Dall’altra parte delle sbarre

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Sempre più spesso rimango turbato nel vedere animali ingabbiati – siano essi rinchiusi nelle gabbie dorate della compagnia d’appartamento o nei ben più brutali allevamenti. Certo, c’è differenza di grado tra la condizione della felina di casa oppure le bucoliche galline della ridente campagna o i campi di concentramento degli allevamenti intensivi. Ma è, appunto, solo una differenza di grado, la sostanza non cambia: noi abbiamo intrappolato dei viventi e li abbiamo piegati ai nostri scopi. Ora, io non so dire se un giorno potremo vivere davvero in pace, per lo meno col mondo animale, eliminando integralmente l’addomesticamento, e dunque la produzione di infinite moltitudini di schiavi, e di un’inenarrabile quantità di dolore – così come proposto dall’abolizionista americano Gary Francione. Proprio non lo so. Quel che sento, però, è la crescita continua del disagio, del turbamento – dello straniamento ogni qual volta vedo animali e umani gli uni di fronte agli altri.
Proviamo, per una volta, a rovesciare la scena e a metterci dall’altra parte delle sbarre: qualche umano grasso da far schifo che zampetta nel fango, qualcun altro che invoca cibo emettendo suoni striduli, cuccioli nudi come vermi ammassati in pochi metri quadrati, vecchi macilenti in attesa di essere abbattuti, femmine gravide che mostrano le pudenda – mentre maiali eleganti, asini tirati a festa, galline sorridenti e mucche infiocchettate passano tra le gabbie e i recinti riprendendo con i loro smartphone quei poveri umani, un po’ riluttanti un po’ speranzosi di rimediare un tozzo di pane secco.
Subito dopo le famigliole di animali civilizzati si siederanno su tavoli ben assortiti d’ogni ben d’umano (affettati di coscia umana, braciole e stinchi e fegatini e bolliti e arrosti di carne umana, costolette di teneri fanciulli umani, grigliata e frittura di adolescenti umani…) – con gli sguardi ben lontani dai rigagnoli di sangue che nei macelli dietro le cucine scorrono a fiumi.
È tutto così bello e buono! e oggi, poi, è domenica!
Poveri umani, però, che vita grama che conducono.

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

4 pensieri riguardo “Dall’altra parte delle sbarre”

  1. Non scoraggiarti, md., ragioniamoci su un attimo. Calcoliamo le probabilità: se in questo ipotetico mondo possibile, in cui gli animali-animali avessero in mano lo smartphone, a rigor di logica (data la legge di causa ed effetto) avrebbero la bomba atomica almeno da una cinquantina d’anni. Quindi, vuoi che non ci sia fra loro anche un gattopardoTrump e un pandaPyongyang che non abbiano voglia di fare i fuochi d’artificio? Ma certo che ci sarebbero (data inalterata la legge di cui sopra): bisognerà solo aspettare qualche decimo di secondo rispetto all’eternità e puff, il gioco è bell’e fatto. Tutto poi, lentamente, ricomincerà daccapo, dal principio. Le probabilità che le cose possano ricomparire esattamente come prima, allora dipenderà solo da Dio, che magari, nel frattempo, avendo visto che il suo progetto precedente non è stato esattamente “tutto buono e giusto”, potrebbe provare a far qualcosa di meglio: ad esempio creare un mondo perfetto. Ad esempio il paradiso, ma senza metterci di nuovo l’albero della conoscenza, dal quale qualche sventurato possa afferrare i frutti. Che finché non lo sai, finché sei incosciente, va tutto bene. Mentre se lo sai, non puoi far finta di non capire qual è il problema. Oppure fai finta per un po’, ma non per sempre. Oppure – e purtroppo anche questa è un’ipotesi plausibile – c’è una moltitudine non sa davvero. Forse questo è essenzialmente il motivo per cui ad un certo punto della storia arriva l’inviato di Dio a dire “perdona loro perché non sanno”? (furbo Dio, eh)
    Il fatto è, che se c’era un albero solo (della conoscenza), come poteva bastare per tutti? E soprattutto adesso, qui e ora, che siamo quasi nove miliardi. Quanti frutti può fare un albero, dai, senza contare che potrebbe essersi già estinto. Se invece non è estinto, allora dovremmo fare piantagioni e piantagioni di alberi della conoscenza, e diventare tutti fruttariani.

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