«Saper godere del nostro essere così com’è è una forma di perfezione assoluta, e quasi divina. Noi cerchiamo condizioni diverse perché non siamo capaci di fare buon uso della nostra, e usciamo fuori di noi perché non sappiamo vedere quel che c’è dentro. Se pure saliamo sui trampoli, dovremo comunque camminare con le nostre gambe. E anche sul più alto trono del mondo saremo sempre seduti sul nostro culo».
È questo un quasi-testamento di Montaigne, posto com’è a conclusione dei suoi Saggi, e con cui sembra dirci che è meglio vivere «senza mirabilia e senza stravaganze» (queste le espressioni da lui usate) – cioè in una condizione piuttosto anti-filosofica e anti-straniata. In sé, non fuori di sé – che è quasi un senza sé. Essere confuso con-essere. Filosofare è allora piuttosto ritornare dal viaggio straniante di una vita, al punto di partenza, al grembo naturale – pur sapendo che quel grembo e quella natura non sono più innocenti, edenici, intoccati.
Tuttavia ripiombare di tanto in tanto col culo a terra non può che farci bene…