Amour

Credo si tratti di uno dei film più devastanti che abbia mai visto. E ho scelto il termine “devastante” non tanto perché è piuttosto in voga – usato com’è spesso a sproposito, sull’onda della spettacolarizzazione televisiva – ma in un’accezione che, pur figurata o traslata in ambito letterario, possiede una sua precisione descrittiva: sconvolta l’anima di chi assiste alla storia, svuotati gli occhi per la visione di quei volti e di quei corpi, che sono a loro volta deturpati da quel che sta loro inevitabilmente accadendo. Forse la mia devastazione è stata accresciuta dal fatto che: 1) sto assistendo all’inesorabile declino dei miei genitori; 2) sto invecchiando io stesso; 3) da anni, anche su questo blog, vado con voi meditando dolorosamente su vita e morte, etica e bioetica, e sul senso profondo di tutto questo. E siccome sempre più mi si affaccia alla mente che tutto questo è parecchio insensato – vorremmo tanto che non lo fosse, come dice in un verso Wislawa Szymborska, che preferirebbe “la possibilità / che l’essere abbia una sua ragione”, ma siamo pur sempre noi a volerlo – la devastazione raggiunge livelli al limite della sopportazione.
E non c’è pietas, non c’è compassione, non c’è scampo né salvezza – nulla c’è che possa anche solo addolcire o smussare o far dimenticare l’effetto di quella inarrestabile opera distruttiva che Georges e Anne – i due anziani protagonisti della storia, interpretata a livelli ineguagliabili da Riva e Trintignant – subiscono impotenti.
Eppure, incredibilmente, il titolo del film è proprio Amour. Perché è sulla torsione estrema – e sulla verità – del significato di quella parola che si gioca tutta la partita: amore non è innamoramento, attrazione, bellezza, gioia di produrre – e se lo è, lo è per una fase minuscola della vita, infinitesima (spesso anche in termini temporali) rispetto a tutto il resto. Amore è cura, e lo è soprattutto nella fase del declino, proprio quando ciò che viene curato diventa paradossalmente incurabile. Amore è guardare lo sguardo smarrito dell’altro, la sua afasia, il suo corpo che non riesce più a controllare, il suo pudore e la sua vergogna, il terrore di non essere più quella persona e quell’identità che credeva di essere stato per tutta la vita, il suo tornare inerme, e non solo vulnerabile; amore è fissare l’altro che non è più, che sta per scendere nel gorgo muto, ed afferrarlo comunque, tendergli le mani ed ogni muscolo ed ogni ansimo ed ogni pensiero ed ogni palpito.
Amore – infine – può essere persino spezzare il respiro di quel corpo che chiede solo di essere risparmiato dall’ultimo atto della devastazione.
Il film è disperante – così come era disperante La strada di McCarthy cui, non so perché, mi è venuto ad un certo punto di avvicinarlo (del resto si tratta di due apocalissi, anche se di proporzioni diverse): anche in quel caso l’amore era il gesto estremo e disperato (poiché letteralmente senza speranza) di un padre che cerca di rendere sensato l’insensato di fronte a un figlio che non ha più nessun futuro. Nel mondo apocalittico immaginato da McCarthy è la vita stessa che è stata devastata e che si va spegnendo tutt’attorno: ogni cosa ogni sentimento ogni fede sta tramontando, tutto diviene grigio come la cenere, nessuna alba mai più sorgerà.

L’unica figlia della coppia di Amour, che vive lontano e che ha capito poco o nulla di tutto quel che stava accadendo, e condiviso ancor meno, torna alla fine nel grande appartamento vuoto dove i due vecchi genitori avevano avuto cura l’uno dell’altra, fino al gesto estremo. E non può che sentire – come noi spettatori sconcertati e sconvolti all’apparire muto dei titoli di coda – una solitudine lancinante ed irredimibile.
Che cosa è rimasto di quell’amore, in quelle stanze desolate?
La filosofia o la ragione o l’etica o la religione o la psicologia non è che sappiano dirci granché. Ci provano, ma falliscono e alla fine risultano insipide quando non afasiche. Forse solo l’arte e la poesia ce ne sanno dar conto – ma a noi non resta che contemplare quelle macerie, muti e inerti.

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Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

126 pensieri riguardo “Amour”

  1. Molto bello, anche se devastante, e ti ringrazio.
    E molto sensato, soprattutto in questo momento ricordarci l’impotenza di tutta la nostra filosofia, il nostro presunto sapere, avere, potere e persino essere.
    Anche per ricordarci che le pur piccole possibilità che abbiamo – quando la devastazione è ancora lontana, quando ancora ci risparmia e siamo in possesso delle nostre forze – le pur piccole possibilità che abbiamo dovremmo cercare di usarle per il meglio, anche se so che il più delle volte non ne siamo capaci, e quanto sbagliamo. Non ho ancora visto questo film, ma lo vedrò presto …
    Grazie per avercene parlato

  2. Sveglia, giù dalle brande, sveglia, giù dalle brande…per chi vuole tagliarsi le vene raccomando di far scorrere l’acqua del rubinetto, per quelli che scelgono per la finestra, non dal primo piano perché massimo vi rompete una gamba, il secondo piano e gettatevi di testa, sveglia giù dalle brande signori che la festa è finita… 7 battaglione gazzelle paracadutisti SMIPAR e poi destinazione Mogadiscio, Sveglia signori giù dalle brande, fuoco su qualsiasi obiettivo in movimento, bambini , donne in cinta, non un secondo di esitazione, quel secondo lo paghereste con la vita, sveglia giù dalle brande signori.

  3. …i sibili dei proiettili , quelli ti entrano nel cuore, la paura si trasforma nelle feci frammiste di sudore e piscio, la morte non sai che direzione ha preso e se ti ha visto, credi in quella, perché quella è bella, quella è signora morte, ti farà la grazia di fermare la orrida angoscia, quei sibili di proiettile che ogni istante ti trapassano il cuore sono molto di più della semplice e galante morte…

  4. ….ricordando il giovane Trintignan nel film “Il sorpasso” viene proprio pensare alla devastazione della vecchiaia, checché se ne dica, e con essa la spaventevole possibilità di trovarsi senza cure e senza nessuno, solo stanze vuote, o ospedali, anche peggio. Grande film!!!

  5. L’angoscia per l’attesa caro filosofiazzero è ciò che ispira trauma , anzi è proprio trauma, quindi, facendo l’eco a Md, direi che la cura, il rimedio, qualcuno la può trovare in poesia, altri in filosofia. Dipende se si è tifosi del nulla o dell’essere. essere tifosi dell’essere dà una certa garanzia di durata, il nulla è portatore di angoscia.So benissimo filosofiazzero che mi espongo quasi al ridicolo in età di nichilismo leopardiano con queste smancerie sull’essere, ma per abbattersi e disperare c’è tutto il tempo che vogliamo, un’eternità direi.

  6. Ragusano:
    …”garanzia di durata” ….assai confortante!!!
    Quanto all’abbattersi e al disperare: dipende dal carattere.
    Sopra avevo scritto “….viene proprio da pensare” etc.
    Meglio (ovviamente) non pensare (come dicono anche le stesse mummie leopardiane che non vedono l’ora di ritornare morte)

  7. @Md
    “a noi non resta che contemplare quelle macerie, muti e inerti.”
    Ricordiamoci la denuncia di Sileno:
    “Ora dimmi, seguace di Dioniso, qual è la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo?”, domandò il re Mida al Sileno, e questi, costretto dalla sua insistenza, con voce stridula gli rispose: “Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto”. (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)
    Esiste un modo per non restare “muti e inerti”? Come reagire al dato di fatto?
    Modesta pro-posta: assaporare la vita per il tempo che ci è dato, “ognuno come gli va”, senza mai offendere l’altro da sé. Senza rovelli filosofici.

  8. Quel ora dimmi del re è la richiesta “di verità” dell’uomo, che per Nietzche non avrebbe senso, come per molti qui, in seno alla tradizione filosofica contemporanea, ma la risposta del Sileno tradisce la contraddizione insita nello stesso Nietzche, poiché il Sileno non risponde con un semplice ma… boh… chi lo sa… una risposta che rimanderebbe il contenuto semantico del rispondere ad altro da sé, che ridurrebbe tutto ad un non senso, invece risponde in seno alla tradizione epistemica di una verità ben incontrovertibile… sarebbe stato meglio per te non esser nato, essere niente… Questo è il volto del nichilismo evidente , mai raggiunto da altri come in Nietzche, l’essere niente, un volto che, se vogliamo fare verità, però già nel dirsi nega se stesso, poichè solo con volontà possiamo volere che verità sia negata, solo con volontà possiamo unire l’essere al niente, volontà che non si avvede che, comunque, quel niente, in sintesi con l’essere è richiamato dalla sua oltretomba, dal suo assolutamente nulla, il nulla assoluto che vorrebbe ma non può significare, per diventare, apparire, quel niente dotato di contenuto, una determinazione appunto, come tutti gli esseri. Una volontà che vorrebbe essere violenza non avvedendosene , ma che in fondo , se la guardiamo nel cuore , nel suo dire, non può violare ciò che da sempre è inviolabile e incontrovertibile, la verità dell’essere appunto.
    La risposta, qualsiasi essa sia e qualsiasi cosa dica è verità , è verità che l’essere è.

  9. … cerco chi ha altre risposte Filosofiazzero, chi crede che ciò che dico sia ovvio mi è amico, e ne sono felice, ma sono più felice di convertire chi non lo sia, e ancore più di essere convertito e convergente a verità.

  10. dice Carlo…”Esiste un modo per non restare “muti e inerti”? Come reagire al dato di fatto?”… semplicemente ammirando , nella sua piena luce, il dato di fatto , cioè che l’essere è. Sciocco, pretestuoso, avvilente, supponente, il credere che vi sia volontà che può su verità, soprattutto volontà nichilista.

  11. giusto, a meno di obiezione, ma deve essere un obiezione con le contro…. altrimenti resta incontrovertibilmente vero. nel suo dirsi è vero. D’altronde Giambattista Vico , si inserisce a forza in questo contesto di verità.

  12. Vabbé, dopotutto si tratta di un abbraccio – certo, però, che abbracciare 30 milioni di persone…

    p.s. oggi, nella pagina culturale del Corriere, Severino scrive intorno al recente dibattito sul “realismo”, su tecnica, Gentile, scetticismo, ecc.

  13. a proposito delle vicende (e del declino) del corpo, segnalo l’ultimo romanzo di Daniel Pennac – “Storia di un corpo” – strano diario di un padre lasciato in eredità alla figlia, che registra il corso della vita con la visuale privilegiata della percezione corporea e dei sensi. Sembra interessante…

  14. @md … t’immagini che lavoro abbracciare 30 milioni di persone? Sono stata là, sono appena tornata. Ovvio che non mi sono fatta abbracciare, c’è la lista d’attesa quasi infinita. Però l’ambient è carino. C’è anche la mensa con i cibi indiani, o a scelta anche italiani, ma comunque tutto vegetariano. E un gruppo di persone che suona musica indiana, e canta, a rotazione. Ah, c’è anche chi fa massaggi. Per quel poco che sono stata lì non saprei dire quante persone ha abbracciato. Poi mi hanno detto che si è ritirata e forse era un po’ stanchina … non so. Può essere. Poi questa sera ricomincia fino a domani mattina. Dopo andrà in Irlanda, pare.
    Questa sera ho intenzione di tornare lì a cenare. Così almeno evito di cucinare e vedo gente. Un sacco di gente giovane. Hippy e rasta ovviamente sono quelli che preferisco … ma anche vecchi figli dei fiori ormai coi capelli bianchi o grigi … molti si tolgono le scarpe, oppure mettono una coperta per terra e fanno meditazione, oppure semplicemente stanno lì … secondo me bisogna vedere, provare a essere lì, prima di dire …
    Comunque, detto tra noi, secondo me ci sono dei babbei peggiori. Cacchio se ci sono babbei peggiori …

  15. infatti non ci vedo proprio nulla di cui preoccuparsi – del resto c’è chi si incolonna lungo le autostrade per il week-end, chi affolla i centri commerciali la domenica, chi manifesta per le strade e chi si mette in fila per farsi abbracciare – varia umanità che esprime bisogni vari
    e comunque l’idea di una cena vegetariana in un ambiente posthippy non mi dispiace affatto…
    buona serata!

  16. Rozmilla:

    Peggiori, vorresti dire, immagino, nel senso di babbei stronzi,
    o anche di semplici babbei innocui, allo stato puro?

    Per quanto riguarda la “sostanza”, devo ammettere che ho vissuto in India per diverso tempo, e più volte, e forse è per questo che queste tourné di Babajaga mi mi sembrano troppo “esportate”da quello che è il contesto dove, alle volte, hanno luogo.
    Non per questo ho nulla da ridire, anzi, se uno ci va, e si diverte, e mangia, e incontra magari anche tanti giovani , che è anche meglio!!!

  17. … sì, Filosofiazzero, capisco. Anch’io in genere sono sempre stata abbastanza scettica, soprattutto verso i fenomeni di massa. Ma non sono mai andata nemmeno in uno stadio, e anche i concerti, mah, potrei contarli su una mano sola. Oggi sono stata trascinata da mia cognata. Ci sono andata solo per curiosità, non ci faccio una malattia. E anche molti altri ci saranno andati per curiosità, immagino. Poi pensa che si tiene al Malpensa Fiere, un luogo dove di solito vengono esposte e vendute merci. Di diverso è che non costa niente né entrare lì, né farsi abbracciare. Quindi, non so, forse anche i fenomeni di massa non sono tutti uguali. Ma penso anche che solo delle masse oggi potrebbero cambiare qualcosa, incidere in modo significativo sulla realtà. Se le masse cambiassero i loro bisogni, ad esempio, questo potrebbe cambiare la produzione industriale …
    Mi fa piacere di sapere che sei stato in India. È una cosa che a me è mancata.
    Sui babbei stronzi, però mi riferivo a quelli davvero stronzi stronzi (spero che mi capisci)
    Comunque oggi mi sono decisa ad andare dopo aver visto il video.
    Ad esempio quando dice:
    “I genitore, entrambi, uomo e donna, hanno un ruolo identico.
    Nel mondo di oggi il dominio maschile è diminuito, ma esiste ancora. Sia gli uomini che le donne, invece, devono sviluppare la maternità, intesa come sentimenti materni, perché la compassione, l’amore, la pazienza, la tolleranza, sono importantissimi, sia nella vita familiare che professionale.”
    E questo, in ogni caso mi piace …

  18. no comment su questa esperienza intreccio fra un outlet e un mercato indiano, Rozmilla ha cercato di coniugarne gli aspetti introducendo un’esempio della teoria del caos. Che vi sia dietro una intelligenza superiore ?

  19. … pardon, non nell’indiana, beninteso, ma nella Rozmilla, che l’indiana sia intelligente, è fuor di dubbio, intelligente e scaltra…

  20. Però bisogna riconoscerlo, le tirate di Alessandro Vaglia sono davvero notevoli. Mettiamo tra parentesi le offese che ci sono state,prendiamole anche esse (le offese) come facenti parte dellla
    travolgente scrittura di Ornello (tipo parentesi husserlliana)ma la sua scrittura è (per me almeno) è una irresistibile girandola di sana follia. Specialmente ho apprezzato molto la critica orgiastica contro il giornale la repubblica e tutto quello che essa significa o pretenderebbe di significare e di cui, forse, di quel tipo di cultura, alla Serra, siamo anche noi, tutti, o quasi, un po’ succubi. Anche xavier lo riconoscerà questo, ne sono certo, e non ne serberà rancore, spero, Ornello si è già fatto perdonare con il suo innegabile talento.

  21. pardon , scusi MD so di per certo che il maschile non ha bisogno di fronzoli, mi è scappato, sa quel difettucolo di scrivere veloci: mente scaltra, veloce, reattiva, ma poi capitano queste cosucce… lei non mi sentirà mai correggere alcuno sulla scrittura, banale il farlo e professorale e quindi profondamente stupido oltre che supponente, questo si che è supponenza, altro che la difesa della verità…

  22. meccanismi inconsci, quando il tuo interlocutore è massimamente in vantaggio si cercano espedienti retorici tipo quello sopra, ora mi assento per la cena, fate di me quello che volete…

  23. vede Md come siamo diversi io e lei, io il mio corpo e la mia anima la dono tutta, non sono un vigliacco che si nasconde dietro il paravento della retorica…

  24. bravo filosofiazzero, facciamo allora così: visto che non non ho più voglia di leggere il signor Vaglia (l’assonanza è banale ma irresistibile), aspetto i tuoi resoconti stilistici e le tue efficaci sintesi sulla “girandola di sana follia” derivante dai suoi commenti – d’altra parte ho sempre ammirato il tuo stile scoppiettante e “anacolutico”, quindi (te) ti leggo più che volentieri!

  25. a proposito, come ho già scritto qualche giorno fa in occasione di uno scambio con Luca Ormelli (che sarebbe stato bello approfondire) di solito non rilevo le sviste o gli errori – che ovviamente sono cose molto diverse – di chi scrive qui; primo perché mi sembra poco educato, secondo perché supponente ed infine perché sarebbe anche sterile; non l’ho fatto (credo mai) per oltre diecimila commenti (nei quali ci sono anche i miei, che di errori e sviste senz’altro ne contengono, compresa la presente involuzione sintattica) – e dunque ho oggi fatto un’eccezione, ma, appunto, la “girandola di sana follia” reca con sé anche queste conseguenze – e, dunque, beccatevele!

  26. (tra l’altro il blog ha registrato ieri un picco di quasi 700 visite – un record assoluto – che oggi verà probabilmente superato; immagino che il signor Vaglia abbia abbondantemente contribuito, peccato solo che non si vinca nessun premio…)

  27. però c’è un’ultima considerazione che vorrei fare; questo, come ho già scritto, è un blog (sedicente filosofico), non una chat o facebook, e prevede un minimo di riflessione prima di scrivere qualcosa, magari anche aver letto attentamente quel che gli altri scrivono (sempre che non si tratti di inutili polemiche o contumelie), e poi magari rileggere quel che si è scritto prima di cliccare, giusto per verificare che il proprio pensiero non sia autoreferenziale ma abbia senso e si rivolga agli altri, ecc.ecc.
    (certo, in questo io – md – sono avvantaggiato, perché posso ripescare il commento che ho postato, emendarlo, modificarlo… vabbé, un minimo privilegio per chi, in questa impresa, ci ha investito un bel po’ del suo tempo e delle sue energie, no?)

  28. … Per essere io poco considerato le sue ultime 4 fanno vendetta della frattura retorica con cui cerca di cavarsela. Filosofiazzero capisce e è guidato da giudizio, molte volte siamo in disaccordo, ma ,fra i violenti di sinistra qui, lui si distingue, eccome. Si capisce che è persona davvero curiosa e che non si accontenta del suo vissuto, assolutamente diverso qui e non autoreferenziale.Lei MD è un violento, l’ho dimostrato più volte qui, se ne avvera e cerchi di correggersi, si , il mio è un consiglio, lo consideri come da padre a figlio…

  29. @ m.d.
    come ho già detto altrove, concordando sul fatto che questo é un blog di cui mi sento ospite, e non il padrone di casa, ho deciso di limitare le mie intromissioni al minimo sindacale e sugli argomenti che più mi interesseranno. Dopo un po’ tutto finisce col sembrare una minestra riscaldata, e anche le tenzoni da 800 visite alla lunga rischiano il tedio. E’ certo che la compresenza di modi di pensare diametralmente opposti finisce sempre con lo scaldare gli animi, e non mancheranno le occasioni per continuare almeno parzialmente il “contraddittorio” di cui sopra, che cercherò di limitare al massimo, almeno in termini di lunghezza. Domanda: vincerai qualche premio quando 1000 contatti?

  30. @papà xavier: come ho già detto 4 commenti fa (noto che anche tu non li leggi per intero e saltabecchi qua e là!):
    “peccato solo che non si vinca nessun premio”.

    ***

    Detto questo, non abbiamo nemmeno cominciato a sfiorare (intendo seriamente) l’angosciante questione postaci da “Amour”.
    La pro-posta di Carlo (che purtroppo si è perduta nel marasma di parole), e cioè:

    “assaporare la vita per il tempo che ci è dato, “ognuno come gli va”, senza mai offendere l’altro da sé. Senza rovelli filosofici”

    è senz’altro ragionevole e condivisibile. Ma quando si ha dinanzi un corpo in inesorabile declino (sia quello dell’altro sia il proprio) non c’è sapore, rovello o non rovello che tenga. Anche quel corpo è “quel che ci è dato”.

  31. … a proposito, avete visto che ho cominciato anche io a mettere etichette ? finalmente ho capito il linguaggio di questo blog e mi sono conformato, detto questo voglio nuovamente sottolineare la violenza dell’ospite di questo blog, il signor Mario che si arroga il diritto di dispensare quello che si è fatto o meno nell’argomentare, come il miglior dittatorucolo dell’avana progressista.
    Altro consiglio al 50enne Mario dal 40enne Alessandro: la smetta con il giudicare e l’etichettare, stia sull’argomento , se ha qualcosa da dire lo dica, altrimenti taccia, quale miglior difesa della propria intelligenza il tacere di ciò che non si può sapere.

  32. .. .-) naturalmente ogni mia parola e frase è filosofia, nel tacere di ciò che non si può sapere né raccontare sta tutta la dignità di un uomo e invece nel suo contraddittorio sta tutta la falsità ed è indegno di chi si passa per filosofo.

  33. @Alessandro Vaglia
    Ho letto il suo primo dei 3 commenti fino alla riga 3 e mezzo, e vedo che lei mi dà del “violento”.
    Naturalmente si può anche pensare che sia “violenza” ogni cosa (come fa Severino, per dirla all’ingrosso) – però, io credo che se lei rileggesse tutti i suoi commenti (che io ho avuto la pazienza di leggere per un 20-30%, ed è già stata troppa grazia) vi troverebbe un livello di violenza che, almeno su questo blog, non credo si sia mai vista. Anzi, non lo credo, lo affermo e lo so.
    Dopo di che è facile parlare a sproposito di violenza – tutti ne parlano e tutti danno agli altri l’etichetta di “violento”, quando non di “terrorista”. Ma occorrerebbe essere dei filosofi per farlo con serietà, quindi direi di lasciar perdere, lei fa parte di tutt’altro territorio.

    Ma, detto questo, ribadisco, non abbiamo nemmeno cominciato a sfiorare (intendo seriamente) l’angosciante questione postaci da “Amour”.

  34. se ha un filo di dignità storica, non pretendo quella filosofica, cerchi la parola, la scintilla che ha fatto violenza, chi ha provocato chi, tra i miei post e quelli scritti da voi, non è molto che scrivo qui , non le sarà difficile, provi a fare verità e se dimostrerà agli astanti, agli ascoltatori e interlocutori di questo blog che la violenza è partita da me lei avrà fatto bingo , perché io non scriverò più una lettere dell’alfabeto qui, non una parola… ma deve avere il coraggio perché verità vuole solo una cosa , vuole coraggio dagli uomini (dove dissento da Severino).

  35. @ m.d.
    vedrò senz’altro il film, che era già in lista di attesa, e saprò dire qualcosa di più. Tra non molto mi troverò a dover fare i conti con la morte, ma prima ancora, per mia scelta personale, trascorrerò del tempo con chi si trova già ad un passo da essa. Spero di capirne qualcosa in più, senza indulgere in sciocchi esperimenti di egocentrismo. P.s.: hai ragione, é difficilissimo in questi giorni leggere tutto quanto capita sul blog, e quindi saltabecco un po’ qui
    e là, perdendomi probabilmente cose interessanti, ma d’altra parte credo che tutti si abbia anche altro da fare. Per quanto riguarda i contatti sapevo bene che non c’era premio, ma fino agli ottocento: vuoi dire che anche a quota 1000 non ci sarebbe stato nulla, nemmeno una felpa di google? Papà.

  36. @tutti tranne che MD e Xavier, figlio e padre.
    Secondo Aristotele l’amicizia è una virtù indispensabile all’uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se possedesse tutti gli altri beni. Gli amici sono necessari nella prosperità come nel bisogno, nella giovinezza come nella vecchiaia, nella vita privata come nella vita pubblica. Gli amici sono il più grande dei beni esterni. L’uomo è portato per natura a vivere con gli altri e a crearsi amici. All’uomo felice non servono amici utili o piacevoli, perché ha già i beni che da questi potrebbero venire, ha invece bisogno di amici buoni, cui donarsi, con i quali condividere i discorsi e il pensiero.Aristotele, da logico qual era, non aveva previsto appunto cosa nascondesse l’amicizia dietro questa dottrina. L’amicizia è corrisposta per volontà, con l’amicizia viene ad annebbiarsi verità…è quindi altrettanto indispensabile liberarsene se la si cerca, ma liberarsi di un amico comodo presuppone coraggio , quel coraggio che conviene a verità.

  37. sembrate due monellacci che, presi in castagna, fanno le combutte contro il nuovo arrivato, ma dai su .., smettetela per voi stessi lo dico, e lei MD, così poetante nello scrivere di cose non sue e cosi insignificante quando deve far da solo… ma dai un poco di dignità su… sempre qui per servirvi e riverirvi , il vostro gargantuelico ed affamato padrone.

  38. @solo A.V.: perché, crede che ancora qualcuno, qui, la stia forse leggendo? Magari il buon filosofiazzero, chissà (del resto lui non è mio parente)
    (ops, ho letto una riga in più di quel che mi ero proposto, ed ho così superato la mia dose quotidiana, ma evidentemente ho assunto negli anni tali e tanti anticorpi contro le sciocchezze umane…)

  39. Me lo traduca il pensiero di Severino Filosofiazzero, poiché nelle righe scritte sopra di Aristotele c’è moltissima verità… come fa lei Filosofiazzero a comprendere Severino se non si abbandona totalmente alla sua filosofia? già così sarebbe quasi impossibile, data la mia obiezione finale su Aristotele per la sua di filosofia dell’amicizia.

  40. Qualche settimana fa avevano ridato the road, e l’ho visto due volte in tutto, in televisione. La prima volta ricordo che mi aveva impressionato la corrispondenza delle immagini mentali che mi si erano formate mentre leggevo il libro, con la versione cinematografica. I colori, le scene, l’aspetto dell’uomo, la magrezza e le unghie sporche. Manca solo di sentire il freddo delle notti all’addiaccio, gli stracci zuppi di pioggia. Rispetto al testo però la narrazione è più lineare, più comprensibile. La storia della moglie, i motivi per cui lei ad un certo punto decide di andare via, nel libro non si capiscono molto bene. Mentre nel film questo particolare è stato sviluppato, ampliato dalla sceneggiatura.
    Ma che donna decide di andarsene via, a me questa cosa mi aveva fatto infuriare, sempre, anche quando leggendo il libro i motivi erano solo accennati.
    Non so, penso solo che non potesse accettare la possibilità di vivere ancora in quel modo, pensando anche al peggio, a quello che avrebbe potuto succedere, in un mondo che non era il mondo conosciuto, ma che era diventato solo orrore e inferno. Aveva gettato la spugna lasciando l’uomo da solo ad occuparsi di tenere in vita il figlio, quel bambino, il piccolo dio. L’unica cosa per cui poteva valere la pena di vivere e lottare. O forse se n’era andata perché nella pistola c’erano solo due pallottole. L’estremo sacrificio di sé, andandosene a morire nel bosco, nel gelo, lasciando al marito e al figlio la possibilità di una morte rapida, forse quasi indolore

  41. ….mi ci provo a capirlo (Severino) a volte mi sembra di averlo capito
    cosa lui vuole significare, ma poi subito mi sento un babbeo perché quello che mi sembra di avere capito io di sicuro è fin troppo misero (babbbeus babbeus semper)!!!

  42. @filosofiazzero: non vorrei essere scortese, ma qui si stava parlando d’altro; per Severino ci sono molte altre stanze in questo blog…

    @euridice: interessante… (e benvenuta)

  43. Non vorrei essere scortese non esiste esiste solo l’essere scortese, con tutta la volontà che ci metti per significarlo; questo “non” lo dice Severino questo lo dice quel marxista e amico di Rozmilla, severiniano appunto.

  44. La guerra, sinonimo di violenze inaudite, la vecchiaia, come metamorfosi oscena della gioventù, e la morte inconfutabilmente “certa”. Queste sono le evidenze destabilizzanti dell’orizzonte antropologico, nella sua assoluta contingenza (orizzonte che ha avuto un inizio e che avrà una fine prevedibile). Il pensiero autoreferenziale (“creativo”) che finge a sé stesso di possedere doti cognitive trascendenti, cerca di esorcizzare i propri limiti, prospettando sentieri di verità inconsistenti: creazionismo, eternità dell’essere, l’uomo come statuto ontologico. Di fronte alla “banalità” del male che avanza e che erga omnes tutto livella, l’uomo piange, si dispera e, alla fine, ammutolisce. Orsù, un po’ di coraggio! “Qui si parrà la tua nobilitate”, diceva il sommo poeta.

  45. @Carlo: però anche provare a battere la strada del pensiero contingente, che peraltro trovo molto interessante, comporta la medesima autoreferenzialità – in quanto è proprio di ogni pensiero (quale esso sia) sull’oggetto a provocare un effetto di rimbalzo dall’oggetto (che non si fa certo accalappiare) al sé che lo pensa.

  46. contingenza, necessità, non sono gli oggetti ma le relazioni fra gli oggetti, non confondeteli con gli oggetti, fareste molta confusione.

  47. ecco, questo pensiero sull’oggetto che va metabolizzato, cosa intendiamo per pensiero sull’oggetto (realismo), o il pensiero è l’oggetto(idealismo), o l’oggetto non è affatto e è solo il pensiero (immanentismo)?

  48. Condivido quello che ha scritto Carlo, anche se non saprei scriverlo così bene. A livello concreto e razionale sono del parere che le cose stiano come lui dice.
    Oggi però mi sono ricordata della mia nonna che – quando io ero una bambina piccola, di forse cinque o sei anni, su o giù di lì – ad un certo punto aveva cominciato a dirmi cose di questo tipo: Io morirò, ma non preoccuparti, perché poi ci incontreremo di nuovo. E quando ci incontreremo di nuovo sarà bellissimo, e non ci sarà più dolore, e non moriremo più. Però dovrai essere buona, se vuoi che questo accada per davvero. Perciò non aver paura, ci incontreremo di nuovo tutti, vedrai. E io sarò già là, sarò là ad aspettarvi.
    Sono sempre del parere che le cose in concreto stiano come ha scritto Carlo. Eppure non mi spiace pensare che c’è un luogo dove mia nonna mi sta aspettando. Pensare di poterla incontrare ancora. Non sarà così, lo so. Ma c’è un luogo nel mio cuore, nella mia mente, dove lei non smette mai di stare ad aspettarmi.

  49. …”Non sarà così, lo so. Ma c’è un luogo nel mio cuore, nella mia mente, dove lei non smette mai di stare ad aspettarmi.” Lei è sicura di come non sarà, mi piacerebbe avere le sue certezze…

  50. Alessandro Vaglia:

    “Lei è sicura di come non sarà, mi piacerebbe avere le sue certezze…”

    Interessante il tuo commento perché ribalta quello a cui tutti, non credenti (cosiddetti), normalmente crediamo, mentre invece, in “realta” (mi scuso per le banali virgolette) chissà come le cose potrebbero stare…

  51. @Md
    la via da percorrere potrebbe essere il non-pensiero, il pensiero non formalizzato in un modello concettuale, un pensiero che è immagine veniente al soggetto per autonoma determinazione del flusso incontrollato delle produzioni cerebrali, come nel caso dei sogni. Senza la referenzialità che l’idea comporta rispetto al mon do che ci circonda. Farsi, cioè, oggetto, diventare “corpo” che vive con le sue proiezioni istintuali ben calibrate dall’evoluzione. In cui gli aspetti valoriali (bene/male) ci vengono forniti dalla “natura”.
    Ovviamente questa “postura” non può essere conservata a lungo, in quanto la dimensione razionale busserà sempre alla nostra porta e ci chiederà di prendere il comando, di diventare “soggetti” pensanti per il bene del mondo.
    Starà a noi dire:” contieniti, hai già fatto abbastanza danno (guerre, odio, rivoluzioni, prevaricazioni, ecc.), lascia che la vita scorra dentro di noi senza pre-concetti razionali. In pace, finchè morte non ci separi da noi stessi.

  52. @Md
    @ Rozmilla (scusa se ti cito)
    Se vivrai secondo natura, non sarai mai povero; se vivrai secondo le opinioni non sarai mai ricco”. (Seneca).
    Per fare un piccolo passo avanti sul tema, partiamo da qui. Rozmilla, persona incontestabilmente razionale, confessa: “Eppure non mi spiace pensare che c’è un luogo dove mia nonna mi sta aspettando …” . Su questa fragilità psicologica, comune a tutti gli esseri umani, si fondano, generalizzando, tutte le religioni nella storia dell’Umanità. Guidata dai sentimenti, “spera” che l’identità/persona della nonna, percepita come “buona/calda”, abbia ricovero certo, non solo nella sua memoria, ma anche in un luogo non ben determinato (u-topia), dove, a tempo debito, potrà “forse” ri-vederla. Rozmilla desidera che le cose siano in un “certo modo” ma poi, risvegliandosi come da un sogno, ammette che la sua dimensione razionale le impedisce di cedere al “dolce inganno”. Probabilmente ritiene, in cuor suo, che la dimensione razionale la renda più “povera” e meno felice, ma “obtorto collo” tende a privilegiare le produzioni mentali rispetto a quelle del cuore. Questo modello cognitivo appartiene a tanti di noi: Primum concettualizzare.
    In realtà, le cose sono certamente più complesse. L’evoluzione ci ha regalato uno strumento interpretativo che ci consente prima di “sentire” se una cosa è buona. Dopodiché, per ottenerla, la battezziamo concettualmente e ci diamo da fare per ottenerla con mezzi adeguati (inventandoci, per esempio, le religioni). Ovviamente quel sentire è soggettivo e può inesorabilmente portarci fuori strada.
    La mia tesi, sintetizzando all’ennesima potenza, può essere così formulata: Il sentire, nell’uomo (donna), è la variabile indipendente che guida ogni nostra concettualizzazione. Sentire e concettualizzare sono le due facce che qualificano la cifra “homo sapiens”. Anche gli animali “sentono” ma hanno difficoltà insuperabili a produrre “concetti”.
    Ultima postilla: rispetto a quanto detto, ci potremmo prospettare di “trascendere il “sentire (cuore) – concettualizzare (mente)” per approdare ad una sorta di oggettivazione (sintesi soggetto/oggetto), nella quale il nostro corpo (res extensa) diviene l’interlocutore privilegiato a cui riconoscere l’autorevolazza (dovuta all’anzianità evolutiva) della sua proposta minimalista: primum vivere, secondo natura.

  53. @Carlo
    Niente scuse, anzi, sono lieta che mi dai modo di spiegare.
    Per prima cosa devo dirti che il commento in oggetto l’ho scritto come l’ho scritto per precisi motivi contingenti … (spero tu comprenda)
    Poi, sia chiaro che i discorsi mitico-religiosi che molti di noi (me compresa) abbiamo assorbito nell’infanzia, nel mio caso li ho lasciati alle spalle da parecchio. È da molto infatti che non mi faccio illusioni. Questo non toglie che nella mia memoria conservo quel ricordo (come altri ricordi) che non considero una fragilità ma un punto di forza offertomi dal buon legame affettivo.
    Forse si potrebbe ammettere l’esistenza di modi diversi di pensiero, ad esempio quello esclusivamente razionale, e quello legato ai sentimenti, che però non sono separati totalmente, per cui possono convivere senza l’esclusione di uno o l’altro, e senza nemmeno entrare troppo in conflitto, si spera. Tenendo ben presente che appartengono a sfere diverse, cosa che (per lo meno a me) evita di confondere eccessivamente i piani.
    Ma se leggi bene la frase, non dico affatto che ci sia un “altro” possibile luogo (’reale’) che non sia appunto nel mio cuore e nella mia mente. Se però la leggi di nuovo, si capisce che so bene ciò che mi aspetta, ossia di dover morire a mia volta come è morta mia nonna. È la morte che mi aspetta, in fondo. Che altro? Ma intanto sono viva.

    Però c’è anche da dire che non tutti siamo fatti allo stesso modo, o abbiamo raggiunto le stesse consapevolezze o convinzioni. E nemmeno abbiamo tutti gli stessi bisogni o lo stesso coraggio di accettare come stanno le cose. Qualcuno proprio non ce la fa, e ha necessità di credere alle favole, ai miti, alle religioni, e in questo forse nemmeno i filosofi fanno eccezione.
    Nei giorni scorsi, leggendo qualcosa di Deleuze, mi chiedevo se, ciò che tutti noi (filosofi inclusi) crediamo, o crediamo di credere, non derivi dal “piano di immanenza” all’interno del quale ogni nostra produzione concettuale si iscrive; per cui anche ogni pensiero avrebbe la “verità” che le proprie coordinate di produzione riescono a consentirgli …

  54. @Md
    L’io penso, concettualizzando ogni cosa, a tempo pieno, si vive come “altro” rispetto al proprio corpo, alle proprie basi biologiche. Si sdoppia a tal punto da perdere di vista le origini della sua specie. Si crea modelli concettuali dentro cui si accomoda come fossero la sua unica casa (habitat artificiale). Vive la struttura auto-prodotta come insieme armonioso di assiomi da implementare, passo, passo, sempre in vista di una possibile verità definitiva (perfezione creativa).
    Si radica nella dimensione razionale, scordando il “sentire” che ha dato avvio al processo cognitivo. E che può essere così sintetizzato: Se, finalmente, tengo in pugno, possiedo la “verità” posso dormire sonni tranquilli, senza incubi ingiustificati.
    Di conseguenza, nella postilla, proponevo di cambiare rotta, di re-incarnarsi psicologicamente: di vivere, non nella mente, ma nel corpo. L’oggetto che non si nega mai a chi lo recupera come dimora “naturale”, perché monitorabile, alla mano e che, quando toglierà l’incomodo, per raggiunti limiti d’età, chiuderà definitivamente l’orizzonte razionale, protesi posticcia spesso fuorviante.
    @Rozmilla
    La risposta a Md coinvolge anche te. Non avevo dubbi che tu fossi come ora ti descrivi. Sottolineo che le sfere (del sentire e del concettualizzare) sono diverse, ma complementari. Con una gerarchia precisa: prima sento poi mi regolo. Attraverso la percezione del “bene-per-noi”, concettualizziamo le strategie adeguate (volte alla sopravvivenza).

  55. @Carlo: sai qual è la cosa che non mi convince del tuo discorso (che mi pare di averti già obiettato in passato)? Che quando parli di “basi biologiche” parli comunque di un “pensato”, di qualcosa di estremamente concettualizzato/formalizzato (che è poi la mia obiezione generale a tutte le teorie sulla “natura” o sulla “natura umana”).
    Quanto poi a “vivere non nella mente ma nel corpo”, attiene naturalmente a ciò che noi intendiamo per mente e per corpo e al loro rapporto/separazione estremamente cangiante e diveniente (vedi Damasio, Cartesio,Spinoza, ecc. – ma anche Agamben, per quanto attiene al confine mobile umano/animale).
    In sostanza quel che io metto radicalmente in questione è che ci si possa riferire a qualcosa come una categoria impensata, originaria, ecc. di “realtà” o “natura” o “corpo”. Semplicemente non credo possa più essere data.
    D’altro canto – e qui mi pare si possa convergere – trovo paradossalmente (e spinozianamente) più complicato dire “che cosa sia (o possa) un corpo” che non una mente.

  56. Grazie Md.. per l’accoglienza nel tuo Blog, che seguo da tempo con interesse …

    E visto che in questo post si parla d’amore, desidero dire qualcosa (sperando di non interrompere o intralciare la vostra discussione precedente)

    comunque, ecco … un amico qualche giorno fa mi ha chiesto: “Come va l’amore?”.
    In un primo momento non ho risposto, anche perché mi sembrava che bastasse rispondere con un sorriso.
    Dopo, però, solo dopo mi è arrivata una risposta. Pensiamo che le risposte siano nostre, e invece non è detto, non sempre è così. Le risposte se ne vanno in giro come i pensieri, le piume (come diceva Forrest), le foglie, i granelli polvere, e qualche volta le intercettiamo, se sono le risposte che ci corrispondono.
    Non va affatto male, gli avrei risposto se fosse stato ancora lì. Anche perché l’amore cambia col tempo, non è sempre uguale, cambiano i desideri, ciò per cui possiamo dire di essere soddisfatti, contenti. È una cosa molto semplice. Amo chi mi ama, e proteggo chi mi ama. Ma è chiaro che amo anche me stessa, per cui proteggo anche me. Mentre credo che non sia possibile amare tutti, né amare chi non ci corrisponde. Sarebbe inutile, uno spreco di tempo e di energie. Per questo credo sia giusto prendersi cura delle persone di cui vale la pena di prendersi cura. Amici compresi.

    Più tardi, mi sono ricordata di quel bambino, in The road, quando chiede al padre:
    – Siamo ancora noi i buoni?
    – Sì, siamo ancora noi i buoni – (gli risponde il padre)
    – E lo saremo sempre.
    – Sì, lo saremo sempre.
    – Ok.

    Ok!

  57. @Md
    Io parto dal “sentire” e approdo, per necessità contingenti, al “verbo”, tu dal concettualizzare e lì stazioni. E’ evidente che ogni discorso non può che tradurre il percepito soggettivo in un modello lessicale astratto finalizzato alla comunicazione interpersonale (questo è il senso del linguaggio). Io sento il mio corpo, avverto e percepisco le sue richieste non verbali (biologiche) attraverso i sensi. Lo assecondo, perché mi fa “star bene”. Sento il vento tiepido sul mio viso che mi accarezza, il sole che scalda il corpo infreddolito… ma anche le più banali esigenze fisiologiche. Come un “gatto” qualsiasi che vive secondo natura senza concettualizzare. E lì, autisticamente, potrei stazionare. Ma per sorte nel mio dna c’è “altro”: una dimensione psicologica complessa, strutturata dalle interazioni sociali, una dimensione razionale “abnorme”, rispetto agl’altri esseri viventi, che mi consente di seguire le orme di Socrate, cioè di concettualizzare.
    Volendo, con fatica, posso, però, anche “ridurmi”, mettere il silenziatore ai pensieri che si affollano e rappacificarmi con la mia natura “animale”. E’ un modo legittimo e proficuo, per accomodarsi verso l’ineludibile uscita di scena, senza traumi, senza provare “orrore” per la vecchiaia che deforma il mio viso e quello dei miei cari. Mi ammutolisco per libera scelta, prima che l’orrore della morte (in senso lato) ammutolisca me. In questo l’Oriente è nostro maestro.
    Un limite dell’Occidente è, a mio giudizio, la coazione a “misurare il mondo”, ad essere “geometri”, a “far di conto”, ad arrovellarsi per spremere dai concetti l’essenza dell’assoluto. Proprio quello che tu mi addebitavi: fare riferimento “ a qualcosa come una categoria impensata, originaria, ecc. di “realtà” o “natura” o “corpo”.
    A me non interessa “catalogare”, ma vivere nel mio corpo, in una dimensione originaria (la nostra specie avrà pure avuto un origine?) pre-categoriale dove il “saggio” sentire non trovi contro-deduzioni concettuali.

  58. @Carlo: sì, ti seguo e mi trovi in gran parte d’accordo – anche se il “deporre” questa abnorme concettualizzazione – almeno per quel che mi riguarda soggettivamente – è una controfatica altrettanto abnorme. Ma ne comprendo perfettamente l’esigenza. Ripartire dal corpo – un corpo non metafisicizzato-ipostatizzato, s’intende, ma vissuto in tutta la sua complessità – è un buon programma etico ed ontologico.

  59. @Carlo:
    Ieri, dopo aver letto il tuo commento, quando parli del corpo, mi è sembrato evidente che anche la mente è corpo, è parte del corpo. Noi siamo tentati a fare distinzioni fra ciò che è mentale e ciò che è fisico, ma, detto semplicemente, credo che mente e corpo siano un complesso in interazione, sia fra loro che con l’ambiente.
    Per questo credo che quello che tu auspichi, che se ho ben capito è una sorta di “ritorno alla natura”, o se non altro ad uno stile di vita più vicino alla natura, potrebbe avvenire cambiando appunto il proprio stile di vita.
    Perché possano esserci dei cambiamenti significativi del nostro modo di essere, di vivere e di sentire, che può essere vissuto come un pesante eccesso di concettualizzazione, e per spostarci verso una dimensione che lascia più spazio ai sensi, e al sentire, allo scorrere della vita, credo che non si possa che cominciare col cambiare il nostro proprio di vivere. Farlo, insomma.
    Finché se ne parla soltanto, è chiaro che questo non accade.
    Ma forse esistono anche delle pratiche, delle tecniche che possono aiutarci ad andare in quella direzione. La cura di sé, del proprio respiro, ad esempio.
    Sulla “postura”, una cosa molto banale: la nostra abitudine occidentale di stare seduti sulle sedie, ad esempio, trovo sia una cosa che già di per sé ci impone di essere in un certo modo, di pensare in un certo modo. La posizione del nostro corpo seduto su una sedia, stabilisce già di per sé un certo modo di essere, di stare. Non so come spiegare …
    M’è capitato di stare seduta su una sedia per alcune ore, e di desiderare di potermi sedere per terra, per davvero. Mi sarebbe piaciuto farlo, se avessi potuto dare ascolto a ciò che sentivo. Ma avrei potuto farlo, mentre tutti gli altri erano seduti sulle sedie?

  60. @rozmilla: ti sei spiegata benissimo, in effetti sulla postura ci sarebbe molto da discettare – ma, come tu dici, molto meglio sarebbe fare e passare all’azione. Scendere dalle sedie, sedersi al livello del suolo, essere più orizzontali e terrestri. E magari abbandonare più spesso i monitor di fronte a cui siamo seduti…

  61. Già, ma questi monitor non sono solo “monitor”, come la televisione, ad esempio.
    Questi monitor ci hanno dato modo di comunicare, esprimerci e interagire come non saremmo riusciti a fare in condizioni umane terrestri. Siamo diventati dei simil cyborg? Eh eh
    Comunque, ho capito cosa mi vuoi dire. Inizi tu? Scherzo.
    Sul sedersi sulle sedie o meno, non so se hai capito a cosa mi riferivo. La sedia di per sé non è una cattiva invenzione, solo che la sedia ha bisogno del tavolo – secondo me – per avere senso.
    Pensa invece come sarebbe più interessante nel gruppo di discussione riuscire (a poco a poco) a sederci davvero per terra.
    Volevo già dirtelo l’altra volta. Per me è stata una specie di tortura stare seduta per due ore e mezza sulla sedia. Così mi son detta, la prossima volta mi porto uno stoino o simili e mi siedo per terra. Ma come faccio a sedermi per terra se tutti gli altri sono seduti sulle sedie? Ero qui che volevo arrivare.
    Ma volevo anche dirti che prima di metterci a discutere, parlare, eccetera, sarebbe meglio cominciare magari mangiando qualcosa insieme, prendere confidenza, oppure prenderci per mano e fare un girotondo, e poi tutti giù per terra. E abiti comodi, ovviamente, come in palestra. Voglio dire che vuole un minimo di contatto fisico, io credo sarebbe meglio, per collegarci, sentirci gruppo. Siamo troppo estranei l’un l’altro, ancora. Un gruppo troppo disomogeneo, all’inizio.
    La discussione così come si prospetta, temo – e in questo sono con Carlo – rimarrà un fatto troppo concettuale. E anche piuttosto noioso, ho paura. Secondo me bisognerebbe fare qualcosa per smuovere le cose a livello corporeo, prima. Ballare, saltare, girotondi e tutti giù per terra.
    Comunque sono idee bislacche, te le dico così … solo mie sensazioni.
    Ma cosa possiamo cambiare … se non possiamo nemmeno a cambiare il modo in cui stare?

  62. @Md
    Usi il termine “deporre”. Il verbo è illuminante. In generale il pensiero (ideologia in senso lato) spesso è un arma per conquistare una posizione “dominante”, da cui osservare il mondo dall’ alto in basso, discettando ex cathedra. E’ servito per fare rivoluzioni “giuste”, per annientare interi popoli, per sostenere la bontà del “libero mercato”, guidato da una mano invisibile e benefica. Nel suo nome si sono materializzate nefandezze inenarrabili: fascismo, nazismo, stalinismo, ed altre amenità consimili.
    A livello più minimale ci rassicura perché ci induce a credere (“io nel pensier mi fingo”) che la “verità” sia a portata di mano. Deponiamo, dunque le armi, tutti, anche se la contro-fatica è “abnorme”. Può valerne la pena, non credi?
    Soprattutto per il nostro benessere mentale.

    @Rozmilla
    “mi è sembrato evidente che anche la mente è corpo, è parte del corpo…”. Concordo, anche se sul termine “mente” occorrerebbe approfondire…
    Non avevo dubbi, ancora una volta, che tu avresti capito, come donna, fino in fondo, che il “sentire” (consapevole) è la cifra che più di ogni altra connota l’umano.

  63. Carlo:
    “Deponiamo, dunque, le armi…”
    Mi sembra che tu dica molto bene, e sarebbe, forse, bello riuscirci.
    Il risultato, ho sempre pensato, una specie di ZEN,
    e cioè vivere tutto senza il pensiero, come uguale a un cadavere. Vivere tutto e tutte le cose come da morti.

  64. eppure – pur avendo in tutti questi anni (anche qui) ragionato (non praticato, qui non si può praticare nulla) su eventuali ritirate e de-posizioni, su orizzontalità e anti-logocentrismo;
    venendo poi personalmente da una storia movimentista, materialista, contestataria e critica di un certo modo di intendere la filosofia;
    avendo fatto una tesi su Rousseau, che (almeno in teoria – in teoria!) è un fautore della Sinnlichkeit, del ripartire dal sé, dal corpo, dai sentimenti;
    essendo per di più marxiano (non proprio marxista) e avendo avuto maestri come Luciano Parinetto (che potrebbe essere considerato, tra le altre cose, un “filosofo del corpo”);
    avendo avuto amiche filosofe o semplicemente critiche del famigerato logofallocentrismo,
    ecc.ecc.
    trovo che questo straordinario discorso che abbiamo imbastito
    1) rischi – come è già stato notato – di rimanere un discorso
    2) ma soprattutto che abbia una intrinseca necessità di attraversare proprio tutto quello che intende negare:
    siamo cioè animali che si ergono a superanimali e che poi, da quella beata posizione, pretendono pure di tornare alla mera animalità…
    mah!

    (ciò non toglie che quella sia la direzione verso cui dover andare)

  65. @md: non esagererei con l’animalità! dubito che l’“animalità” sia buona di per sé, soprattutto se a realizzarla sono gli animali umani! a livello del suolo, strisciano anche serpenti, scorpioni, ramarri, e incontri ravvicinati di quel tipo non fanno piacere a nessuno, mi sa, nemmeno nella foresta amazzonica. Infatti anche lì cercano di tenerli lontani, mica ci convivono.
    Direi, invece, che nella nostra “civilizzazione” ci sono degli aspetti che tendono a farci diventare alquanto incivili, e a renderci meno liberi e meno felici.

  66. @rozmilla
    un chiarimento: quando parlavo della “direzione” verso cui andare non parlavo certo di “animalità” – che, oltretutto, suona anch’essa di categoria metafisica ed oscura, un po’ come “natura”, “natura umana”, ecc.

  67. @Carlo
    Secondo me, la mente nel discorso che poni, c’entra ben poco. Il problema non viene mica dalla mente, ma viene dal linguaggio, da un prodotto specificamente culturale.
    Mi pare cioè che tu confonda attività mentale e pensiero che invece è solo una sottospecie di attività mentale, caratterizzata specificamente dall’essere espressa in parole. Quando tu parli delle sensazioni, le attribuisci al corpo, ma in verità non vedo come, proprio al’interno del contesto delle sensazioni, si possa vedere la mente in opposizione al corpo.
    Per il resto, sono assolutamente d’accordo con te, che il livello di verbosità e di verbalizzazione che abbiamo in occidente è decisamente patologico.
    Sai da quanto tempo pongo queste questioni su questo blog, e Mario sta sempre a richiamarmi al fatto che esponendole mi trovo anch’io in una dimensione linguistica. Il punto sta proprio nell’avere la capacità di non rimanerne prigionieri, il linguaggio è un arnese molto utile per certi lavori, ma non per qualsiasi lavoro, e il modo di usare il linguaggio è ricordare costantemente che si tratta solo di un attrezzo culturale e che nulla ha a che fare con la realtà in quanto tale.

  68. … e che nulla ha a che fare con la realtà in quanto tale… volontà di annientamento, volontà nichilista insita nel realismo, ma nel momento in cui io guardo un oggetto ( io sono il linguaggio, l’oggetto è ciò di cui sto parlando) quello è guardato da me e è questo momento la realtà, altre realtà io non ne conosco, e voi ?

  69. @Filosofiazzero
    “vivere tutto senza il pensiero, come uguale a un cadavere. Vivere tutto e tutte le cose come da morti.”
    Non mi sono spiegato bene, se questa è la tua con-clusione.
    Propongo, al dunque, di praticare un vitale rapporto con il corpo che ci consenta di sentirci “bene”. Di essere noi stessi in carne e ossa, senza farci condizionare da astratte “visioni del mondo”. In pace con noi stessi. Il distacco da me suggerito è un’ incitamento ad aderire alla vita, sentendola scorrere nelle “vene”. Insomma essere vivi, vivissimi al 100%!

    @Md
    1) rischi – come è già stato notato – di rimanere un discorso
    2) ma soprattutto che abbia una intrinseca necessità di attraversare proprio tutto quello che intende negare: siamo cioè animali che si ergono a superanimali e che poi, da quella beata posizione, pretendono pure di tornare alla mera animalità…
    mah!
    Caro Md non intendo negare ne affermare alcunché di “abnorme”. Un discorso rimane un discorso se il perimetro entro cui ci si colloca è la Teoria (dal greco θεωρέω theoréo “guardo, osservo”, composto da θεά theà, “dea” e ὁράω horào, “vedo”). Infatti il teorico (idealista) crede di vedere nell’ “idea” il divino, quindi l’assoluto. Mi ritengo un modestissimo “pragmatico” (“un pragmatista, in altre parole, è interessato a questioni di metodo o di fine nella misura in cui la loro risoluzione porta ad agire con profitto ed efficacia, attraverso un continuo rimando a premesse e circostanze concrete”). Se, ascoltando il mio corpo, riesco a percepire (sentire) che l’essenza del mio benessere individuale si dis-loca nel corpo che la natura mi ha dato, cercherò in ogni modo di assecondarlo. Non mi propongo di attraversare territori evolutivi, ma di sostare esattamente dove sono, assumendo al contempo un ottica diversa: cerco di ricomporre, con uno stile di vita pratico, ciò che l’idealismo aveva diviso. Mente e corpo sono dimensioni complementari e la mente può proficuamente operare solo se si pone al servizio del corpo proprio e di quello altrui. Solo se si ri-corda di essere un prodotto del corpo in evoluzione permanente.

  70. Il punto è che non c’è altro modo di descrivere quel complesso mentale-corporeo, percettivo, linguistico, ecc. che noi siamo se non attraverso il pensiero, e dunque il linguaggio, e dunque facoltà eminentemente catalogatrici ed astraenti. Si tratta di capire se siamo anche in grado – attraverso questa descrizione, conoscenza, ecc. – di retroagire, trasformare, modificare, e quanto siamo in grado di farlo, o se sia del tutto illusorio, poiché il corpo ha spinte proprie necessitanti. La filogenesi è esattamente questo lungo e diveniente processo.
    Sono d’accordo sull’ipertrofia e patologia occidentale – che però è ora soprattutto comunicativa e, appunto, “verbosa”, senza però spesso avere alcun solido retroterra conoscitivo. La conoscenza non è verbosità e necessita piuttosto di un ritorno a sé e di un ascolto attento di se stessi, delle proprie pulsioni, ecc. Necessita innanzitutto di meditazione, solitudine, introspezione, silenzio. Altrimenti si fa vano chiacchiericcio.

  71. Nella realtà in quanto tale, Vincenzo, a tutti gli effetti è compreso anche il linguaggio. Voglio dire, non è che ad un certo punto puoi escludere il linguaggio. Certo, si può scegliere di restare muti, zitti, in silenzio, o dire meno, o tacere. Oppure si può scegliere di esprimere ciò che sentiamo-pensiamo con poesie, o con il bel canto, se ci riusciamo, anziché con pensieri farraginosi o oscuri. Ma anche, se ne parla, tramite il linguaggio, appunto, per cercare di esprimersi in modo più chiaro, preciso, e comune, si spera. Dire le cose col suo proprio nome, oltre che per cercare d’intendersi e di mettersi in accordo. A che scopo, altrimenti? Certo non per modulare gorgheggi, a parer mio, visto che non siamo usignoli.
    È parlando che rielaboriamo e ricreiamo di continuo la realtà del mondo umano (nonché le relazioni fra gli uomini), dal quale il linguaggio non può essere (per lo meno non mi pare, ancora) escluso.

  72. @Vincenzo
    … si possa vedere la mente in opposizione al corpo.”
    E, infatti, sostengo che la mente è una protesi del corpo, di cui il corpo si serve per sopravvivere.
    Per il resto: piena sintonia.

    @Md

    ” .. di descrivere quel complesso mentale-corporeo, percettivo, linguistico, ecc.”
    Io non intendevo “decrivere” ma far con-dividere un “sentito” sulla mia pelle. “Un sento, quindi esisto” non un “penso (descrivo) ..”.
    Un cinguettio per orecchie che vogliono ascoltare. Poi, ovviamente, anche ammutolendomi, continuo a “sentire” con buona pace del pensiero “formalizzato”. Il guaito di un cane comunica un pensiero? no, solo una sensazione sgradevole. Comunque, viva gli autistici, che “sentono”, ma, non potendo comunicare, si sottraggono al giudizio del mondo categoriale.

  73. @Carlo: in prima istanza il guaito di un cane comunica quel che tu dici. Ma noi siamo “forme di vita” che si sono costruiti seconde, terze e ulteriori istanze, che su quel “sentito” sgradevole costruiscono sempre altro. Un poeta, ad esempio, tradurrebbe quel sentire in altri “sentire”, ma per farlo avrebbe bisogno dell’astrazione delle parole. Sentire, percepire, pensare (e ri-sentire) è un unico processo non scindibile (il pensiero lo categorizza e scinde, ma sa anche che è unitario). Vita e pensiero sono un unico processo – tra l’altro non solo la proliferazione del pensiero può essere “dannoso”, anche quello della vita…
    Gli “autistici” sono una delle tante “forme di vita” – oltretutto è il pensiero catalogante che, daccapo, li definisce quali “autistici” e “forme di vita”.

  74. @Rozmilla
    Ma in verità, non mi pare che il problema stia nell’includere il linguaggio nel reale, il che, scusami, mi pare ovvio, quanto l’opposto, che taluni pretendono di fare coincidere la realtà col linguaggio. In questo caso, si passa indebitamente da un piano simbolico a uno reale, tra cui ci sarà sempre inevitabilmente uno iato incolmabile.
    Si tratta di capire che noi possiamo, e dobbiamo come ben dici tu, tentare di avvicinarci quanto più possibile al reale, sapendo dall’inizio che la cosa ha un andamento asintotico, direbbe un matematico, si tratterà comunque di un processo di approssimazione mai del tutto soddisfacente.
    C’è all’opposto chi parte come dato iniziale e scontato che quel suo punto di vista linguistico coincida inevitabilmente con la realtà.
    C’è chi pensa che inevitabilmente coincide, c’è chi come me, pensa che invece inevitabilmente differisce, mi pare che si tratti di una visione opposta.

  75. @Vincenzo: non ti sei mai espresso così bene – ovvero io non sono mai riuscita a comprendere così bene quello che intendi a proposito di realtà e linguaggio, che in questo caso è abbastanza congruente con quello che intendo anch’io.
    È bello quando ci si capisce – vero?
    Quindi condivido che fra la Realtà e il linguaggio ci sarà sempre uno iato, più o meno colmabile – o incolmabile, come dici tu.
    Mentre la realtà umana, ovvero le costruzioni umane, penso che in ogni caso siamo noi a “costruirle” (e ad averle costruite) col pensiero-linguaggio. Costruzioni, intese come modi e sistemi di pensiero, significati, istituzioni, simboli, morali, etiche, valori, eccetera
    Grazie Vincenzo 🙂

  76. @Vincenzo anche se mi snobba ma questo è il destino di ogni tafano e persona superiore…

    …tutte sciocchezze quelle che scrive sulla realtà , poichè lei descrive, tramite il linguaggio, qualche cosa che sarebbe nulla , cioè qualche cosa di mitico , e cioè dove è e cosa è … e lei insiste , lei vorrebbe qualche cosa di diverso e cosa è quel qualche cosa di diverso , regressus ad infinitum per lei che vuole il nulla, troverà sempre il modo di porre una frattura e di combinare poco o nulla….
    come il fotografo che scatta la foto ad un Leone e dice, si ma io non sono il Leone e nemmeno la macchina fotografica e nemmeno la pellicola e nemmeno la foto è il Leone… sa cosa le svelo ora ? che nemmeno il Leone è il Leone.

  77. …ho letto ora sul “corriere della sera” Severino (il suo ultimo libro, per ora)che ancora ci mostra il destino dell’uomo e del mondo.
    Che la tecnica abbia ormai potere assoluto sull’uomo e ne determini il suo destino è una affermazione che ormai è diventata un luogo comune chiacchierato si può dire da tanto tempo.
    Il problema non è se Severino dica la Verità e abbia ragione per le cose che dice come tanti oramai senza avere mai letto Severino dicono anche loro da sempre. Ma semmai che Severino è troppo realista, non va oltre la ovvia constatazione di un dato di fatto che tanti riconoscono come un un dato di fatto (la tecnica eccetra)
    Nel suo modo oracolare Severino, gratta gratta, dice cose ormai banali e scontate e dette e ridette e che non rivelano nulla, forse è questo che le rende inconfutabili, a partire dal dire che tutto è.

  78. sì filosofiazzero, l’ho letto anch’io e concordo – evidentemente si tratta di “onorare” il contratto della linea divulgativa con la Rizzoli – un colpo (specialistico) all’Adelphi e un altro (per le masse) con la Rizzoli.
    Le cose che scrive in questo “Capitalismo senza futuro”, a proposito di Tecnica, Apparato, ecc., le scriveva già nei primi anni ’80 in “La filosofia futura”. Già dato, già letto, già digerito. Ora andiamo oltre.

  79. Carlo:
    forse nemmeno io mi sono spiegato bene. Quando dicevo lo ZEN non è che io volevo dire che io sono un patito di tecniche dell’estasi che trasformano l’uomo in cadavere (in pratica).
    Volevo solo accennare all’allontanamento dalla teoria propria di quel tipo di buddismo cinese giapponese. Che è tutt’altro che la negazione della vita, anzi! Pensavo a quando i maestri buddisti ripondono alle domande troppo “pensate” dei discepoli con una bastonata in testa!
    Per questo consiglio la lettura del libro di Jack Keruac “I vagabondi del dharma”

  80. Nessuno nega che ci sia un ente in carne ed ossa al quale abbiamo dato il nome di “leone”, e che tutti quelli che sanno cos’è un leone, chiamano con quel nome. Per cui possono dire: Uh c’è un leone! ed eventualmente darsela a gambe (nel caso quel leone sia libero nella savana, se non vogliono correre il rischio di essere sbranati).
    Ma:
    una cosa è il leone;
    altra cosa è la parola “leone”;
    altra cosa ancora è una fotografia o il dipinto che ritrae un leone;
    altra cosa ancora sono io che guardo il leone chiuso in una gabbia;
    altra cosa ancora è un Tizio che vede un leone libero nella savana che gli si avvicina.

    Sini usava questa spiegazione molto semplice per far comprendere ai suoi allievi la differenza fra la parola e la cosa nominata: e cioè,
    che la parola “acqua” non bagna,
    come la parola “fuoco” non brucia,
    esattamente come la parola “leone” non sbrana.

  81. tutto vero, tranne quella ricerca spasmodica del nulla che c’è , poichè il nulla non c’è.
    Per Fiolsofiazzero: certo che ciò che i filosofi portano in luce con il tempo per il senso comune divengono banalità, ma è altrettanto certo che prima di diventarlo a galla ce le portano i filosofi quelle cose che prima erano a fondo. Prima di diventare banale che il sole sorge e cala era banale che entrava e usciva dal nulla. Oggi chi discuterebbe mai che il sole quando non lo vediamo esiste comunque, nessuno , però qualcuno , anzi molti si disperano perché dovranno morire.

  82. Non è poi così banale il non disperarsene… E’ compito dei filosofi come Severino l’indicarci perché invece è banale il farlo.

  83. Alessandro Vaglia:
    …per quanto riguarda il disperasri di dover morire il discorso
    è che, qualsiasi cosa uno creda, o non creda, il terrore della morte ci può essere o anche no (forse). Ma questo di non aver paura, o di non dipserarsi , non dipende dal credere o meno a qualcosa.Così potrebbe disperarsi un cattolico o un atomista ateo o anche lo stesso Severino non sappiamo se dentro di sé abbia paura si disperi o altro (nessuno può saperlo, di un altro, di un altro possiamo sapere solo quello che lui dichiara).Nemmeno di Alessandro Vaglia o filosofiazzero o simili gli altri possono sapere.
    Io credo che parecchio dipenda dal carattere: c’è chi riesce a affrontare le cose con più o meno freddezza e chi si spaventa, chi patisce e chi no. Anche nei confronti delle malattie si possono osservare reazioni diverse, a seconda delle persone.

  84. @filosofiazzero
    Bene, allora concordiamo.

    @Md
    Noi senza dubbio possiamo costruire “altro”, ma possiamo anche non farlo. Siamo “liberi” e, quindi, sui sentieri della vita “contingente” possiamo imboccare strade “diverse”. Possiamo chiuderci nella cittadella del pensiero, facendo rimbalzare i concetti astratti da una parete e l’altra, incistati nella parte sinistra del cervello. Oppure possiamo sdraiarci sulla sabbia di un’amena riviera, ascoltando il dolce suono della risacca, ad occhi chiusi, con accanto l’amato cagnolino scodinzolante.

  85. Beh Carlo, ma io non le pongo come alternative inconciliabili. Personalmente la mia vita – “libera” con tutte le virgolette del caso – è un andirivieni tra l’astratta ed austera cittadella e l’amena riviera (magnifica immagine, peraltro) che tu evochi!

  86. @rozmilla: ecco, l’ho trovato, c’era un brano di Canetti sulla postura molto interessante (che tra l’altro attiene anche alla questione del “potere”):
    “Bisogna sdraiarsi per terra fra gli animali per essere salvati. La posizione eretta rappresenta il potere dell’uomo sugli animali, ma proprio in questa chiara posizione di potere egli è più esposto, più visibile, più attaccabile. Giacché questo potere è anche la sua colpa, e solo se ci sdraiamo per terra tra gli animali possiamo vedere le stelle che ci salvano dall’angosciante potere dell’uomo”.

  87. Ecco, questo è il centro della filosofia di Severino e vedo che non è poi così evidente, come prima appariva dalle sue parole filosofiazzero, il centro è: abbiamo noi il terrore causato da trauma? Si, risponde necessità tramite il filosofo Severino, l’uomo ha terrore sempre e non dipende, questo più o meno terrore, che dalle soluzioni intraprese per sedarlo questo terrore e la sua intensità. Allora, quando lei dice , terrore può esserci o meno, ci può essere o anche no ( forse) , beh con quel forse si salva in corner, poichè non esiste che non ci sia terrore, ma non esiste proprio nel solco delle parole sopraddette.Poi dice…Ma questo di non aver paura, o di non disperarsi, non dipende dal credere o meno a qualcosa… E da cosa dipende allora? Lei dice dal carattere, ebbene dal carattere dipende la,forza con cui noi ci opponiamo al colpo o lo subiamo, ma il colpo esiste e anche la forza con cui lo contrastiamo… A questo servono i filosofi. in fondo, di fronte alla morte, per i mortali, il colpo è insopportabile, la morte, a seconda dei rimedi proposti dalla cultura… Quella greca occidentale, fondata sul nichilismo e sul credere che le cose vengano dal nulla per tornarci è ciò che di più terrificante esista…Questo cerca di spiegare da 50 anni Severino.

  88. Ora non allargarti troppo, Md., e andiamo per gradi. Prima vediamo se riusciamo almeno a sederci, fra di noi, animali umani. Per sdraiarci, poi vedremo … (ma non farti illusioni: non riuscirai mai a convincermi a sdraiarmi con serpenti, scorpioni e ramarri, mai e poi mai, che m’è bastato essermi sdraiata con animali umani ;-). E che se insisti piuttosto vado anch’io con Carlo sulle amene rive)
    [Ps: dopo magari arriva la risposta ‘seria’ …]

    @Alessandro: ah, beh, allora …

  89. Lei ci può anche ridere sopra Rozmilla, ma al mio cospetto il suo riso è quello del condannato alla sedia elettrica che è, nolente, spettacolo involontario di un pubblico molto familiare e deve, per questo, sostenere la parte dell’uomo tutto d’un pezzo… È che a me tocca il compito ingrato ( quello del filosofo) di dirle tutto quello che sta avvenendo alla sua persona, i polsi stretti in cinghie di cuoio, il caschetto,il reggi polsi, ecc…quando vorrà cominciare ad analizzare sul serio il suo ingrato destino, mi faccia un fischio, non mancherò di consolare anche lei…

  90. Ragusano:
    …la paura non è paura del nulla, o che altro, ma di morire!
    I cristiani, ad esempio, che affermano credere nella vita eterna, ci hanno forse per questo, tutti loro, meno paura di morire?

  91. Tutte forme diverse di una stessa paura, la paura di essere colpiti, il Cristiano ha come rimedio Dio, l’uomo moderno ha la tecnica, un Dio più rigoroso e pratico del Dio cristiano. Giusto, la paura non è paura del nulla, quando il nulla non c’è e non vi è per questo alcun motivo di temerlo… Ma se noi crediamo ( e vedi che allora il credere c’entra eccome) che le cose vengano da un nulla così terrificante, poiché l’estremo opposto dell’essere come esistere, per poi tornarvici ( nichilismo), che bada bene filosofiazzero e tutti gli altri, ne siamo, chi più e chi meno consapevolmente, immersi, allora eccome che dobbiamo temerlo questo nulla inesistente, ma che volontà nichilista crea e vuole e vuole per dominare le cose così configurate.

  92. …Severino ha inventato anche la pura di morire? Ha inventato i lirici greci che invitavano a bere tanto vino per non pensare alla vecchiaia e alla morte? Ha inventato le ombre dell’Ade che rimpiangevano no la luce del sole e i colori della vita?No, non ha inventato nulla,(ha inventato, ma non è una invenzione originale) il parlare difficile, (è questo che è insopportabile, la pretesa di un parlare sovrumano)i (ma è forse proprio questo che lui pretende, di essere sovra-umano, così da porsi altrove che le nostre paure di babbuini tecnologici)(ammettendo che lui non non avesse paura)
    (che non è dimostrabile) (chiudo le parentesi)!!!

  93. ingegnosa disamina quella di Martino. E’ solamente un poco nichilista nell’ultima parte congegnando fratture inesistenti e donando un’aurea di fede alla ragione e così facendo contraddicendola.

  94. “Il mondo è febbricitante, l’entropia generale in costante accelerazione. La freccia del tempo ha dilatato lo spazio. La temperatura del nulla è incandescente. L’uomo è vicino all’ultima metamorfosi, ma prima di annegare la coscienza nella vita del batterio deve completare la separazione e diventare Dio. ”

    Un altro ulteriore esempio (se non bastassero i tanti) della smania di essere ganzi!!!

  95. @filosofiazzero
    quando non c’è ragione può esserci solo fede, quelle parole che riporti mancando di un costrutto ragionevole sono da prendere per come sono riportare, per fede appunto.

  96. vuoi che te lo mostri ?
    “il mondo è febbriciante” non esiste, hai mai visto un mondo che si prova la febbre ? l’entropia non accelera e non decelera è uno stato.”La temperatura del nulla” si contraddice da sé, poichè già non esiste il nulla figuriamoci il fatto di potergli misurare una temperatura, non c’è bisogno d’altro… “l’uomo è vicino all’ultima metamorfosi” in senso figurato o in senso apocalittico ? e poi la metamorfosi come tale non può essere un’ultima o una prima, altra contraddizione… “la coscienza nella vita del batterio deve completare la separazione e diventare Dio” è qui, in sede di ragione, indefinibile…

  97. Naturalmente, l’esistenza di una realtà non è dimostrabile, ma io ne postulo l’esistenza, è un postulato che espongo in vetrina senza fingere che non ci sia, evito insomma di farne un assioma, è solo un postulato che le persone con cui interloquisco hanno pieno diritto di non accettare.
    Epperò, se rifiutano di postulare l’esistenza della realtà, si condannano inevitabilmente al solipsismo, ogni altro punto di vista richiede dei postulati, e non accetterò che dei furbetti me li spaccino per assiomi.

  98. l’ho visto ieri sera..
    un dramma che fa male trovarsi di fronte, di cui si ignora ancora molto.
    qualcosa che credo sia giusto rimanga nell’intimità dell’individuo perchè assolutamente privato.

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