Ho letto di recente Il caso Eddy Belleguele, che pare abbia spopolato in Francia. Qualche tempo fa avevo letto, di John Williams, Nulla, solo la notte. Un accostamento improprio, data la lontananza geografica, culturale, tematica, stilistica. Eppure: sarà che ultimamente vedo e percepisco straniamenti ovunque, trovo che entrambi questi brevi romanzi – oltre al contenuto della violenza che li lega – siano caratterizzati proprio dalla loro forma straniante.
Nel caso dello scrittore americano, in maniera praticamente dichiarata ed oltranzista (come del resto era già avvenuto in Stoner): il sogno con cui il racconto di Williams si apre, è una lenta messa a fuoco del fenomeno straniante per eccellenza, un riconoscimento solo a posteriori che la figura al centro della scena non è un altro, ma io – eppure è come se fosse un altro, e “io” e “altro” si equivalgono proprio in questa fuoriuscita e deflagrazione del senso. Irrelatezza e separatezza – “guardandola, fu assalito di nuovo dalla coscienza dell’evidente ed essenziale separatezza di tutte le persone” – sono la cifra esistenziale dominante, in tutto quel che accade al giovane Maxley in una qualsiasi giornata californiana, dall’alba a notte inoltrata (i termini temporali della narrazione, che sono però i termini di una vita insensata ed irrelata).
Ma è il giovane scrittore francese Èdouard Louis a sputarci in faccia in modo spietato, nudo e crudo, tutta la verità, raccontandoci un’infanzia ed una prima adolescenza devastate dalla violenza, dalla separatezza, dall’irrelatezza – da uno straniamento irredimibile. Non si tratta di traumi o di casi buoni per la psicoanalisi (stupri o fatti traumatici, come assistere a un omicidio o a un suicidio), nient’affatto: è la normalità della vita di un paese della provincia francese degli anni ’90 ad essere raccontata, una normalità che è però soffocante, spietata, violenta anche se in maniera più o meno inconsapevole.
Il giovane protagonista – Eddy – è heideggerianamente gettato in questa realtà, e vive sulla propria pelle la scissione continua tra un sé che non riesce a definire e un noi che non intende accettare – quasi un duplice straniamento.
Tutto è violenza all’interno di questo paesaggio fisico e spirituale che pare quasi voler alludere ad un passato lontano che sembrava sepolto dalla modernità e dalla società ipertecnologica ed iperconsumistica, ma che in realtà esprime una dimensione intemporale dell’umanità: la comunità che vuole normare e disciplinare gli individui, e che non può non farlo in modo violento – pur senza spargimenti di sangue.
È violenta la famiglia, sono violente e brutali le relazioni con la madre, con il padre, con i fratelli; i vicini, i cortili, la scuola, i parenti, gli approcci finti con le ragazze, gli amici – è l’intera comunità ad essere un leviatano insostenibile e disgustoso per Eddy. Ogni forma mentale è ottusa, angusta, colma di razzismo e di pregiudizi. E non si tratta tanto del suo esser frocio – o del suo cercare a tutti i costi di non esserlo – ma del percepire di essere fuori luogo, estraneo, oppresso. C’è, al fondo, la dimensione sociale, la povertà, le differenze di classe, il disagio socioculturale, l’ignoranza, l’omologazione di cui parlava Pasolini. La lontananza e la non-appartenenza.
Ovviamente Eddy avverte tutto questo in maniera confusa – anche se ben cosciente della propria incomprimibile diversità, ed è forse solo per questo che non può non viverlo come violenza inaudita sul proprio corpo e sulla propria esistenza. Solo il suo sentirsi straniato – estraneo, come se si trattasse di un altro, un alieno – può in fondo salvarlo: il suo sentirsi perennemente fuori e in fuga, una fuga dello spirito che, prima ancora di attuarla in qualche modo, gli consente di circoscrivere (de-scrivere, scrivere) coscientemente ciò che gli accade.
Al termine Eddy l’alieno, l’estraneo, il diverso sembrerà aver trovato una “patria” nel collegio in città dove finalmente approda, lontano dalla famiglia, dal paese, dalla comunità – e questo nuovo mondo cui si sente appartenere per la prima volta in vita sua, gli strapperà, proprio nella chiusa del romanzo, un riso franco, senza schermi, più simile però a un lungo sospiro di sollievo:
Arriva qualcuno,
Tristan.
Si rivolge a me
Allora, Eddy, sei sempre così frocio?
Gli altri ridono.
Anch’io.
[Salvo scoprire un giorno che quella patria che lo accoglie, quel mondo nelle cui braccia si sta gettando, proprio nella sua apparente gentilezza, nella dolcezza delle relazioni, nella raffinatezza dei gesti e del linguaggio, potrebbe rivelarsi ipocrita, assurdo ed altrettanto violento del mondo da cui ha scelto (o è stato costretto a) fuggire: il suo destino sarebbe allora quello del perenne senzapatria – ma diamo tempo al giovane Èdouard di raccontarci altre storie… Del resto nella sua vita reale ha incontrato, tra gli altri, il pensiero critico di Pierre Bourdieu, del quale sembra essere piuttosto esperto: un’arma mica male contro il conformismo, l’omologazione, la violenza sociale!]
1 commento su “È, dunque, la violenza!”