Vita sgombra

(pubblico qui la traccia del mio intervento introduttivo all’incontro del ciclo dei “Lunedì filosofici” dedicato al silenzio e alla meditazione; alcune riflessioni in proposito erano già apparse in precedenza su questo blog)

1.
Il concetto di silenzio (ammesso che designi qualcosa di definito ed oggettivo) deve essere analizzato da punti di vista molto diversi tra di loro: fisico-scientifico, ambientale, sociale, urbanistico, religioso-mistico, psicologico, estetico, ecc. Uno sguardo quantomai multidisciplinare, difficilmente riconducibile ad una sintesi unitaria, e che rischia comunque di non esaurirne le molteplici implicazioni.
Vi è anche un “silenzio della politica”, ma di questo parlerò solo al termine.
E poi – da non dimenticare e però di tutt’altro genere rispetto a quello che tratteremo qui – un silenzio negativo o imposto.
Noi proveremo a scavare un po’, e ad andare alla ricerca di un silenzio più essenziale, radicale, filosofico.

2.
Per cominciare ci serviremo di una divagazione e di un esempio.

a) Partiamo dalla digressione. Si tratta di alcune riflessioni di Hans Magnus Enzensberger tratte dalla raccolta Zig Zag. Saggi sul tempo, il potere e lo stile, pubblicata a ridosso del crollo dell’impero sovietico e dei vari sommovimenti europei degli anni ’90. Vi sono in particolare due considerazioni che trovo di grande interesse:
-l’auspicio di un’epoca della ritirata, della smobilitazione, della de-stituzione: il mondo, a parere di Enzensberger, non deve più essere rimaneggiato e trasformato, quanto piuttosto risparmiato (una raccomandazione che emergerebbe dall’esito stesso, peraltro irrisolto, della storia tragica del Novecento);
-il profilarsi di una nuova concezione del lusso: in una società oberata di oggetti (spesso alla portata di molti se non di tutti), i beni più preziosi ed elitari diventano il tempo, lo spazio, la concentrazione, la tranquillità, l’ambiente pulito. Il silenzio rientra sicuramente in questa nuova categoria di beni scarsi e preziosi, secondo un’ottica che presta più attenzione allo stato esistenziale anziché agli oggetti posseduti, alla qualità piuttosto che alla quantità.

b) Serviamoci ora, a titolo di esempio, della musica e del suo rapporto con il silenzio:
la musica non solo nasce dal (e muore nel) silenzio, ma è trafilata, penetrata, traforata di silenzi (anche se spesso impercettibili): potremmo quasi dire che vi è un silenzio diffuso in qualità di elemento primario, entro cui si costituisce la materia sonora come elemento secondario; d’altro canto, il pezzo sperimentale 4’33” del musicista americano John Cage tende a rovesciare questa prospettiva, intessendo i quattro minuti e trentatré secondi (probabilmente interminabili) del brano, di tutti i suoni e rumori inevitabilmente prodotti dall’ambiente; e del resto un’assenza assoluta di suoni e rumori (compresi dunque, nelle condizioni migliori di quiete, quelli provenienti dal nostro corpo) viene praticamente a coincidere con il silenzio della morte (e dunque l’assenza di percezioni); tutto ciò ci dice che suono (o rumore) e silenzio sono semmai interconnessi, non c’è l’uno senza l’altro. Per lo meno così è ontologicamente, in origine. Ma questo ci riporta ai primi filosofi…

3.
… e ad una concezione duale, oppositiva, dialettica del mondo e della vita (ed anche della società): i grandi pensatori greci (da Anassimandro a Eraclito, da Pitagora a Empedocle, e fino ad Aristotele), pensano sempre ad una realtà fatta di contrari.
E che, se così non fosse, sarebbe squilibrata e disarmonica – irrazionale, insensata.
Il giorno e la notte, la vita e la morte, il sonno e la veglia, la pace e il conflitto, pari e dispari, il maschile e il femminile, il secco e l’umido, l’amore e l’odio… tutti questi opposti si tengono, entrambi devono presentarsi, pur giustapposti, sulla scena del mondo, ed anzi vi deve essere la loro rotazione, pena l’incepparsi del funzionamento della natura (ed anche della società umana).

4.
Ciò vale anche per il pieno ed il vuoto – e dunque, per il rumore e il silenzio.
Le nostre società, alla luce di questo antico ragionamento, avendo allontanato i vuoti e i silenzi, sarebbero squilibrate e disarmoniche. E dietro il loro “pieno” di oggetti nascondono in realtà un vuoto di senso.
Ma il vuoto (il silenzio, l’assenza) sono condizioni indispensabili e necessarie affinché possa sorgere la meditazione sul mondo e sul senso della vita.

5.
Farò un’altra digressione.
Qualche settimana fa mi è capitato di commentare con una classe di bambini di 10-11 anni un albo illustrato, che fa parte di una collana filosofica francese, intitolato Il senso della vita. Vi si prospettano delle alternative, a mo’ di scelte personali, sulla conduzione della propria esistenza (potremmo anche definirli “stili di vita”, come usa dire oggigiorno): c’è chi la preferisce problematica chi divertente, chi attiva chi oziosa, qualcuno prende tutto sul ridere e qualcun altro troppo sul serio, chi sogna e chi accetta la realtà per quella che è, qualcuno fa quel che gli pare mentre altri preferiscono ordine e regole, e così via.
Giorgia è rimasta colpita dalla seguente frase e concezione: “c’è qualcuno che pensa che la vita sia bella perché ci sono tante cose e chi pensa che la vita sia bella perché ci sono meno cose”.
Al che ho chiesto: ma voi pensate che sia preferibile una vita ingombra o sgombra? Qualcuno ha risposto ingombra, mentre qualcun altro ha preferito l’altra idea, usando il termine “più spaziosa” (si pensi al lusso di cui parlavamo poco fa). Sempre Giorgia ribadisce che: “se ci sono troppe cose intorno ci confondiamo”; ma – soprattutto, e qui sta la sua grande perspicacia – “è come se ci prendessero in tutto il nostro corpo, quindi preferisco poche cose”.
Le cose non solo tolgono spazio alla nostra vita, ma addirittura pregiudicano la nostra libertà di scegliere, opprimendoci ed occupando (possedendo) la nostra mente.

6.
Però, una volta rivendicata e recuperata una dimensione silenziosa, ammesso che ciò sia possibile, che cosa ce ne facciamo? Si tratta cioè di una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, che oltretutto richiede non solo il silenzio esteriore, ma anche quello interiore.
Io penso che si debba innanzitutto indugiare in questo silenzio, riassaporarlo per quello che è (l’altro lato del pieno: l’assenza, il vuoto, il deserto – se si vuole, una sorta di immagine anticipata della morte), non aver fretta di uscirne o di mettersi a “fare” (anche pensare è un fare, un’attività).
Ecco perché ritengo che persino la noia possa essere un’esperienza interessante. Solo da questo “sgomberare il campo” può sorgere una nuova modalità di riassaporare la vita. E solo questa è la porta (strettissima) che conduce alla meditazione che è, per certi aspetti, un mettere il mondo tra parentesi, quasi un isolarsene. Ed un contemplarlo da lontano, nella sua disinteressata totalità (quasi un disinteresse reciproco, per quanto fittizio).

7.
Di nuovo ritorna utile il concetto di straniamento: estraniarsi, guardare di sbieco e da lontano, per meglio comprendere.
Tra l’altro è questo, paradossalmente, un requisito essenziale della democrazia: se la dimensione politica è oberata di parole (sempre più spesso false, rozze, urlate), così come il mondo è ricolmo di oggetti, di cose da fare, tutto senza tregua e senza soluzione di continuità – come si può pensare di poter decidere se non c’è la calma necessaria a riflettere, ponderare, valutare?
Non basta “il silenzio dell’urna” (che anzi, sempre più spesso diventa il silenzio tombale della politica): occorre riappropriarsi di momenti quotidiani, garantiti e continui, in cui ci sia spazio e tempo per avere la vita e la mente il più possibile sgombri (di cose, di merci, di impegni, di oggetti, di pensieri ossificati, delle strutture predeterminate nelle quali ci troviamo ingabbiati prima ancora di nascere). Abbiamo – paradossalmente – bisogno del nulla, per non diventare nichilisti!

8.
Infine, vi è l’ascolto: non si può ascoltare (l’altro che parla o il suono dell’essere) senza aver fatto prima silenzio, e senza essersi a propria volta ascoltati. La voce – dell’io e dell’altro – nasce da questo profondissimo silenzio, e in quel silenzio ritorna – ed è solo così che le cose prendono forma e riprendono ad avere senso.

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

3 pensieri riguardo “Vita sgombra”

  1. A mio parere uno dei post più intensi da molto tempo a questa parte. Probabilmente e soprattutto perchè mi sento pervaso dal bisogno di silenzio. Esteriormente ed interiormente.
    Grazie.

  2. “Noi siamo ciò su cui manteniamo il silenzio” (S. Marai, Le braci) il silenzio come riconoscimento di un pieno che non si può dire. Il vuoto come riconoscimento di un eccesso di parola o “chiacchiera” (di heideggeriana memoria)

  3. Rischiavo di smarrirmi stamane, all’ospedale di Legnano. Qualcuno, in procinto di sottoporsi a una cura vitale e dura più del granito, ha allora pensato bene di condurmi nella “stanza del silenzio” (nel nuovo ospedale c’è, sappiatelo!). E lì al centro c’è un labirinto di acqua. Paradossale, no? Smarrirsi per poi ritrovarsi dentro a un labirinto.
    C’è da pensarci per giorni e giorni. E da dire al caro amico sofferente che scenderemo nel labirinto con lui, e che non lo perderemo mai di vista.

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