Già in qualche occasione avevo segnalato l’alto tasso filosofico di alcune serie televisive (basti pensare a Six feet under oppure a Lost o anche a Breaking Bad, The walking dead, House of cards, e l’elenco potrebbe continuare): un po’ perché il loro livello qualitativo è enormemente cresciuto da qualche decennio a questa parte, un po’ perché l’esplorazione del mondo – ma anche dei mondi possibili – da parte degli autori si è fatta sempre più sofisticata e sorprendente. Del resto la meraviglia di fronte al mondo (o agli infiniti mondi) non è una delle qualità essenziali del filosofare? Ricordo ad esempio che rimasi per anni fulminato da X-Files, forse per quel voler vedere quel che gli altri non vedevano – o non volevano vedere – e per gli effetti stranianti e per la messa in discussione della verità ufficiale, con quel paranoico I want to believe di Mulder, e poi lo scientismo e lo scetticismo dell’agente Scully – insomma, i fondamentali della gnoseologia e della ricerca filosofica.
In verità su questo blog si è insistito di più sul cinema, forse perché più semplice da recensire, o più immediatamente identificabile con alcune tematiche filosofiche forti. D’altro canto, parallelamente al diffondersi della mania seriale televisiva, abbiamo assistito all’uscita di saggi che analizzano il fenomeno, dai Simpson a Lost, dal Dottor House fino addirittura all’orripilante Peppa Pig – anche se forse la bibliografia più ampia la detiene ancora Matrix, per quanto non si tratti di serie televisiva, ma cinematografica.
Tommaso Ariemma, con questo piccolo saggio edito da Mondadori, ha però il merito di connettere la didattica e, più in generale, la divulgazione filosofica, al fenomeno televisivo seriale, mostrando come l’insegnamento filosofico possa utilizzare la visionarietà di quest’epoca per provare a connettersi – è proprio il caso di dire – con le giovani menti di una generazione digitalizzata e pressoché dipendente dai dispositivi e dalle immagini. L’assunto di base è quello della pop-filosofia, ovvero della necessità di connettere i fenomeni e i linguaggi sociali al pensiero filosofico, così da non lasciarlo sul piedistallo dell’accademia, ma facendolo sporcare con il mondo: vecchia storia (per lo meno dai cinici in poi, passando attraverso Marx e la filosofia della prassi), che però non è oggetto specifico di questo articolo. Mi limito soltanto a dire che personalmente preferisco parlare di filosofia tout court, senza alcuna necessità di appiccicargli etichette più o meno alla moda.
Tornando alle nostre serie tv, al di là di qualche rapporto o parallelismo un po’ troppo stiracchiato, il libro di Ariemma si lascia leggere sia come un’introduzione al pensiero filosofico, sia anche come un’introduzione ad un modo più attento di guardare le serie televisive. Lo stile è brillante, anche se talvolta un po’ troppo ammiccante, ma ha senz’altro il pregio di stabilire relazioni intriganti e analisi originali sull’uso dei filosofi per la comprensione del nostro tempo (basti pensare al rapporto tra le app e le categorie kantiane, oppure all’attuale inferno sartriano dell’alterità, ovvero i famigerati like sui social).
Il capitolo che mi ha avvinto di più è quello su Hegel, anche perché la connessione in questo caso è tra uno dei filosofi più importanti per la mia formazione e uno dei miei personaggi seriali preferiti, ovvero Walter White, il professore di chimica che, dopo aver scoperto di essersi ammalato di cancro, si avvia sulla strada delle più improbabili delle carriere, a confermare la tesi che la contingenza è il più potente dispositivo dell’evoluzione dello spirito – e che la vita è dialettica, ebbra, in perenne mutamento, attraversata e mossa dalle potenti onde del negativo: “La vita dello spirito non è quella che si riempie di orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria verità a condizione di ritrovare sé stesso nella disgregazione assoluta”. Ariemma ci ricorda come queste parole di rara intensità tratte dalla Fenomenologia dello spirito, siano l’esatta descrizione del destino del protagonista di Breaking Bad, che è anche la descrizione del destino di ciascun individuo o forma di vita che compare sulla terra. Il chimico cucinatore di metanfetamine non fa altro che riplasmare se stesso, in un perenne movimento di dissestamento e riassestamento, sia etico che conoscitivo, resistendo al – ed anzi consistendo nel – negativo, il motore dialettico più potente della vita dello spirito – e della vita in generale.
Non sempre le suggestioni di Ariemma mi hanno convinto – forse, talvolta, più che della filosofia spiegata con le serie tv si potrebbe parlare di serie tv illuminate dalla filosofia, ma che importa da dove si comincia, dopotutto? A maggior ragione se il cominciamento comporta l’illuminazione di qualche giovane mente.
L’ha ribloggato su Antologia del tempo che resta.