dynamis, divenire ciò che è possibile divenire.
Le facoltà e le virtù sono pura potentia – conatus esistenziale che si realizza in una data forma di vita.
Potenza è quella dell’intelletto, in grado di gestire attivamente le passioni – passività che si trasmuta in attività.
Con il rischio di farsi volontà di potenza – autoaffermazione che non trova più vincoli nelle potenze esterne (o che crede di non trovarne o che vuole crederlo). Pura potenza di fare e disfare, di creare e distruggere il mondo, di dire: voglio che sia, che fosse e che sarà! Potenza del circolo, circolo della potenza.
Potenza è potere – logica di potenza, amor di sé che traligna in amor proprio.
La filosofia è la strana sensazione di avere a che fare con tutto questo. Di stare nel mezzo di questo flusso che va dalla dynamis all’energeia – dalla contingenza alla necessità, dal non-ancora all’irrevocabile, dal nulla all’essere. E ritorno. E di poterlo comprendere, certificare, dominare, controllare – avere in pugno. E’ episteme, star sopra, guardare dall’alto. E lo è anche quando decide di star sotto e di guardare dal basso. O di lato. O di sghimbescio. O di non guardare. Anche il relativismo e il nichilismo sono potenti.
E’ la sensazione di essere la capocchia di spillo da cui osservare l’universo – la capocchia di spillo che regge l’universo, che addirittura lo inventa.
È Begierde – brama incontrollabile – di conoscenza: la bocca che trangugia il tutto, lo digerisce e lo caga, ben ordinato, in un sistema di concetti. Per poi farlo cadere come se si trattasse di un castello di carte. Ed è la bocca che autofagocita se stessa, poiché chiede conto di se stessa, avvolgendosi in un labirinto di possibili insensatezze (anche questo è potenza).
Da ultimo, è impotenza.
La potenza esprime il divenire: è il fuoco di Eraclito che non a caso, prima di creare, distrugge.
Se tutto scorre e quindi diviene…allora tutto è filosofia, ma anche quest’ultima “scorre” e quindi diventa complicato afferrare il senso: la potenza è ciò che muta ovvero ciò che non è, ma nello stesso tempo “è”, perché non può non essere (Parmenide o anche Severino), come “è” anche lo strumento di analisi.
Tuttavia se “è”, allora non è per definizione potenza e il ragionamento si fa circolare e paradossale, come la foto di Escher qui sopra.
Sì, proprio la figura giusta al punto giusto, grazie!!!
(poi naturalmente ne discuteranno i grossi calibri)
“volontà di potenza – autoaffermazione che non trova più vincoli nelle potenze esterne” mi sembra un pò forzata:la volontà di potenza è proprio il principio differenziale tra forze attive e reattive, è il riconoscimento delle potenze esterne, del campo di forze dove si battaglia per la verità, il valore, la vita e la morte. A questo punto si incontra il bivio tra trascendimento del limite e passiva sottomissione ad esso…