(scrivendo qua e là frammenti – disiecta membra sorte da un unico martellante pensiero fisso – ne è venuta fuori la solita possibile triade che ogni tanto imperversa sul blog: il 3 è un numero fin troppo affollato di simboli, di fronte alla cui potenza non so resistere; eviterò però la numerazione, così da alleggerire il susseguirsi degli ontologici conati; sì, perché gira e rigira sempre lì la mente mi riconduce: a quel pensiero dominante che, con risorgente enfasi, denominiamo di volta in volta dio – sostanza – essere – eterno – fondamento – significato – verità – amore… beh, cominciamo con l’amore, poi si vedrà)
Nel Trattato teologico-politico, Spinoza affronta ad un certo punto il tema dell’amore – nella fattispecie dell’amore divino, che è insieme amore di e per Dio. Il ragionamento che qui viene condotto riguarda l’obbedienza che si deve a Dio, come essenza della fede, che si riduce e sostanzia nella legge amorosa – ama gli altri così come ami Dio. Questo criterio universale viene poi messo in pratica nella necessità di operare, poiché “la fede senza le opere è morta”. Spinoza cita Giovanni, là dove afferma che “Dio è amore” (charitas), dal che si conclude che, “nessuno percepisce o avverte Dio se non per mezzo dell’amore verso il prossimo, e [che] perciò nessuno può conoscere altro attributo di Dio all’infuori di questo amore, in quanto partecipiamo ad esso” (Tractatus, cap. 14, § 2).
Al di là del contesto strettamente teologico, trovo di grande rilevanza ontologica questo riferimento spinoziano al concetto di amore – che si lega, tra l’altro, a quanto già tematizzato nell’Etica a proposito dell’amore intellettuale di Dio e del rapporto paradossale tra intelletto e trasporto amoroso (ne avevo parlato qui).
Lasciando perdere i fronzoli teologali, Spinoza ci dice che l’amore (amore che è insieme intellettuale e corporeo, amore in tutte le sue forme) è la modalità essenziale attraverso cui noi partecipiamo dell’essere. In quanto noi siamo noi amiamo – sum ergo amo! E tale amore non può essere né esclusivo né padronale (Dio è l’essere, non è un padre-padrone, e tutte le cose sono i modi attraverso cui la sostanza-dio si manifesta ed esprime, dunque ama se stessa): l’amore è così necessariamente amore per l’alterità, che è però il medesimo – il prossimo è tutto l’essere, tutto ciò che è insieme essente e altro. E’ il legame originario di/con tutte le cose che si manifesta eternamente, ciò cui noi partecipiamo in quanto essenti. È – per usare un’immagine sopra le righe – la vibrante energia che attraversa e tiene insieme il cosmo.
L’odio, la separazione, l’irrelatezza sono nichilistiche forme del non-essere, che Spinoza respinge: noi, in quanto siamo fatti per esistere e per espandere gioiosamente il nostro essere (e per essere in ciò eterni, non immortali) siamo consustanzialmente fatti per amare e per essere amati.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona
scrive il divino amorosissimo Dante, in uno dei versi più sublimi (ed ontologici) che mai siano stati scritti.
E l’ospite inquietante nulla potrà contro questa potenza amoroso-ontologica: a lungo ed invano busserà alla porta, nella notte scura.
(per lo meno così, talvolta, amo pensare)
Tag: amore, dante, dio, essere, gioia, irrelatezza, nichilismo, spinoza, teologia
venerdì 13 luglio 2012 alle 7:43 pm
E nella pratica, come se la passava Spinoza? Noi “altri” umani, purtroppo, funzioniamo tanto con l’amore che con l’odio, disinvolti nel riversare l’uno nell’altro in misura eguale e contraria, e gustandone il sapore alterno con identico piacere. Almeno fino ad ora: eventualmente si può anche peggiorare.
martedì 17 luglio 2012 alle 9:45 am
Molto bello il quadro di Matisse che accompagna lo scritto e che non conoscevo…
e molto interessante anche il tema dell’Amore trattato, sul quale mi soffermerò.
un saluto, C.
martedì 17 luglio 2012 alle 12:22 pm
@carla: grazie, un saluto a te
@xavier: credo che anche il buon Baruch, per quanto sobrio e dimesso, funzionasse esattamente come tutti gli altri umani. Sul pendolare alternarsi delle passioni – da liete a tristi, da espansive a riduttive, e ritorno – non credo avesse dubbi, così come sul fatto che passiamo gran parte della nostra vita a pencolare con esse. Credeva però fosse possibile rendere ciò che è passivo attivo, incosciente cosciente, necessario libero. Illudendosi, forse, come gran parte dei filosofi…
martedì 17 luglio 2012 alle 6:51 pm
Grande Parinetto!!!
martedì 17 luglio 2012 alle 6:58 pm
@filosofiazzero: concordo, e meriterebbe molta più attenzione di tanti suoi colleghi – di cui per pudore non faccio il nome – che per anni non hanno scritto una riga e non hanno pensato o ricercato un tubo, limitandosi a sguazzare nelle baronali comodità dell’Accademia…
mercoledì 18 luglio 2012 alle 10:14 am
md:
…ad metalla!!!