È dal mese di aprile che, con frequenza quasi quotidiana, la mia giornata si apre con la lettura di qualche poesia di Wislawa Szymborska. Fortunatamente l’edizione Adelphi uscita qualche anno fa con il bel titolo La gioia di scrivere, e che recita nel sottotitolo “Tutte le poesie (1945-2009)”, sembra inesauribile. E poi, al limite, potrei sempre ricominciare daccapo, o aprire una pagina a caso.
Mi trovo in totale sintonia con questa poetessa polacca, perché… starei per dire: perché le sue poesie sono profondamente filosofiche (in gran parte è vero), ma non basterebbe a farne una delle più grandi voci della poesia del Novecento. In realtà c’è questo aspetto dimesso e quotidiano, questo parlare di minuterie, di cose che accadono ogni giorno, e anche quando si tratta di fatti e personaggi storici, di osservazioni scientifiche ed antropologiche, il tono si fa colloquiale, quasi abbassandosi in un a tu per tu. O meglio: tutto diventa egualmente cantabile, perché degno di esserlo – piccoli fatti di cronaca o di vita quotidiana, gli oggetti di una stanza, i luoghi, le città, le ore, gli incontri o gli appuntamenti mancati, gli animali, i quadri, persino una goccia di pioggia o una pietra.
E però sempre, in questa alternanza di alto e basso, di umile e solenne, si insinua il rovello del pensiero. Un pensare che tuttavia non viene mai drammatizzato o portato al parossismo: l’ironia, il paradosso, l’arguzia – la potenza plasmatrice (e curativa) della parola – se non sciolgono i nodi, ce li rendono un po’ meno ingarbugliati. O solo più sopportabili. Ne è cifra il verso della poesia che dà il titolo a questo post, e che pubblico qui sotto.
Aristotele sosteneva che la poesia stesse più in alto della conoscenza storica, proprio per la sua potenza universalizzante: “perciò la poesia è più filosofica e più seria della storia – scrive nella Poetica – perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari”. Naturalmente non si tratta di stabilire gerarchie, ma certo la poesia dice la verità, pur non enunciandola o argomentandola logicamente, e la canta a voce spiegata [na caly glos niech o tym spiewa, come suona in lingua polacca, una lingua che, pur non conoscendo, provo a far risuonare nella mia bocca, leggendone di tanto in tanto un verso a voce alta]. Con la filosofia condivide forse lo stupore e lo straniamento degli inizii – un fondamento comune e una parentela che in Wislawa Szymborska si manifesta con una profondità, una bellezza, e però anche una semplicità, che non hanno eguali.
È poesia, non filosofia. Ma come vorrei saper scrivere anche uno solo di quei versi!
***
Sotto una piccola stella
Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile, con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell’esistenza, se tiro via fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d’ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito
parole patetiche, e poi fatico per farle sembrare leggere.
fortunatamente esistono Szymborske ancora in vita.
E speriamo che ce ne siano anche di bambine, e che altre ne nasceranno.
Intanto quel libro lo metto in cima alla lista dei regali di natale (quelli da dare, non solo quelli da ricevere). E che anzi, per prima cosa andrebbe regalato ai politici di turno – che non so in che modo, leggere poesie potrebbe far quasi miracoli.
E poi ti ringrazio, che ogni tanto ci invii qualche frase-verso, in fb, mettendoci le iniziali W.S.
È un nome un po’ difficile da ricordare come si scrive. Ho notato, divertita, che qualcuno lo scambia per William Shakespeare, ma poi capisce che non è.
sì è vero rozmilla, non me ne ero reso conto nemmeno io – potrei provare a rimescolare le carte e scegliere qualche verso dei sonetti o anche di qualche tragedia meno nota, firmandolo w.s. e vedere cosa succede…
“La filosofia è una lotta contro il maleficio fatto alla nostra ragione a opera della nostra lingua” (L. Wittgenstein)
Questo stesso “griffato” aforisma, che lui scrive, lui stesso lo rigirerebbe e e rivolterebbe daccapo perdendone il senso (da una parte perché, forse, direbbe, sempre interno alla lingua malefica, , da un’altra perchè essendo, forse, pur sempre, una trappola lingusitica (o mentale?) questa stessa antinomia lingua-pensiero….
@filosofiazzero
Mi piace “griffato” aforisma…
e comunque sì, credo tu abbia ragione
…Severino permettendo!!!
Io conoscevo questa variante:
“la filosofia è una battaglia contro lo stregamento linguistico dell’intelletto”
(probabilmente letta su “Pensieri Diversi”)
Ciao,
Francesco
“Noi lottiamo contro il linguaggio.
Siamo in lotta contro il linguaggio”
vecchia storia: madre lingua e papà ragioniere 😉
….lei suona il pianoforte e lui la tromba!
Wittgenstein ha ben compreso che il linguaggio, pur essendo uno strumento di conoscenza, può essere al tempo stesso uno strumento per allontanarla. Una mente stregata, o una ragione cui sia stato fatto un maleficio, è una mente zoppa, mezza cieca, che procede infelicemente e vede male. Ma al tempo stesso, come fa la mente a procedere e a vedere senza l’uso del linguaggio, dato che quest’ultimo è il suo principale strumento? Qualche giorno fa ragionavo sulla tecnologia, sulla robotica, e sull’uomo. E pensavo.. arriverà il giorno in cui l’uomo bionico narrato nei romanzi e nei film di fantascienza diventerà realtà. Poi ho subito pensato: Ma no, l’uomo bionico c’è già! È l’uomo che parla. Il linguaggio non è forse uno strumento innestato nel vivo della materia? Nella natura biologica dell’uomo? Al punto in cui siamo non credo sia più possibile separare le due cose, con buona pace di Wittgenstein. Il linguaggio è talmente intrecciato alla nostra natura che l’esito della battaglia intrapresa dalla filosofia contro il linguaggio non può che essere la sconfitta. Tanto vale, pertanto, non iniziarla nemmeno.
Francesco
Anche l’intelletto è uno strumento, non solo il linguaggio.
Mentre la filosofia forse è più una tecnica, un’abilità appresa (ma in parte anche innata): ossia un metodo.
Forse per riuscire a far suonare insieme intelletto e linguaggio (o linguaggi), e in modo che l’esito non sia una cacofonia, ma qualcosa di intelligibile, appunto: comunicabile condivisibile.
Forse si potrebbe dire che anche il linguaggio in sé è una tecnica da affinare. Già, ma in che modo? E con quale “metodo”?
– Lingua: sistema grammaticale e lessicale per mezzo del quale gli appartenenti ad una comunità comunicano tra loro.
– Linguaggio: capacità della specie umana di comunicare per mezzo di un sistema di segni vocali.
L’ultima definizione però non mi sembra molto corretta. Gli esseri umani comunicano con linguaggi diversi. Sistema di segni vocali e sistema di segni scritti, e si sa; ma anche il corpo ha un suo linguaggio, e anche le immagini e i suoni che percepiamo coi sensi, vengono decodificati e interpretati dall’intelletto. Mentre viviamo – e pensiamo – siamo investiti da una marea di percezioni, interne ed esterne, delle quali solo una parte vengono portate a livello di coscienza, e alle quali diamo un “nome” – ovvero delle quali possiamo se vogliamo (se ne abbiamo interesse) dirne qualcosa.
Più che “lottare contro”, secondo me si tratta di riuscire ad armonizzare le parti. Fatica mai conclusa o portata a termine una volta per tutte. C’è sempre da imparare e aggiustare, ma anche “tagliare” ed escludere, e non necessariamente aggiungere.
Come si dice: cum grano salis …
@Francesco
Non si tratta però di dichiarare guerra al linguaggio, non avrebbe senso, ma di combattere una battaglia dentro il linguaggio, dentro e non contro perchè qualunque battaglia sta in ogni caso inevitabilmente all’interno del linguaggio.
D’altra parte, la natura di tale battaglia è tale che non ammette vittorie, cioè una risoluzione definitiva, è una battaglia incessante, anzi è l’unica battaglia forse che abbia senso fare e che si combatte al proprio interno, e che in definitiva consiste in un processo continuo di chiarificazione.
Per le stesse ragioni, non capisco neanche come ci si possa sottrarre a tale battaglia.
@Rozmilla
Le definizioni che citi sono evidentemente inadeguate perchè partono da un presupposto errato, e cioè che il linguaggio sia uno strumento di comunicazione. Seppure si può ritenere con una certa verosimiglianza che la funzione originale del linguaggio sia stata questa, non appena le parole iniziarono ad avere un significato non esclusivamente denotativo, man mano che sopravvenne il processo di astrazione, la cosa che più contò e che tuttora conta è che il linguaggio è lo strumento del nostro pensiero, cioè della principale, seppure non esclusiva, attività mentale.
Così, malgrado ciò possa apparire paradossale, potremmo perfino dire che il linguaggio ci serve a comunicare con noi stessi.
….sì, è vero, anche a me mi sembra così, noi pensiamo per mezzo del linguaggio, non è che pensiamo una cosa e poi la traduciamo nel linguaggio, ma su questo si sono digià arrapinati i filosofi !!!
@Vincenzo
Sulle definizioni errate, guarda che le ho soltanto prese dal dizionario windows, quindi neppure dal devoto-oli. Perciò non ci farei tanto affidamento, e dubito anche che qualcuno possa dare una definizione definitiva. Me no di certo.
Ma immagino, Vincenzo, che tu ne sappia, e abbia studiato molto più di me, a proposito del linguaggio.
Però, non ho mai detto che lo strumento linguistico serva solo a comunicare con l’esterno, e con gli altri esseri umani.
Infatti non trovo affatto paradossale se resta comunque uno strumento anche quando comunichiamo intra-nos, all’interno di noi stessi, nel corso della nostra attività mentale.
Però, uno dei dubbi che mi rimane, è che ci sia un solo linguaggio, anche nell’attività mentale. Il linguaggio di parola è soltanto quello che utilizziamo per cercare di tradurre a livello cosciente (e razionale) anche sensazioni e percezioni molto più profonde e sottili, e che magari sfuggono comunque alla nostra coscienza.
Quello che ci ingarbuglia di più, infatti, non è il “detto”, ma il “non detto”: ciò che resta al di sotto della soglia di coscienza. E che non è detto possa emergere tanto facilmente, né che sia sempre utile lasciar emergere, ma nemmeno tenere sempre nascosto.
Che infatti, i nostri tentativi di razionalizzare e tener tutto sotto controllo con la ragione e il linguaggio logico-razionale, a volte vengono messi in scacco da particolari inaspettati, da qualcosa che emerge all’improvviso, e che può anche essere provvidenziale, nel senso che butta all’aria le carte, scombinando i giochi.
Per questo me non parlerebbe tanto di battaglia, ma di restare aperti (se si riesce o riusciamo a svilupparla) alle più varie possibilità di una mente non solo logico-razionale, ma anche analogico-intuitiva.
@Vincenzo cucinotta
Dico che non conviene iniziare affatto la battaglia contro il linguaggio perché non di battaglia deve trattarsi ma di conoscenza. Conoscenza che andrebbe perseguita stabilendo con il linguaggio una sorta di amichevole rapporto, dando ampio spazio alla sua esplorazione, al fine di sondare e comprendere meglio ciò che usiamo quotidianamente per comunicare.
Quindi, perché dovremmo dare battaglia al linguaggio? Il linguaggio è forse un nostro nemico? A me sembra piuttosto il contrario, dato che da secoli è al nostro fianco dandoci l’opportunità di entrare in contatto con i nostri simili. Certo, non sempre utilizzare il linguaggio vuol dire comunicare. A volte il linguaggio è proprio ciò che rende difficile la comunicazione. Ma è proprio per questo che conviene conoscerlo meglio. Più lo si conosce, meglio lo si padroneggia, meno si rischia di incappare nelle sue insidie.
In ogni caso, amico o nemico che sia, si tratta di uno strumento che abbiamo a disposizione, e per l’ennesima volta non possiamo che constatare che la bontà o meno degli strumenti che utilizziamo alla fine dipende solo dall’uso che ne facciamo. Il linguaggio è un essere duttile (e anche molto docile se siamo bravi) e risponde tanto meglio ai nostri comandi quanto più lo conosciamo. C’è da aggiungere però anche un’altra cosa, e cioè che il linguaggio, inteso nel senso di linguaggio verbale (come intendeva Wittgenstein), è solo uno dei tanti di cui disponiamo, a cui possiamo aggiungere per altro tutti quei linguaggi non ancora inventati, di là da venire, che l’uomo è potenzialmente in grado di produrre. Tutto può essere trasformato in linguaggio. Qualsiasi cosa è atta a comunicare. Dipende solo da noi stabilire quale sarà lo strumento di cui ci serviremo per far sì che le nostre idee giungano agli altri. Insomma, tutto dipende dalle nostre intenzioni. Siamo esseri fatti per trasmettere e per ricevere, c’è poco da fare, anche se poi ci conosciamo ancora talmente poco che basta niente a far precipitare le comunicazioni..
@rozmilla
Appena posso risponderò anche a te..
…per esempio, dire: “non trovo le parole per dirlo”
che vuole dire? che ho già il pensiero bell’e fatto e non riesco
a es-primerlo o che non trovando le parole non è già bell’e fatto?
Credo, comunque che, anche questo rientri nelle trappole del linguaggio/mente o della mente/linguaggio eccetra….
ora interrogo Szymborska, vediamo che ha da dire in proposito…
Sì dai, prova!
– visto che c’hai una relazione ravvicinata, col suo libro: aprilo a caso e buttaci qui la prima frase sulla quale ti cade l’occhio …
(facendo attenzione a non fartelo cadere in giro, che poi va a finire sotto il divano o chissàddove, e vai a ritrovarlo, poi, con un occhio solo. Cheppoi non dirmi che non t’ho avvertito ;-))
@rozmilla
Innanzitutto mi scuso per il ritardo della risposta, poi sinceramente debbo confessarti una difficoltà. Non sempre riesco a delimitare bene e a porre in relazione tra loro i concetti di “intelletto”, “mente”, “ragione”, e ad assegnare in tutto questo un ruolo ben definito alla filosofia. Cercherò quindi in questo commento di indagare e di chiarire, soprattutto a me stesso, i rapporti che intercorrono tra i suddetti concetti, e tra questi e la filosofia, nella speranza di approdare ad una conclusione che possa essere definita almeno in qualche misura, sensata. Prima di passare a tale disamina, però, mi preme chiarire almeno una cosa, riguardante la filosofia e i suoi rapporti con la scienza (lo so che vado del tutto fuori tema, ma è un argomento che mi piace affrontare, se non altro perché almeno in questo campo ho le idee un po’ più chiare). In estrema sintesi, così poi passo al resto, sono convinto di questo: la scienza e la filosofia sono i due pilastri su cui poggia la conoscenza, e non c’è dubbio che questi due gemelli diversi non debbano ignorarsi, ma debbano anzi cercare di agire di concerto, e colloquiare. La filosofia, per parte sua, deve vigilare sul lavoro della scienza, mentre quest’ultima deve trarre ispirazione dall’attività riflessiva della filosofia (quella non strettamente collegata al descritto lavoro di vigilanza), aprendosi così a nuove ipotesi di lavoro.
Ma per tornare all’intento dichiarato più su, sono senz’altro d’accordo con te nel definire la filosofia una tecnica (in parte anche innata). Ma quali sono però i suoi rapporti con la ragione? Azzardo una ipotesi: “la filosofia è una espressione della ragione”. E la ragione? Riposta: “la ragione è uno strumento di sopravvivenza, lo strumento principale che abbiamo in dote perché si possa stare al mondo”. E la mente, invece? Riguardo alla mente potremmo rispondere così: “la mente è ciò da cui emana la ragione.”
Ricapitolando:
la mente è ciò da cui emana la ragione
la ragione è uno strumento di sopravvivenza
la filosofia è una espressione della ragione
Per ricordarcelo meglio, e magari per divertirci anche un po’, potremmo a questo punto ricorrere alla classificazione parentale e definire la relazione tra i nostri concetti in questo modo:
la filosofia è nipote della mente e contemporaneamente figlia della ragione.
Nevvero?
Resta un escluso, però. Dove piazziamo l’intelletto? È sensato trovargli una collocazione tra nonna, mamma e figlia, o dobbiamo allocarlo altrove? Io non saprei proprio. Forse tu hai qualche idea? O Mario? O qualcun altro?
Aspetto suggerimenti dagli uomini (o dalle donne) di buona volontà..
Ops.. Preso dal discorso mi sono accorto solo ora che da tutto il mio argomentare (o forse sproloquiare) è sparito completamente l’oggetto della discordia: il linguaggio. Ma è veramente sparito, il linguaggio, o ha solo fatto finta di uscire di scena? Il linguaggio in realtà non sparisce mai. Perché se tenti di farlo uscire dalla porta poi te lo ritrovi che è entrato dalla finestra. Ed anzi, anche se sembra che esca, in verità non si muove di un passo. È sempre lì che ci guarda sornione, con sufficienza, come volesse dirci: “non vi libererete tanto facilmente di me..”
E infatti, per parlare di tutto ciò di cui ho parlato, escludendo il linguaggio, non ho forse adoperato il linguaggio???
Un caro saluto
P.S.
Se nel mio commento c’è qualcosa che pensi meriti di essere salvato, salvalo. Tutto il resto puoi tranquillamente gettarlo in discarica. Non in una di quelle abusive però, mi raccomando..
…questo si chiama parlare chiaro (e secondo me anche giusto)
o forse detto da “filosofiazzero” è difficilmente accettabile?
Carissimo Francesco, innanzitutto ti ringrazio per il commento attento e accurato. Sono lieta del tuo tentativo di mettere ordine tra i concetti di mente, intelletto, ragione, linguaggio e filosofia. In generale non avrei nulla da obbiettare rispetto a quello che scrivi e alle definizioni che ne dai; anche se per Filosofia mi accontenterei della definizione classica di “amica della saggezza” – la qual cosa significa però, anche, che il filosofo non la possiede, ma la ricerca, appunto. (sembra che i presocratici possedessero la saggezza, noi no)
Poco fa stavo iniziando a scrivere alcune cose su scienza e filosofia. Ma forse è meglio rimandare a dopo o a un’altra occasione. Allora mi son detta, vediamo se riesco a scrivere un’altra versione delle stesse cose che hai scritto tu. Così, cercando di fare una sintesi, mi è venuto di scrivere questo:
La mente è una sorta di ricettore ed elaboratore di dati.
E la ragione è il modo in cui la mente rielabora i dati e produce … producendo appunto dei risultati (progressivi e provvisori, per lo più) sotto forma di pensieri, servendosi della logica e del linguaggio, che a loro volta sono facoltà dell’intelletto.
Ovviamente i dati non sono sempre e solo numeri matematici, ma ci sono le idee e i sensi, vale a dire le percezioni.
A proposito di intelletto, mi pare non dovremmo intendere qualcosa di molto diverso dalla mente, se non che l’intelletto è la parte diciamo più fisica, materica, mentre la mente è il complesso dei pensieri, delle forme. Ma mente ed intelletto sono un tutt’uno, ed è pressoché impossibile separare l’uno dall’altra (e nemmeno dal corpo per intero). Così come non ci sarebbe forma senza materia, nemmeno materia senza una qualche forma.
Per questo, trovo sempre molto bella la definizione aristotelica:
“l’intelletto è in potenza gli intelligibili, ma non è in atto nessuno di essi prima di pensarli; deve capitare ad esso come di una tavoletta di cera, dove non c’è attualmente niente di scritto”.
Anche se poi Locke dirà sì, va bene, ma “non c’è nulla nell’intelletto, che non sia prima stato nei sensi”. Mentre Leibniz ribatterà, “ad esclusione dell’intelletto stesso” – ritornando ad Aristotele.
L’intelletto è forma e materia, attività e passività insieme.
Quindi: l’intelletto sarebbe la “tavoletta di cera” e l’attività mentale è l’atto di scrivere sulla “tavoletta di cera”, che però prima di essere atto, esiste solo in potenza ma non ancora in atto.
Che poi la ragione sia uno strumento di sopravvivenza, non credo ci siano dubbi. Anche se forse al momento userei il passato prossimo: è stata uno strumento di sopravvivenza – ma ora? Potrà bastare la sola ragione? La ragione intesa come l’abbiamo intesa finora?
Il fatto scabroso, rispetto a un buon uso della ragione, è che è impossibile separarla dai sentimenti e dai sensi. E forse la “tavoletta di cera” è fin troppo sovra-scritta. Scritture e scritture che si sovrappongono l’una sull’altra nel corso della storia umana.
In ogni caso, l’idea sarebbe che se riusciamo a ragionare bene, sopravviveremo, sennò … diventerà difficile se non impossibile. O per lo meno difficoltoso.
Ps: anche ragionare comunque può essere difficoltoso, e dispendioso. E come dicevi a proposito del linguaggio, bisogna conoscerlo e, aggiungerei, fare esercizio. Ma talvolta anche riposarsi , o rilassarsi, o giocare e scherzare anche un po’ (ma senza esagerare, ogni cosa senza esagerare, se possibile)
Un caro saluto a te, e grazie ancora ..
@filosofiazzero
Perché, cos’ha filosofiazzero che non va? Per altro, lo sai che tutta la mia blaterata è iniziata con una riflessione sul tuo commento di martedì? Quella lieve differenza tra le due frasi, solo apparentemente uguali, mi ha fatto riflettere molto.
Comunque, grazie per l’apprezzamento. Mi togli una curiosità? Da dove salta fuori questo tuo nick?
…teologiazzero, filosofiazzero, etc.
la doppia z è rafforzativa, come intenzione!
Già, intenzione .. Ma non sono tutte uguali le .. “intenzioni”.
Quindi, esattamente quali sarebbero le tue .. “intenzioni”?
@rozmilla
“La mente è una sorta di ricettore ed elaboratore di dati.
E la ragione è il modo in cui la mente rielabora i dati e produce … producendo appunto dei risultati (progressivi e provvisori, per lo più) sotto forma di pensieri, servendosi della logica e del linguaggio, che a loro volta sono facoltà dell’intelletto.”
Splendida sintesi!
@filosofiazzero
Scusami ma non ho ancora ben compreso.
filosofia (o teologia) zero nel senso di “punto zero della filosofia”, oppure “azzerare la filosofia”, oppure.. Dimmi tu.
…punto zero, capolinea, finito, chiuso, più nulla da dire, da dimostrare, tutto detto, ripetuto, rimasticato: solo, rimane, cercare di mettersi d’accordo sul da farsi, insieme agli altri, dal momento che si vive insieme, chi più chi meno (o sennò, andare via, sopravvivere soli, e zitti)(ma sarà anche questo filosofia?) e cercare di vivere in modo dignitoso, da non dovere vergognarsi di fronte a nessuno, e prima di parlare pensarci bene, se non fossimo anche noi degli ometti al massimo (appunto) come D’Alema, Veltroni, Renzi, Formigoni, Severino, Cacciari, Ferraris, Eco, Scalfari, etc.
O sennò la Szymborska!!!
Adesso è già più chiaro..
Ti propongo un video che fa intravvedere quale potrebbe essere il clima tra gli esseri umani (e/o tra uomini e donne) se solo abbandonassero presunzione ed arroganza, e si decidessero una buona volta a cooperare..
…grande!!!
Avevo quasi pensato di lasciar correre.
Ma, dopo alcune considerazioni, mi vedo costretta a sollevare il problema e ad esporre alcune precisazioni, e domande, ai frequentatori di questo sito virtuale nonché a Md., come moderatore e gestore di questo Blog di discussione filosofica.
Ora, so che corro il rischio di rendermi antipatica, ma correrò questo rischio, e tanto vale.
La prenderò un po’ alla larga, raccontandovi delle mie esperienze di ragazza, una ragazza qualsiasi e come tante, che fin da sempre, come tutte le atre ragazze, non poteva uscire per strada senza intercettare espressioni ed allusioni verbali di genere sessuale, gesti volgari se non persino tentativi di palpeggiamenti.
E poiché la scorsa settimana, una frase – relativamente volgare, ma che in qualche modo porta con sé allusioni sessuali – è stata buttata là con leggerezza, questa frase mi ha fatto ripensare di aver sempre percepito il turpiloquio o le espressioni più o meno marcate di genere sessuale, enunciate in pubblico o meno, non so come dire, come un abuso di potere, e come una forma di disprezzo delle più subdole, verso le quali di solito le ragazze non hanno molte difese.
Le ragazze, o per lo meno parlo per me … di solito ci rimango lì come una stupida. Basita. E d’altra parte credo che lo scopo di quel genere di frasi sia proprio questo: costringere la ragazza al silenzio, umiliandola.
Reagire, rispondere per le rime, far finta di niente e tirare dritto? Qualsiasi soluzione una ragazza decida di prendere, sono tutte sbagliate, perché lo sbaglio è all’inizio, in chi ha pronunciato la frase ambigua o dubbia, o scellerata – dipende dai casi e da chi la legge o la sente, e anche in questo caso il relativismo sembra essere assoluto.
Qualcuno forse penserà, in cuor suo, che oltre che antipatica sto cavillando, che in fondo non si può nemmeno vietare il diritto alla libertà di espressione. Ed il guaio è che in generale lo penso anch’io, per cui rimango ancor più interdetta.
Se non che, mi sono anche ricordata che in questo Blog c’è una pagina nominata “Netiquette” in cui vengono dichiarate delle regole minime alle quali ogni ospite dovrebbe attenersi, sempre che le voglia rispettare; e tra le quali vi si trova scritto che: “commenti provocatori, vandalici, violenti, razzisti, pubblicitari non sono graditi.
Ora, non so se la frase che chi deve intendere conosce bene, possa essere compresa fra le espressioni non gradite, o se invece siano consentite e accolte a cuor leggero. E fino a che limite.
Ma se qualcuno riesce a darmi anche solo una piccola risposta, gli sarei grata.
@rozmilla: qual è la frase?
filosofiazzero Dice:
mercoledì 17 ottobre 2012 alle 9:34 am
….lei suona il pianoforte e lui la tromba!
sì, non è una battuta felice, e non so nemmeno dire se “ci stava nel contesto” (come si suol dire in certi casi, dovendo prendere le distanze da espressioni del linguaggio comune utilizzate magari in maniera irriflessa);
chiediamone magari conto all’autore…
del resto, in questo spazio, tutto deve essere dibattuto pubblicamente
(tra l’altro quando l’avevo letta,forse in maniera distratta, l’avevo intesa nel senso letterale; forse, chissà, avresti dovuto sollevare subito la questione…)
Con questo mi vuoi dire di non essertene nemmeno accorto, Md.?
Strano, perché ad esempio Francesco se n’è accorto benissimo, e così mi pare anche Vincenzo. Infatti abbiamo volutamente proseguito discutendo sul linguaggio, intelletto e ragione, per vedere se ne si poteva cavar fuori qualcosa di più sensato.
O forse è dovuto al fatto di aver preso sotto l’ala un “autore” che in massima parte si diverte a provocare, o a fare il giullare del re, come si suol dire? Nella speranza che magari la vicinanza con persone che cercano di sviluppare un linguaggio non solo irriflesso, potesse giovargli in qualche modo?
Devo dammettere che anch’io l’avevo pensato, e sperato. Però mi accorgo che l’“autore” nel frattempo non ha fatto molti progressi. E che anzi si prende la libertà di scrivere un sacco e una sporta di scempiaggini, poverino … e che insomma, se qualche volta almeno si sforzasse di esprimere qualcosa di sensato e ragionevole, si potrebbe anche lasciar correre, sperando sempre in un possibile miglioramento.
Quindi, come la mettiamo? Aspettiamo una risposta dall’“autore” … (?)
rozmilla Dice:
martedì 16 ottobre 2012 alle 9:13 pm
vecchia storia: madre lingua e papà ragioniere
filosofiazzero Dice:
mercoledì 17 ottobre 2012 alle 9:34 am
….lei suona il pianoforte e lui la tromba!
…come vedi volevo scrivere solo una frase analoga.
Ho sbagliato. Mi dispiace. Riconosco anche che è vero che sono solo un poverino che scrive un sacco di scempiaggini. Provo vergogna. Mi ritiro nel mio cantuccio. buon proseguimento a tutti!
Eh no, caro Alvise. Troppo comodo dire adesso me ne vado, mi ritiro nel mio cantuccio.
O sarebbe troppo difficile cercare di essere un po’ meno “poverino” e tenere la schiena dritta? E cercare di spremere qualcosa di più sensato? evitando infantilismi e provocazioni inutili?
Questo dovrebbe fare un uomo che si rispetti, e che rispetti il suo prossimo.
Perché guarda, che anche dalla lista degli uomini più o meno illustri e famosi, che hai citato in un commento più sopra, avresti qualcosa da imparare, invece di continuare a disprezzarli tutti, indifferentemente, dicendo che sono uomini da niente.
E tanto per citarne uno verso il quali spesso ti scagli, perché non approfondire invece uno dei suoi stesti, per imparare qualcosa? Qui a sinistra, ad esempio, Md. ha esposto un libro di Severino: Educare al pensiero. Ecco, quello potrebbe fare al caso tuo.
Sulla frase “analoga”, ci sarebbe da approfondire in che cosa consista l’analogia, ma lasciamo perdere. Ma ovviamente anche la mia era una “battuta”, che però esprimeva in una riga il dualismo che emerge tra il linguaggio denso di sfumature, e la logica strettamente razionale.
Beh, sembra che con la tua frase tu l’abbia dimostrato. Questo non toglie che comunque non è stata gradita, per i motivi che ho esposto più sopra.
Come avrai capito benissimo non sono io certo un uomo che si rispetti, e tantomeno ho la schiena dritta eccetra.
Mi dispiace di avere scritto quella frase infelice (se ti ricordi anche un’altra volta c’era stato da dire su una mia espressione stupidamente volgare)
Frase naloga voleva dire costruita nello stesso modo.
Non so che altro dire.
@rozmilla: se devo essere sincero no, non me ne sono accorto, ho ripreso a seguire la vostra discussione con un po’ più di attenzione solo quando Francesco ha dato le sue definizioni di ragione, filosofia, ecc.
Tra l’altro (ma non c’entra) sto preparando una stroncatura del testo-intervista di Severino… che è solo una risciacquatura dei piatti del suo pensiero.
Ma continuate pure…
Sì, probabilmente non c’entra, anche perché non ho letto quel libro, e non sempre i titoli garantiscono i contenuti. Che se quello “stesto” di Severino è il proseguo, direttamente in linea coi suoi precedenti, effettivamente non c’è molto da sperare nemmeno in questo “educare al pensiero”.
Ma forse, più che educare al pensiero, che è una cosa complessa e che non accade certo leggendo un libro o l’altro (qualche volta sì, però, e accade quasi un “miracolo”; e ad esempio per quel che mi riguarda potrei includerne anche qualcuno di Severino, per lo meno come “metodo” e linguaggio se non per contenuti, anche se ormai è storia passata) …
… forse basterebbe cercare di essere un po’ più attenti e gentili. Meno istintivi e più riflessivi, che sennò, che ci stiamo qui a fare? A pigiare sui tasti? E stare a vedere che effetto fa?
Senza contare che ad una certa età bisogna prendersi in carico la propria educazione, e la propria responsabilità. C’è una parola greca che ora non ricordo … paideia?
O forse potrebbe consigliare Md. qualcosa; ma anche, perché non approfittare del bellissimo libro della W.S.?
La poesia sì, che può far miracoli.
Poi: quella frase … sono sette parole e un punto esclamativo. Ma devo dire ad Alvise, che se l’avesse pronunciata davanti a me, di persona, minimo l’avrei fulminato con gli occhi, trattenendomi però dal dargli un cazzotto sul muso, anche perché, avendo praticato lo yoga e non la box, non ne sarei capace.
Naturalmente devo ammettere di avere il nervo (giustamente) un po’ scoperto su queste questioni, anche se sarei anch’io in grado di leggerla in senso letterale, ma …
Se non che, chissà come mai, noi ragazze abbiamo un udito un po’ più fine rispetto a questo genere di frasi, e ci vanno di traverso.
Spero comunque che rispetto al dis-piacere adesso siamo pari. Ora però vediamo di incamminarci lesti verso un’altra direzione.
Ah, poi ricordo quella volta che avevi scritto una frase che aveva irritato qualcuno. Credo fosse “ucci ucci sento odor di pensierucci” – o ce ne sono state altre? Di quella, ricordo che Md. l’aveva messa nel fior fiore, ma che Luca si era risentito. Sarà stato del tutto giusto? Ora mi sorgono dei dubbi. Forse anche in quel caso ha vinto l’utile della maggioranza?
Ma è anche vero che se non potessimo esprimerci “liberamente” (tra virgolette) e non potessimo far dell’ironia o scherzare talvolta un pochino, ci verrebbe la barba di matusalemme. D’altra parte in certi casi si sente la necessità di essere più severi. Nel mio caso l’ho sentita, e l’ho fatto. Ha fatto molto male?
ecco, appunto, imparare da Wislawa Szymborska… del resto io ero partito da lì, ma voi (ed io con voi) vi ostinate ad andare fuori tema, e ad arrovellarvi su “grandi domande” che hanno solo “piccole risposte”, e non ci posso far nulla…
(e scusate se vi ho seguito poco in questi giorni, ma ero affaccendato in altre gravi faccende là fuori, come del resto sarà forse successo a voi; anche se poi sempre qui torno, perché sempre qui è il rovello e il punto d’origine d’ogni mio pensiero e possibile, anche se insperata, risposta…)
Pardon Md., c’è un mio amico che dice che sono logorroica, e so che è vero. Qualche volta riesco anche a sintetizzare, ma qualche volta sento il bisogno di spiegami di più, e più a fondo. Spero di non averti irritato. E so bene che là fuori ci sono cose più gravi e importanti. E va bene se non hai potuto seguirci: non siamo mica dei poppanti, neh.
Ma purtroppo m’è rimasto qualcosa da dire, anche se forse andrò ancora fuori tema.
Mi rivolgo ad Alvise, ancora, e spero che mi legga.
@filosofiazzero:
Una volta mi avevi scritto: “dimmi cosa devo fare e io lo faccio”.
Bene. Allora: per quanto riguarda la schiena dritta, beh, è semplice, all’inizio bisogna appoggiarsi a qualcuno che già ce l’abbia.
Più sopra avevo scritto filosofia è “amica della saggezza”. Dire “amica” però non basta. La filosofia è una storia d’amore, la più bella storia d’amore. Non puoi pensare di disprezzarla e illuderti che ti dia qualcosa, né che ricambi.
In generale, e in tutti i modi, bisogna trovare qualcosa da amare alla follia, nel senso che la si deve amare in modo non semplicemente umano, ma come fosse sacro, anche se all’inizio non sai ancora cosa vuol dire.
E anche quando ascolti, leggi, guardi, senti, devi ricercare il bello, il buono, il vero; devi andare in cerca di loro … perché c’è, anche se poco, senza soffermarsi troppo su tutto il resto. Bisogna non perder di vista l’oggetto della ricerca, trascurando la fatica che occorre per raggiungerlo.
Eraclito diceva che “per trovare l’oro devi scavare molta terra”. Ma l’oro c’è, altrimenti nessuno si darebbe la pena di cercarlo.
All’inizio sei un aspirante, come colui che aspira ad essere un uomo nuovo.
E soprattutto devi “ascoltare il Logos, non me”. Il Logos attraverso la voce, la parola, il pensiero di qualcun altro. Nell’antichità il logos veniva trasmesso a viva voce. Oggi purtroppo non sempre è possibile, ma ci sono anche altri mezzi. Ci sono grandissimi autori e filosofi, ad esempio. E così tanti che non ti saprei dire da dove cominciare o con chi, e non c’è nessuno che lo possa fare la scelta al posto tuo. Ma se non cominci in quel modo, non vai da nessuna parte, continui a girare a vuoto.
Perciò, anche se si tratta “soltanto” di una lettura di un libro, deve succedere come quando qualcuno decide di seguire un “maestro”. Gli si deve accostare come un discepolo che sa di aver da imparare, con devozione, affetto, amore e rispetto fuor di misura. Solo perdendosi ci si può trovare.
Insisto su quel modo: non si può illudersi di apprendere un metodo e un linguaggio da qualcuno (che chiameremo “maestro”) se non gli si è devoti. Nel maestro si ama e si comprende l’uomo universale, attraverso il Logos. L’insegnamento non passa senza un sentimento di gratitudine che lega.
Devo-zione. Questa parola significa che ci dobbiamo qualcosa l’un l’altro. È un obbligo reciproco, che però non è “costrizione”, ma un sentimento di gratitudine e amore che lega l’un l’altra le generazioni. Di padre in figlio, di madre in figlia, e via via.
Faccio notare il commento di Md., quando dice “sto preparando una stroncatura del testo-intervista di Severino… che è solo una risciacquatura dei piatti del suo pensiero”.
Secondo te questo cosa vuol dire? Significa che noi potremmo anche non condividere le conclusioni cui giunge Severino, ma che è proprio perché abbiamo imparato da lui, che possiamo permetterci persino di provare altre strade, che però in certo qual modo è stato lo stesso Severino ad averci indicato, o indirizzato. Per cui, a maggior ragione lo stimiamo e apprezziamo, e non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello di credere che il suo pensiero non sia degno di tutto il nostro rispetto e ammirazione.
Questo è un atteggiamento da comprendere bene e da fare proprio se si vuole progredire con la schiena dritta.
Comunque … buon lavoro. E fammi sapere.
Fuori tema o no trovo legittimo il giusto risentimento di Rozmilla: la battuta infelice me la ricordo dai tempi delle medie, faceva parte dell’ampio repertorio delle spiritosaggini con le quali sentirsi più adulti e introdotti alla sapienza (sic) del sesso. Poveri bimbetti/bambocci italiani, già stupidi prima ancora di diventarlo da grandi. A ben pensarci la pazienza, la sopportazione e la tristezza che ne derivava a tutte le Rozmille di allora (di quelle d’oggidì non saprei dire quasi nulla) dev’essere stata davvero tanta. In seguito ho fatto di molto peggio, per cui non mi va di puntare il dito del giudice contro alcuno, però trovo giusto che ogni volta che se ne presenti la necessità, salti fuori una Rozmilla a puntualizzare, a non transigere, a esigere rispetto. Sempre.
sì xavier, condivido, e mi scuso con rozmilla per non aver condiviso a sufficienza il suo disagio (che, immagino, vada ben oltre l’infelice contingente battuta, e derivi da un’aria più generale e ristagnante e che da questo paese non se ne vuole proprio andare, e che anzi con il berlusconismo ha avuto nuove reviviscenze) – ciò che mi porta a dire che le faccende “là fuori” non sono poi così diverse dalle faccende “qua dentro”…
rozmilla, mad, xavier e quant’altri:
…dal mio turpo cantuccio;
1)un conto è l’infelice (mia) contingente battuta derivata, spero, (se facesse differeenza)più dal mio passato di frequentatore di ambienti beceri e volgari e anche peggio, (della quale battuta ho già riconosciuto la manfanaggine e chiesto scusa) che dallo stagnante e anzi “riviviscente berlusconismo”, del quale, allora, io sarei stato un antesignano.
2)”che noi(dice Rozmilla, e non capisco noi chi) potremmo anche non condividere le conclusioni cui giunge Severino, ma che è proprio perché abbiamo imparato da lui, che possiamo permetterci persino di provare altre strade, che però in certo qual modo è stato lo stesso Severino ad averci indicato, o indirizzato. Per cui, a maggior ragione lo stimiamo e apprezziamo, e non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello di credere che il suo pensiero non sia degno di tutto il nostro rispetto e ammirazione.”
Ecco, questo proprio a me non mi torna., non avendo io per Severino, come anche per Heidegger, Cacciari, Vattimo, etc. e la lista di questi filosofi (stipendiati dallo Stato) che io considero filosofi-contro analogamente (sempre quesa parola stupida, vero?) al titolo del film e al libro di Lussu “Uomini contro”, non avendo io per loro e per il loro “insegnamento” nessuna considerazione
Da una parte la moltitudine degli uomini che faticano e che cercano di pensare in maniera semplice e fruibile e onesta e schietta e sobria dall’altra i pensatori dell’assoluto, di quello che starebbe sotto o sopra o insieme (senza che noi lo sapessimo, perché se lo sapessimo…) a quello che è la nostra vita il nostro agire il nostro penare.
3) da un’altra parte ancora i politici che non fanno politica, ma anche loro discorsi cifrati (e stipendiati)travestiti da discorsi politici,
senza mai che nessuno abbia la onestà di essere semplice e chiaro (ma anche questi, che fo io, sono solo chiacchiere e luoghi comuni)
4) c’è qui sopra la bellissima poesia della Szimborwska:
“Verità, non prestarmi troppa attenzione”
5) ancora stima per Mario Domina che ogni giorno dà la possibilità a tutti di annusare filosofia.
@ filosofiazzero
Sinceramente, caro amico di blog, penso che tu la stia facendo molto lunga, e, a dirla tutta, anche alquanto confusa. Per quanto mi riguarda avevo considerato solo un aspetto fra tutti quelli messi in discussione, fuori o dentro il tema del post di m.d., e su quello credo di aver speso le poche parole che mi interessava spendere. La questione non é di forma, volgare becera o altro che sia, ma di sostanza, quella cioé che sottende il senso di certe battute, assai meno “innocue” o soltanto spiritose di quanto non si creda, Ciò detto, ognuno parli come crede, e ogni altro gli risponda per come sente di rispondergli. Severino & C.,o tutti i buoni e i cattivi tirati in ballo, non c’entrano nulla.
…sottende che?
Sottende quello che Rozmilla ha ben spiegato, con chiarezza e semplicità e che non credo abbia bisogno di ulteriori spiegazioni.
….e cioè che io dovrei stare appoggiato con la schiena a una schiena ben dritta, con quella umiltà che io non ho e che, invece, voi avete, avendoci inoltre (voi)un fuoco sacro che vi arde dentro di passione filosofica che io (ovviamente) non ci avrei?
Cari amici, manco da due giorni, e non mi aspettavo certamente di vedere una lista di commenti così lunga. Ho ripreso quindi la lettura a partire dal giorno in cui ho smesso di venire a sbirciare da queste parti, cioè da venerdì, ed ho letto con estremo interesse tutti i vostri commenti. Mi fa molto piacere che rozmilla ci abbia portato a riflettere su quella frase, perché anch’io, quando l’ho letta, sono rimasto un bel po’ imbarazzato (il suo doppio senso era piuttosto evidente..). Quella frase non c’entrava nulla con tutto il resto, ed ho percepito il fatto che a lungo nessuno ne ha parlato come il classico velo pietoso che è giusto stendere su ciò a cui conviene non concedere molto spazio. Rozmilla ha voluto però, giustamente, sollevarlo quel velo, concedendo in tal modo non solo l’adeguato spazio al suo vissuto, ma donando anche a noi tutti la possibilità di riflettere in modo più approfondito su una frase solo apparentemente leggera. Tra l’altro, a mio avviso, quella frase non solo sottende un certo modo di pensare, ma rende manifesta anche una paura ancestrale. La paura della donna. Che una certa classe di uomini ha sempre cercato di esorcizzare, specialmente in passato, ricorrendo allo svilimento.
Certe espressioni del pensiero, apparentemente innocue, sono in realtà molto rivelatrici. E conviene quindi, come ha fatto rozmilla, osservarle un po’ più da vicino per vedere meglio di che si tratta.
@filosofiazzero:
Ma non sarà che il tuo risentimento non derivi tanto dai vari Severino, Cacciari, Heidegger, Vattimo, etc.. quanto da quello che essi rappresentano per te? Prova a chiedertelo, magari riesci ad individuare una via di uscita..
@md:
Hai ritenuto forse ingombrante o poco consono al tuo blog il video da me postato, ed è per questo che hai deciso di disattivare l’incorporamento del medesimo nel mio ultimo commento? Se è così sappi che comunque la mia intenzione era solo quella di indicare il link corrispondente.
Ho fatto un “copia e incolla” da word e tutto è andato bene. Poi, quando ho premuto “invia il commento”, istantaneamente il link si è trasformato nel video, ed a quel punto non ho potuto fare più niente per richiamarlo indietro..
Ciao a tutti,
Francesco
md:
rileggendo quello che scrivi sopra….
…e sarei, io, dunque,anche berlusconista, te insinui?
…cioè a dire fascista?
Ma che avete perso la testa?!?
Non ho fuochi dI alcun genere da tenere accesi, né passioni filosofiche da coltivare a schiena dritta o meno. Mi riferivo all’intervento di Rozmilla che inizia con “Avevo quasi pensato di lasciar correre”, quello di sabato 20 alle 4 e 03 p.m. Credo che una sua rilettura possa aiutarci a pensare e di conseguenza (si spera) ad agire in meglio.
@filosofiazzero: no di certo, nessuna insinuazione, un conto è la tua battuta (infelice, ecc., è già stato detto e ridetto, e anche da te ammesso), altro è il berlusconismo, e altro ancora lo stralegittimo non essere allineati con nessuno dei filosofi che citi – che, tra l’altro, non ho mai messo in cima alle mie preferenze, tranne forse Severino, fatto comunque salvo il sacrosanto diritto di criticare, contestare, ecc.
@Francesco: non ho ritenuto né ingombrante né poco consono alcunché, tant’è che non ho fatto assolutamente nulla (né incorporato né scorporato) circa il link al video del tuo commento – se responsabilità c’è stata è degli automatismi di wp
Francesco:
…per me non rappresentano nulla, sono professori, e basta.
O magari vorrei essere anche io professore, nel mio inconscio
di persona meschina (che è quello che volete dire che io sia)
Ma si chiama o no questo blog “La botte di Diogene”?
O non lo sapete chi era Diogene?
O voi avete letto “Critica della ragion cinica” e conoscete tutto, anche le contraddizioni interne e storiche del cinismo eccetra?
Ma come, voi potete parlarmi contro a vostro piacimento e io invece se vo un po’ fuori delle righe (quali?) vengo subito offeso e
vilipeso?
Ma che ho mai offeso nessuno qui dentro io? Ho mai detto male di qualcuno che non fossero filosofi paludati? Che ho rotto il patto di alleanza che si stabilisce fra chi discute insieme? Che mi sono sdegnato delle vostre risposte a me? Chitarre a due mani?Paura della donna? Paura perché?
Te lo sai? Te lo intusci dalle frasi? Psicopatologia della vita quotidiana? Del motto di spirito? Che ne sai te di me?
Chi sono, che fo, come vivo, con chi ho a che fare?
Ora uno non è libero nemmeno di tenere per scarsi dei filosofi in auge che può venire offeso?
“Che uomo è Diogene?” chiesero a Platone. “Socrate impazzito!” rispose.
Si diceva che Diogene fosse matto. “Matto non sono” replicò “ma non ho la testa come voi”.
Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, pisciò loro addosso, come un cane.
Una cosa è che sia del tutto legittimo non allinearsi con questo e con quello, altra cosa è far tutt’erba un fascio e dire che son tutti uomini da niente, professori e stipendiati.
Mi dico, ognuno di quelli che cita, avrà fatto o detto qualcosa di buono, qualche volta, o dobbiamo pisciare addosso a tutti?
Inoltre non capisco da quale alto scranno di sapienza ci si permetta di giudicare e sentenziare, non solo sui professori, ma d’altra parte anche su filosofiazzero, a questo punto.
E che quindi si metta il cuore in pace – cercando di non trattare i “professori stipendiati”, anche e non sono presenti, come non vorrebbe essere trattato lui.
Per questo, come altre volte è capitato, richiamare a un po’ di umiltà, non mi sembrerebbe una cattiva idea.
@md:
Beh.. sono contento. Il punto è che se si prova ad aprire il video compare la scritta: “incorporamento disattivato su richiesta dell’utente. Guarda su you tube”, e dato che la parola utente fa pensare più ad una persona che ad un automatismo, ho pensato che la richiesta poteva essere partita da te. Il che mi sarebbe dispiaciuto, ovviamente. Vedi, ho fatto bene a non lasciar correre. Soprattutto perché il malinteso è sempre dietro l’angolo, e pare non aspetti altro che entrare in azione.
Ciao e buona serata..
boh, non so di quale utente si parli, comunque ora ho aggiunto sotto un link che, se cliccato, rinvia correttamente al video
ciao!
@filosofiazzero
Lungi da me l’idea di offendere chicchessia. Tantomeno filosofiazzero, che non conosco. Le mie riflessioni erano sulla frase, e non volevano essere una accusa rivolta a te. Il punto è che noi a volte siamo dei semplici riproduttori di espressioni che abbiamo ascoltato chissà dove e chissà da chi, che riproduciamo perché ci sono sembrate fighe (spero di non suscitare un altro vespaio con questo termine, anche se a rigore, pure su questo si potrebbe elucubrare..) nel momento in cui le abbiamo sentite. E quindi abbiamo pensato inconsciamente che se anche noi le avessimo pronunciate saremmo stati a nostra volta fighi. Penso proprio che si possa dire che almeno una volta nella vita sia capitato a tutti. Il punto è che non si possono riprodurre in modo irriflesso, come dice roz. Cioè senza aver prima capito che cosa ci accingiamo a veicolare, e se è giusto farlo. Le cose non si possono buttare lì con troppa leggerezza, perché poi possono dar origine a conseguenze spiacevoli. Ma questo non lo dico solo a te, ovviamente. Lo dico pure a me e a tutti coloro che nella vita cercano di migliorare, e di imparare. Perché a volte, pur con tutto il tatto e la sensibilità di questo mondo, può capitare che le nostre parole possano offendere qualcuno. E allora, piuttosto che arrabbiarsi, è bene vedere cosa non ha funzionato. Cosa sarebbe stato meglio non dire, o dire. Insomma cosa ha determinato il fallimento di quella particolare comunicazione. Siamo tutti qui per imparare, ma se anche non fossimo qui per questo, tuttavia siamo costretti ad farlo, pena la reiterazione del dolore, che vorremmo volentieri evitare, ma che a volte pare l’unico sistema capace di farci crescere.
Ciao
…il gatto vi ha mangiato la lingua?
Dove si trovano le parole? Si trovano nella testa? nel cuore? o dove? Prima di uscire fuori dalla bocca e andarsene in giro fino a entrare nelle orecchie dei bambini?
Sono stato molto contento di aver trovato questo sito. Voglio dire grazie per il vostro tempo per questa lettura meravigliosa! Io sicuramente mi sto godendo ogni post e ho già salvato il sito tra i segnalibri per non perdermi nulla!
Grazie a te Vincenzo e benvenuto!