Irrappresentabilità

«L’autocoscienza – scrive Hegel nella Fenomenologia dello spiritoè in e per sé in quanto e perché essa è in e per sé per un’altra; ossia è soltanto come un qualcosa di riconosciuto». Seguiranno a queste parole le celebri pagine sulla dialettica servo/signore, che sono una vera e propria fenomenologia del lavoro e del conflitto sociale, dove però al centro di tutta l’intenzione hegeliana rimane la categoria del reciproco riconoscimento: esser-per-sé (e non essere indifferentemente ed immediatamente un «esser calato [dell’autocoscienza] nell’espansione della vita», è il contemporaneo operare dell’io e dell’altro, che in quanto tali si riconoscono pur attraverso la lotta per la vita e per la morte.
Al di là dell’attuale ed epocale crisi della rappresentanza politica (che è crisi del senso stesso della politica che non sa decidere/risolvere/sciogliere alcunché, che pare dunque girare a vuoto), c’è una non-rappresentazione che rasenta l’irriconoscibilità e irrappresentabilità di segmenti sociali sempre più vasti. Minoranze senza voce, disagio e povertà culturale, marginali, disperati, poveri (spesso impoveriti), naufraghi del modello della famigliola nucleare felice e realizzata: nuove figure, insomma, di quel che Enzensberger aveva definito a suo tempo “perdenti radicali“.
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