È un racconto tra i più belli che abbia mai letto, questa Schachnovelle di Stefan Zweig: non solo per la costruzione formale, peraltro riuscitissima (l’autore ci tiene incollati dalla prima all’ultima riga), ma anche per la particolarissima convergenza di temi. Si potrebbe pensare che il gioco degli scacchi sia un pretesto, ed in parte lo è – anche se nell’economia del racconto costituisce il filo conduttore, dal principio alla fine. Ma nella narrazione, sospesa e misteriosa e beccheggiante (tanto più che ci troviamo su un piroscafo) si inserisce una seconda narrazione, un racconto nel racconto, che costituisce in realtà il nucleo essenziale della novella.
Ed è proprio questo controracconto a precipitarci inesorabilmente nel gorgo terribile nel nichilismo nazista, e poche altre volte credo sia stato descritto in tal senso – nichilismo allo stato puro – con tale precisione.
Il dottor B., l’insospettabile sfidante della gara di scacchi che si svolge febbrilmente sulla nave, sta fuggendo dalla sconvolgente esperienza di prigionia che gli è occorsa non già in un campo di concentramento, bensì in un albergo di Vienna: egli non è un perseguitato politico o un soggetto col triangolo sulla casacca da internare, ma un agiato borghese austriaco recluso per di più in un albergo lussuoso, che viene messo sotto torchio dalla Gestapo che vuole arraffare l’ingente bottino finanziario e bancario (specie ebraico), all’indomani dell’Anschluss austriaca.
Nella mente del prigioniero si apre così l’abisso del nulla e si inserisce un frammento di follia che vi rimarrà conficcata in permanenza: il “nulla”, il “vuoto della stanza”, “l’atroce pressione” che tutto ciò comporta; “proprio questo era il loro intento: dovevo strozzarmi coi miei pensieri fino a restarne soffocato”; “nessuno può spiegare come si venga corrosi e distrutti da quel nulla, nulla, nulla che ci circonda… sempre gli stessi pensieri che ti girano intorno nel nulla, finché non impazzisci”.
Senonché ad un certo punto, un attimo prima di essere precipitato nel gorgo nero e nel vortice della follia, si presenta al dottor B. una inaspettata ancora di salvezza: rilevo qui la magnifica idea dell’aver escogitato tale “via di scampo” e cura dell’angoscia – seppur solo temporanea – utilizzando un oggetto simbolico che per Zweig doveva essere una cura esistenziale pressoché definitiva. Il prigioniero aveva tentato in tutti i modi di svagare la mente o di concentrarla su qualcosa che avesse un filo o un senso logico (osservazione e lettura di ogni dettaglio o novità, entro spazi limitati e tempi ripetitivi), ma ciò che ad un certo punto cattura e fissa il suo sguardo sta in una delle giacche dei suoi aguzzini:
“Avevo scoperto che uno dei cappotti aveva la tasca laterale un po’ rigonfia. Mi accostai e, dalla forma rettangolare del rigonfiamento, credetti di poter riconoscere che cosa si nascondeva in quella tasca un po’ sporgente: un libro! Cominciarono a tremarmi le ginocchia: un LIBRO! Per quattro mesi non ne avevo preso in mano neanche uno, ed era inebriante e insieme calmante già la semplice idea di un libro in cui si potessero vedere parole allineate una accanto all’altra, righe, pagine e fogli, di un libro in cui poter leggere, seguire e conservare nella mente altri pensieri, pensieri nuovi, diversi, capaci di distrarmi. I miei occhi fissavano ipnotizzati la piccola bombatura che il libro formava all’interno della tasca, fissavano con enorme ardore quell’unico posticino inappariscente, come se volessero perforare la stoffa bruciandola col loro fuoco. Alla fine non riuscii a trattenere la mia avidità…”.
Trovo straordinario questo brano proprio per il valore simbolico altissimo che ci viene a rappresentare: la salvezza dal nulla in un libro! E, si badi, è l’oggetto-libro quel che qui importa, non il suo contenuto, ciò che esso significa in sé, la sua forma peculiare, una forma che allontana da sé le tenebre dell’indeterminato, dell’abisso, dell’angoscia.
Ma la storia non è certo finita, anzi è qui che viene raggiunto l’apice, perché al di là del libro-forma, del simbolo, c’è il libro concreto, quel certo libro, il libro così e così contenuto nel rigonfiamento – e che a sua volta sarà per il dottor B. fonte di salvezza e però principio di un nuovo viaggio verso i territori della follia.
Proprio come il gioco degli scacchi: il vertice della razionalità, dell’ordine, dell’intelletto più algido e calcolatore ma, insieme, il gorgo ebbro del gioco dal quale si può essere risucchiati per sempre.
Su quel piroscafo che beccheggia sull’oceano, un po’ come in una serie di matrioske, vediamo così narrata la storia di una mente che per sfuggire ad una follia rischia di cadere dritta in un’altra, e poi in un un’altra ancora – come da una casella all’altra di una sterminata scacchiera. Dal nulla, forse, non si può più guarire.
Riconoscenza anche mia per questo racconto che ci suggerisce di leggere, e leggerò. Il fascino del male, la normalità del male procede anche a mio avviso con la stessa logica razionale della salvezza dal nulla. Armando.