Non è un bel vedere. Sbava ed è tutto accartocciato sulla sua carrozzina. La donna che lo sta assistendo mi dice che ha 14 anni, ma di età mentale non più di 9 mesi. Oltre ad avere questa malformazione genetica, ha avuto grossi problemi gastrointestinali ed è per di più diabetico. Insomma, è vivo per miracolo. Lei gli accarezza i capelli e lui si strofina sul suo braccio. Poi il ragazzo fa una cosa inaspettata: si rivolge a me e mi tocca la mano, in segno di affetto – dice lei. Io non so cosa pensare.
Qualche minuto dopo, mentre faccio la mia passeggiata quotidiana, vengo assalito da una tempesta di pensieri e di emozioni. Pensieri che bruciano e lacrime che sono sul punto di cadere – anche perché…
…c’è stata una fase della mia vita – qualche decennio fa – nella quale ho avuto profondi convincimenti eugenetici. Il monte Taigeto (ammesso sia vera quella crudele usanza spartana) – naturalmente in forma sterile e medicalizzata – mi sembrava una buona e radicale soluzione al problema dell’handicap, delle malformazioni, e a tutto quel complesso drammatico che talune nascite si portano dietro.
Oggi mi vergogno profondamente di quei miei pensieri. Intendiamoci: la donna (o i genitori) che dovessero decidere di non far nascere un futuro bambino con gravi malformazioni, hanno e avranno sempre la mia piena solidarietà – oltre alla condivisione razionale. E non potrò mai perdonare tutti quei porporati e sepolcri imbiancati che da anni strillano contro l’aborto, come se non fosse un dramma per una donna sopprimere una vita che ha in grembo. Ma che ne sanno loro? (e del resto nemmeno io so, posso solo immaginare, com-patire).
Ad ogni modo il fondo nazista dell’eugenetica è più che evidente: essa si basa su una precisa concezione gerarchica delle forme di vita, di ciò che è normale o anormale, abile o disabile, degno o meno di vivere. Il diritto di scegliere consapevolmente se far nascere una nuova vita non è più in questione (è un dato acquisito di un millenario processo di civilizzazione) – ma una volta nata quella è una forma di vita al pari di tutte le altre. Certo, stabilire che il confine della decidibilità si pone lungo il crinale (e le doglie) del parto è una mera convenzione etica, politica e sociale. Così come che a decidere prioritariamente debba essere la donna – ma è la legge storico-evolutiva e perfettibile e mai data una volta per tutte degli umani a non poter fare a meno di stabilire che così dev’essere. Altrimenti chi? D’altro canto, una volta superata quella soglia convenzionale, chi mai – spartano o nazista o eugenista – potrà decidere se sopprimerla? Sulla base di quale ragionamento o convincimento etico? Ecco perché, tra l’altro, non credo possibile consentire l’eutanasia se non a chi abbia la possibilità di deciderla razionalmente ed autonomamente (o preventivamente, tramite una chiara espressione della propria volontà in merito).
Mi verrebbe da dire che, una volta presa la decisione di far nascere qualcuno, questo qualcuno – entrato nel cerchio dell’apparire (un apparite tutto sociale) – detiene un diritto assoluto ed irrevocabile all’esistenza, un diritto che si fonda su un preciso statuto ontologico (ontologico-sociale), quello che un certo pensiero bioetico deriva dal concetto spinoziano di “forma di vita”.
A tal proposito, Spinoza scrive nel Trattato politico: «Se dunque in natura qualcosa appare a noi ridicolo, assurdo o cattivo, ciò deriva dal fatto che conosciamo le cose solo in parte e ignoriamo l’ordine dell’intera natura e la coerenza del tutto». Del resto lo stesso piano ontologico delineato nell’Etica – un piano quantomai orizzontale ed immanente – comporta la destrutturazione di ogni forma gerarchica una volta assunta la posizione sub specie aeternitatis. Roberto Esposito, che ho già citato altre volte, raccoglie questa eredità interpretando in modo dialettico tale posizione di Spinoza circa il rapporto tra vita e norma: «Non svolgendo né un ruolo trascendente di comando né una funzione prescrittiva rispetto alla quale stabilire conformità e difformità, la norma si costituisce così come il modo singolare e plurale che di volta in volta la natura assume in tutta la gamma delle sue espressioni». E così le forme di vita, plurali e divenienti, si danno le loro proprie singolari norme, all’interno dell’unico piano immanente ed intangibile dell’esistenza e dell’essere.
Se il discorso filosofico in teoria può funzionare, ciò non toglie che, da un punto di vista etico, ma soprattutto giuridico, si pone la questione dell’indecidibilità. Ci sono casi nei quali – in assenza di forme di espressione razionale della volontà – occorrerà prendere una decisione: la legge, lo stato, i medici, i preti, la famiglia, tutti si affollano a dire la loro, andando a costituire un groviglio etico-giuridico non dirimibile. Di fronte al quale, tra l’altro, la forma di vita resta muta. Sa solo dire il suo esserci ed essere viva e voler continuare a vivere. Nient’altro. Lasciandoci disarmati e paralizzati.
Il cristianesimo adora la nascita – ma anche molti non cristiani, tra cui il sottoscritto, la ritiene il luogo simbolico (e persino utopico) delle possibilità e dei mutamenti. Però immaginiamoci per un momento che nella mangiatoia si venga a trovare una qualunque delle forme di vita, non per forza con le fattezze del bambinello biondo e paffuto dell’iconografia occidentale (che poi Gesù sarà stato di sicuro olivastro, corvino e con gli occhi scuri). Immaginiamocelo sbavante e farfugliante, come la creatura di cui ho parlato sopra, adagiato in una carrozzina, bisognoso di cure continue e senza alcun messaggio da recare all’umanità, se non il suo banale esserci. Non sarà la via, né la verità, ma di certo è la vita. Pura e nuda vita.
“pura e nuda vita” (è terribile!)
No, è pura e nuda.
“Se dunque in natura qualcosa appare a noi ridicolo, assurdo o cattivo, ciò deriva dal fatto che conosciamo le cose solo in parte e ignoriamo l’ordine dell’intera natura e la coerenza del tutto”.
Rifletto: la nostra personale, soggettiva rappresentazione della realtà fenomenica (ridicolo, assurdo o cattivo) è congruente con la qualità delle nostre capacità cognitive e con il livello di conoscenze/sensibilità acquisite nel corso della vita. Ignorando, di conseguenza, “tante cose” non possiamo ragionevolmente pensare che esista in natura “necessariamente” un “ordine” e una “coerenza del tutto”, pre-confezionate da una improbabile “mano invisibile”. La vita fisica e/o biologica potrebbe non avere alcun senso. Appunto: un banale esserci, pura e nuda vita. Un postulato da non sotto-valutare. L’Etica è disciplinata dalle categorie del contingente e dell’opportuno, strettamente dipendenti dai processi evolutivi e meta-storici in fieri.