Mi è sempre assai piaciuto il termine eziologia. Sembra una parola complicata, ma in realtà non lo è per nulla, anzi è il termine che indica la necessità di veder chiaro nelle cose, di andare alla loro radice, di verificare da dove esse saltino fuori. Viene dal greco aitìa – causa – e quel logia finale lo rende un po’ pomposo, perché suona come “scienza” o “studio” o “discorso” intorno alla causa. Se ne fa un uso forse prevalente in medicina: l’eziologia di una malattia è praticamente la singola malattia in tutte le sue concause, variabili e manifestazioni (in pratica quasi un sinonimo di patologia).
Mi è venuto in mente l’altro giorno mentre mangiavo. Ebbene sì, mi succede di filosofare anche mentre mangio. Del resto niente di strano: i greci filosofavano a cena, sbevazzando, camminando e persino – come ci insegna il mio mentore Diogene – pisciando e defecando. Cercavo nel mio piatto – peraltro molto colorato e gustoso – le antiche cause di quel che stavo sentendo, gustando, vedendo, percependo e pensando in quel momento. Eziologia: forse addirittura genealogia di quel che andavo, forchettata dopo forchettata, portando alla bocca.
Ed ecco che uno dei problemi più gravi del nostro tempo è saltato fuori in maniera chiara – letteralmente dal piatto (mai che salti fuori una peculiarità bella del nostro tempo, od anche solo la risoluzione definitiva di uno dei suoi annosi nodi – sempre e solo problemi!).
Comunque eccolo qua il problema eziologico che mi son trovato a consumare a cena: quel che manca è lo spessore delle cose! Il piatto mi ha rivelato che il nodo sta proprio lì (nel suo nome-funzione) – e cioè nel piattume, nell’appiattimento, nella piattezza, nell’appianamento, nell’uniformità, nel planare schiacciamento, nella noiosa liscezza, levigatezza, politezza della superficie… La nostra è insomma l’epoca dello spianamento causale: un enorme piatto – tabula rasa – di effetti simultanei senza alcuna apparente causazione, né consecuzione temporale, né catena logico-fattuale. Le luci si accendono e si spengono dinanzi a noi, tutte in contemporanea in un guazzabuglio di fenomeni incausati ed ineffettivi, senza saper bene donde essi vengano (né tantomeno dove potrebbero esser diretti).
La realissima metafora di questo piatto è ora l’iPad – la liscia superficie che non ha sotto nulla, ma da cui può emergere il mondo intero.
Certo, dal mio piatto di ceramica cavo forchettate ben poco metaforiche e con un’eziologia di tutto rispetto dietro ciascuna di esse, che se accompagnate da un buon vino, esalano ed esaltano profumi, sapori, colori che un iPad manco se li sogna. Salvo usarne la liscia e luccicante superficie, per far saltare la pasta con qualche foglia di basilico e un filo d’olio evo…
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Approfitto di questo post serioso e pseudoculinario, per lanciare una pagina del blog dedicata alla cucina vegana. Una pagina nella quale inserirò, con parsimonia e senza alcuna fretta, i miei piatti e le mie sperimentazioni in materia alimentare.
Pensavo anch’io qualcosa del genere, in questi giorni, sulle cause …
Ma penso anche che non sempre il sapere le cause (occulte) dà immediatamente la possibilità di risolvere i problemi attuali. O anche: che le cause sono talmente radicate in profondità, che non è neppure immaginabile poterle rimuovere, né che saperlo possa effettivamente aiutare.
Così che ci si trova a dover per lo più cercare di risolvere i sintomi, o rimediare ai danni, i problemi che emergono via via in superficie anche se hanno cause lontane, e sarebbe già tanto volerlo fare.
@rozmilla: vero, ma una volta che sei abituato ad essere causale (od eziologico) non puoi più farne a meno, e ti sembra di vivere meno (o male) se ne hai meno coscienza. È la maledizione del sapere.
A me fa arrabbiare soprattutto quando ci raccontano il falso, quando mistificano i fatti e danno delle interpretazioni utili soltanto ai “loro” scopi – che sono sempre i soliti e noti – con le quali manipolano l’opinione pubblica, così da ben disporli ad ingoiare bocconi avariati e amari. E magari non ho le capacità di provare che non è vero quello che dicono, però lo capisco e mi arrabbio doppio: perché lo capisco e perché non posso smontare la falsità (non io, in prima persona, ovviamente, ma quelli che ne sanno più di me e potrebbero farlo).
E soprattutto quando il piatto piange (vedi ad esempio la situazione del popolo greco, dopo le manovre di “moralizzazione” imposte dal Memoranda che hanno provocato la situazione che sappiamo: implosione del SSN, mezzo milione di bambini denutriti, aumento dei suicidi, e l’ascesa del partito neonazista, ecc., e questo è solo l’inizio. E la messa in svendita delle imprese pubbliche e primate dei paesi del mezzogiorno che stanno seguendo uno dopo l’altro la solita trafila della crisi fotocopia, con le braccia legate dall’euro e all’euro: tipico caso di doppio legame che in pratica è un nodo scorsoio.
Davanti a questo piatto, inoltre, penso anche alla composizione delle forze “politiche” oggi in italy.
E non mi viene appetito, anzi, mi disgusta. Che infatti è un miscuglio improbabile di cibi cucinati male o alla carlona (i programmi, che non ho ancora letto ma già me li vedo), lontanissimi dal soddisfare i reali bisogni dell’italia di oggi per avere qualche probabilità di uscire da questa crisi. Ma quando vado a guardare in dispensa, o in frigorifero (l’europa dei poteri del Nord) vedo che anche lì c’è poco da fare per mettere insieme il pranzo con la cena, e che la maggior parte dei cibi ben “conservati” in realtà è zeppa di vermi e sanguisughe.
Che dire, sono pessimista sulla situazione attuale, per cui l’alternativa (come sempre) sarà tra il digiuno o ingoiare il boccone amaro-avariato, turandosi il naso, e avendo la quasi certezza che provocherà la dissenteria.
Ora non vorrei averti disturbato il pranzo, o l’ultima cena … della democrazia. (sigh)