
Tema quantomai scottante – direi infuocato come le discussioni che ne potrebbero scaturire – quello di stasera. Scottante perché attiene al sé di ciascuno e ciascuna, al modo di essere, alla propria identità più profonda – alle modalità attraverso cui l’essere umano si viene costituendo.
Ecco perché, tra l’altro, scatena battaglie ideologiche, guerre, fobie, campagne mediatiche…
Mi riferirò, di tanto in tanto, non ad uno – come preannunciato – ma a ben tre testi che ci aiuteranno nell’impostazione della riflessione e del dibattito – senza per questo doverli seguire passo passo.
1. Delegherò la funzione di “battaglia di retroguardia” alla filosofa morale Michela Marzano, che, pur da un punto di vista cattolico, dedica gran parte del pamphlet appena pubblicato dal titolo provocatorio Papà, mamma e gender a smontare, criticare, decostruire i luoghi comuni cattolici – e più in generale oscurantisti – su questo tema.
2. Per certi aspetti agli antipodi, non tanto come posizione ma come terreno di riflessione, è Il postumano di Rosi Braidotti sulla configurazione che la questione dell’identità (non solo di genere) va in prospettiva sempre più assumendo: il soggetto post-umano è un soggetto (pur sempre nomade, dunque non dato una volta per tutte) che dice definitivamente addio al soggetto unico, universale, monolitico – l’antico Uomo – e che lo fa però in un territorio nel quale i soggetti non sono più soltanto gli umani, ma anche i viventi in generale, gli oggetti, le macchine. Il mondo relazionale non può non tener conto di questa realtà (che può alternativamente essere utopica o un tecnoincubo).
3. Infine, il testo cui inizialmente avevo pensato è questo dirompente, rivoluzionario, appassionato di Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, edito da Einaudi nel 1977 – anno cruciale in Italia per molte cose! È un testo rivoluzionario, dicevo, perché riconosce il desiderio erotico e la corporeità (e in particolare il desiderio omosessuale) come un universale da liberare – da liberare soprattutto dalla Norma eterosessuale e dai codici repressivi che regolamentano la libido. Legando tutto ciò alla rivoluzione comunista in atto (o in divenire).
***
Su tali temi c’è sempre il rischio che cali il velo oscurantista, nonostante decenni di Gender Studies – ovvero “studi di genere” (ed ecco svelato il nome che sta diventando, in bocca ai reazionari, uno spettro o una clava ideologica da brandire), studi condotti innanzitutto da filosofe e femministe impegnate sia sul piano teorico che su quello della pratica politica e dei movimenti (già ne avevamo parlato qui nel ciclo precedente).
Ecco perché il punto di vista filosofico diventa particolarmente prezioso: non bastano la sociologia, l’antropologia, la psicoanalisi o l’etica – ma è proprio lo sguardo filosofico quello che getta maggior luce sulle questioni di fondo, anche perché la domanda essenziale in gioco è “chi/cosa siamo?”, come si costituisce la nostra identità, il nostro modo di essere? Quali sono i contenuti di quella particella che denominiamo “io”? (fino a ritorcersi su se stesso: da quale posizione rifletto e argomento, in quanto filosofo – e non, ad esempio, filosofa?).
Conoscenza (o meglio, autoconoscenza) e decostruzione critica sono qui l’elemento fondamentale (che è poi quello che più spaventa gli oscurantisti da sempre, o certi poteri costituiti, terrorizzati all’idea che si scavi e si faccia luce su certe faccende ai loro occhi scabrose).
Il mio compito stasera sarà quindi quello di chiarire – da un punto di vista filosofico – alcuni concetti, alcuni termini utilizzati nella riflessione su genere, sessualità, corporeità.
In particolare sulla fonte primaria (e binaria, dicotomica se si vuole) di natura/cultura, madre forse di tutte le opposizioni: non vi è dubbio che uno degli elementi che ci costituisce sia quello biologico, cromosomico, naturalmente determinato (lo strato di torta, diciamo il pan di Spagna, per utilizzare, variandola, la metafora dell’antropologo-filosofo Geertz).
Ma è la “cultura” (società, linguaggio, costumi, morale, leggi, pratiche, credenze, ideologie, ecc.) l’altro elemento – direi preponderante – che ci viene a costituire: una glassa multistrato che nasconde ormai del tutto la base della torta.
Vi sarebbe poi un terzo ingrediente – la libertà individuale, la capacità di plasmarsi del singolo – ed anch’esso va messo in conto. In linea di massima siamo il risultato di queste tre componenti.
Se dunque l’essere maschio o femmina (o qualcosa di intermedio ed indeterminato, visto che esiste anche la figura ermafrodita, o meglio della intersessualità) è biologicamente determinato, tutto il resto – genere, orientamento e pratiche sessuali – è culturalmente e socialmente determinato. E, in quanto tale, non determinato una volta per tutte.
È proprio questo il punto che il fronte oscurantista contesta, giocando tra l’altro a semplificare, confondere i piani, falsificare, ecc. – si veda Marzano e la sua efficace decostruzione dei luoghi comuni dell’ideologia nogender.
Ma il nodo, al di là delle fumisterie ideologiche, attiene proprio al controllo della sessualità, della libido, della corporeità e alla loro normalizzazione/normativizzazione. Se cioè esistesse un’unica Norma (dettata da natura), seguirebbe che tutto il resto deve attenersi a quella norma, e qualora non fosse così verrebbe qualificato come anormale, anomalo, perverso, deviante, ecc.
Ma sta proprio qui l’elemento debole di tutto il castello oscurantista, dato che nulla corrisponde ad una Norma assoluta (nemmeno la differenziazione sessuale biologica).
Decostruire/conoscere ha dunque l’immediato effetto di sovvertire l’ordine dato, che non è né naturale né tanto meno immodificabile, e che, proprio perché corrisponde ad una Norma imposta (per lo più quella dell’Uomo, nel caso del genere, eterosessuale, nel caso dell’orientamento, e riproduttivo-genitale nel caso delle pratiche), non potrà mai resistere alle soggettività che in quella Norma non si riconoscono. Il fronte oscurantista conduce dunque una battaglia non solo di retroguardia, ma ormai perduta per sempre, manifestando al contempo l’essenza dei propri discorsi “valoriali”, riducibili in realtà a vari tipi di fobia:
-paura di farsi domande e di scoprire chi si è davvero, dietro i ruoli sociali indotti
-paura di perdere il potere e il controllo
-terror panico di liberare i desideri (non quelli di merci, ma di corpi)
-terrore per la gioiosità libidica in tutte le sue forme.
Il fronte oscurantista coltiva e riproduce quelle che Spinoza definiva “passioni tristi”, né più né meno (ricalcando tra l’altro l’antica avversione cristiano-platonica per il corpo).
Inevitabilmente gli studi di genere, oltre al lato conoscitivo-disvelativo, recano sempre con sé il lato pratico e rivendicativo – come succede fin dagli anni ’60 per tutti i movimenti di donne, neri, minoranze, ridotti e semplificati entro la dizione “diritti civili”.
Ma non si tratta soltanto di “diritti” (e dunque di portare avanti battaglie per il riconoscimento normativo in sede di leggi), bensì di qualcosa di ancor più originario ed essenziale (da cui i diritti seguono): si tratta piuttosto di autodefinizione, di autocostituzione di soggetti che non si riconoscono nell’unica Norma (o nelle categorie imposte dalla Norma): e questo non riguarda più o soltanto categorie (i gay, le lesbiche, i trasgender, i transessuali, ecc.), ma ogni individuo, soggetto, essere singolare (e questa è la terza fonte di cui parlavo sopra, dopo natura e cultura). È evidente che questi soggetti diversi sono pur sempre immersi in codici naturali e sociali predefiniti o precostituiti, ma le dinamiche sociali portano inevitabilmente con sé trasformazioni, mutamenti – sia delle società che dei cittadini/e che le compongono.
Ogni essere umano è allora una singolarità (che non vuol dire che sia un atomo isolato) potenzialmente esplosiva proprio sul piano dei desideri, delle possibilità espressive di sé e del proprio corpo, e delle relazioni che ne seguono (“cosa può il corpo?” si chiedeva Spinoza).
Dunque, non è l’unica Norma a normare/definire i soggetti, ma sono questi ad autodefinirsi e normarsi, la norma (anzi le infinite norme) seguono dalla moltitudine, non viceversa. La norma (che è poi il modo di essere di ciascun*) non è data dall’esterno o dall’alto, non stabilisce gerarchie, non ha un andamento verticistico, ma viene provvisoriamente definita dal corpo di ciascuno e dai giochi relazionali possibili tra i corpi interagenti.
Questo è un piano orizzontale, immanente, l’unico possibile nel quale i diritti (ad esistere, e dunque ontologici) di tutti vengono davvero riconosciuti, e non per concessione: il discorso qui si allarga inevitabilmente al tema dei dispositivi di produzione della soggettività – ovvero, di tutte quelle modalità sociali attraverso cui si costituiscono i ruoli, le attitudini, i comportamenti, i pregiudizi, i meccanismi di inclusione/esclusione, ecc.
Naturalmente tutto ciò – questa gioiosa potenza esplosiva del corpo, del desiderio, del piacere, della libido – fa paura, provoca terrore, scandalo, tra molti benpensanti e nei segmenti più oscurantisti della società. Ma di che cosa hanno paura? Forse della sottrazione di energie a ciò che tiene in piedi le società della produzione e dell’iperconsumo?
È addirittura possibile qui rovesciare del tutto la prospettiva “naturalistica” utilizzata dagli oscurantisti: “naturale” non è la Norma (la morale), anzi nell’elemento della corporeità, della sessualità e fisicità è già scritta la norma naturale, che è quella della sua libera espressione senza che vi siano indebite sovrapposizioni o educastrazione (come la chiamava Mario Mieli). Ce lo ricorda Diderot, in una sua apologia della vita selvaggia, a proposito di un celebre viaggio a Tahiti, nel titolo di uno dei dialoghi immaginari: “Dialogo tra «A» e «B» sull’inconveniente di associare idee morali ad atti fisici che non ne comportano” – togliendo dunque di mezzo il codice civile e quello religioso, e lasciando parlare soltanto la “natura”.
Ed infine: gli oscurantisi vorrebbero relegare il sesso al privato delle camere da letto (e, conseguentemente, trovare delle scappatoie legislative di ripiego, senza che vi siano riconoscimenti pubblici o sociali delle diverse identità e modalità relazionali e affettive) – ma la sessualità, il corpo, i desideri hanno per loro natura una valenza pubblica, politica, comune – e, sempre nella storia, sono gioiosamente dirompenti e rivoluzionari.
L’unica vera rivoluzione passa dal corpo.