Leggendo qualche giorno fa di quel certo fatterello di cronaca avvenuto a fine agosto, quando un politico lecchese (che se non ho capito male faceva il postino prima di intraprendere una lucrosa carriera politica), parcheggiava la sua Jaguar in zona disabili, e poi tagliava per rappresaglia le gomme al disabile che aveva osato protestare, e poi in preda al panico chiamava il gommista per riparare il danno, e poi dichiarava “c’è di peggio, e comunque è da tre anni che parcheggio lì”, e poi cercava di accreditare la falsa tesi di avere accompagnato lui un disabile – che insomma inanellava un florilegio di cazzate che nemmeno nel teatro dell’assurdo…
…assommandolo a tutta una serie di altri fatterelli di cronaca pullulanti nella variegata e barocca provincia italiana – quella dove il sì di memoria dantesca suona…
…riconnettendo tutto ciò all’era dei fetidi cascami berlusconiani da basso impero che il paese sta vivendo…
[e potrei continuare per righe e righe coi preamboli]
…ebbene, sono arrivato alla conclusione che è una vera e propria divaricazione estetica quella che stanno attraversando il belpaese e i suoi fin troppo miti cittadini. Una divaricazione che non è né destra/sinistra (almeno fosse così!), né città/periferia, né di classe né di ambiente culturale, ma che è molto più frastagliata e composita e che finisce per attraversare anche i singoli. Insomma, non è chiaro dove la linea di demarcazione – la faglia – di tale divergenza estetica passi e attraversi la società. È piuttosto una linea diffusa e polverosa, o meglio porosa. Dunque una non-linea. Ma veniamo al perché parlo di estetica, e non piuttosto, come sarebbe ovvio, di etica o di morale o di senso civico o di politica. Tutto sta ad intendersi sul concetto di estetica, ben più ampio del mero significato di gusto o di percezione sensoriale.
In origine l’aisthesis (che è parola greca) ha una valenza ristretta: sensazione o facoltà sensibile, contrapposta in genere alla facoltà razionale: si comincia coi sensi, ma poi i dati sensoriali e percettivi, disordinati per loro natura, vengono organizzati dalla ragione in un continuum dotato di senso. (Sto semplificando, e di molto).
Su questa concezione originaria si viene poi costruendo il significato legato al gusto estetico – che oggi, dopo 2 o 3 secoli di storia dell’estetica (era stato il filosofo tedesco Baumgarten che ne aveva coniato nome e disciplina nel XVIII secolo), tende quasi ad allargarsi allo “stile di vita”, al modo di intendere e di figurarsi il mondo, alla Weltanschaaung.
Insomma: da un ristretto senso originario (a proposito del modo più basso e plebeo di conoscere) siamo giunti ad una vasta e persino tirannica estetizzazione del mondo e del nostro modo di vivere e di intenderlo. Ed è qui che sorge il problema: là dove il gusto estetico non trova sotto di sé (od accanto a sé) una visione insieme etico-politica ed oserei dire ontologica, rimane un guscio vuoto. Puro estetismo che si riduce spesso ad una forma ossessiva di narcisismo: quel che piace a me, che è poi in soldoni la “libertà di fare quel cazzo che ci pare” della casa-bordello delle libertà, su cui aveva ironizzato a suo tempo Corrado Guzzanti (è questa l’epoca – esteticissima – in cui sono i comici a spiegarci la società).
Un’estetica del genere è del tutto paradossalmente an-estetica – poiché narcotizza la ragione, il senso della correlazione, il principio stesso di realtà – e mette in primo piano solo uno strabordante, delirante e ultraapparente sé.
Ma a ben pensarci il becerume socioantropologico in circolazione ha buon gioco proprio entro questo fenomeno diffuso: l’anestetica estetizzazione del mondo tende ad essere un modo conforme ed omologo di vivere, che fa dei “valori” e delle idee di un tempo una marmellata insapore, inodore ed incolore (un po’ troppo somigliante ad un altro astrattissimo oggetto che, com’è noto, non olet).
I greci avevano forse avuto qualche ragione a coniare la celebre diade kalos kai agathos – che trova compimento in quella triade forse un po’ troppo idealtipica che mette al vertice, dopo la bellezza e il bene, il vero. Ciò che è bello è anche buono e vero, e ciò che è vero non può non essere bello e buono (al che il filogreco Leopardi inorridirebbe) – ed anche il bene luccica a sua volta di bellezza.
E torniamo all’aisthesis: la bellezza estetica, nella sua accezione originaria, richiama in qualche modo ciò che brilla, lo splendore, la luminosità e, insieme, ciò che ha proporzione e simmetria: l’imbecille-postino-politicante del teatro dell’assurdo di cui sopra, che ha (an)estetizzato la sua vita con tanto di Jaguar e (suppongo) griffes e dolce vita, ad onta del suo affannarsi per apparire e brillare tutt’attorno, è l’assoluta negazione di ogni forma e figura e possibile bellezza.
Non gliene frega niente – qualcuno obietterà – a lui, e ai tipi come lui che pare siano schiera, basterà loro stringere pecunia (che, appunto non olet) tra le dita, e fare un po’ quel cazzo che gli pare.
Beh, a questo punto toccherà a noi fare qualcosa, seguendo magari la raccomandazione di Eraclito, secondo cui “Bisogna spegnere la dismisura più di un incendio“.
Non vale, m.d.! Da settimane sono tormentato da una distrazione muscolare (perché i muscoli poi si siano “distratti”, non riesco proprio a capirllo) che mi impedisce movimenti e contrazioni di vario genere, e tu mi piazzi lì un post, anzi un post-ino, che oltre a scompisciarmi dal ridere, come direbbe Totò, mi procura fitte ingenerose in ogni parte a sud del bacino! Non conoscevo la storia in questione, ma come si fa a prenderla sul serio,dopo la tua guzzantica introduzione? Bisogna spegnere la dismisura più di un incendio, diceva Eraclito, e a quei tempi bastava forse una generosa partecipazione di un pugno di cittadini, proporzionati alle dimensioni di allora. Oggi, messi tutti assieme, non basterebbero i pompieri di New York, quelli di Sydney e di Pechino, e mettici pure anche quelli di Casalpusterlengo, e nemmeno le pompe del diluvio universale. Ovvietà: spegnere la merda non è mica così semplice!
Non é mica così semplice Chi dice che dovrebbe essere semplice
niente lo é Impedirgli di defecare ancora non mi sembra un obiettivo
ambizioso e potrebbe essere coronato dal successo con impegno e presa di posizione precisa é necessario sentire questo per esigere
occorre agathos virtù umane oggi ad uso esclusivo degli “sfigati “e
dunque qualità senza importanza al più da sfoderare a una cena per far colpo su l’accompagnatore (trice).Questo é l’occasione d’uso del coraggio come forare le gomme al disabile –
Il solo senso é sottrarsi con furbizia abbandonare gli amici delle ore liete a dismisura o a Misurata perchè no?-
Eg
La dis-misura è la cifra che rivela l’umano. Oggi, più che mai, spadroneggia. Il pensiero occidentale agonizza, un “tramonto degli Dei” annunciato da cassandre inascoltate si fa “carne” e produce immondi festini dionisiaci. Il sipario cala sulle nostre teste e, noi tutti, nessuno escluso, ci attardiamo in dispute filosofiche da cortile mediatico. A che vale gridare: “al lupo, al lupo!” ?
Per ben 2 volte, oggi, mi sono imbattuto in considerazioni riguardanti il rapporto tra etica ed estetica:
il mio amico e giornalista del Corriere della Sera Matteo Speroni ne scrive qui: http://lacittanuova.milano.corriere.it/2012/10/07/stampelle-calci-e-abuso-di-potere-se-questo-e-un-paese-civile/
e Michele Serra nella sua rubrica L’Amaca, credo di oggi: http://www.termometropolitico.it/blog/dal-blog-la-borsa-di-gucci-ce-lha-chiunque