Tris cinefilosofico – 2. Django (scatenato)

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Pòlemos è padre di tutte le cose, di tutte è re;
alcuni dimostrò dei e altri uomini,
alcuni fece schiavi e altri liberi.

Non mi ero mai soffermato sull’evidenza che s-catenato fosse costruito sulla parola catena (il linguaggio funziona anche così, in maniera impensata, ed anzi è bene che sia così, altrimenti saremmo sempre bloccati ed impigliati nella sua infinita semiosi). Mi è venuto in mente a proposito dell’unchained del film di Tarantino, il Django la cui D rimane muta (come due volte ci viene detto nel film).
Pare si tratti della seconda puntata di una grande Trilogia sulla storia, il cui primo atto fu quell’esaltante ed antinazista Bastardi senza gloria, del quale già ebbi a scrivere, specie per la filosofia dell’immaginazione storica ad esso sotteso.
Anche questa epopea schiavistico-western, ambientata nel Sud degli States un paio di anni prima della Guerra di Secessione, si ispira al medesimo schema: togliere un’ingiustiza dalla sua fissità e destinalità storica, e metterla in dialettico movimento, conferendole una possibilità (anche a posteriori) di riscatto. Certo, si contravviene alle tesi di Benjamin o di Adorno circa la irrecuperabilità delle perdite e la irredimibilità dei torti, una volta avvenuti  – ma qui ci troviamo in campo estetico, non storico-filosofico e nemmeno etico, anche se il risultato è sommamente etico-politico.
Queste alcune suggestioni sparse post-visione:

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