Il senso di questi incontri – in netta controtendenza con la nostra epoca – è quello di scavare nelle parole, di andare alla ricerca dei significati originari e delle loro successive stratificazioni, di portare alla luce ciò che la superficie nasconde, in un’epoca in cui tutto è apparenza e i nomi vengono spesso usati in maniera superficiale se non a caso, senza cognizione di causa. Questo vale in particolare per l’ambito politico.
La lingua e la cultura greca designano per la prima volta con grande forza la “politicità” di homo sapiens: egli, dice Aristotele, è zoon politikon, essere (vivente, animale) eminentemente politico.
È di questo che ci occuperemo in questo ciclo, di questo elemento essenziale, delle forme che storicamente ha assunto e del loro destino in Occidente, alla luce dell’attuale crisi dell’idea stessa di politica.
Personalmente credo che non vi sia un eccesso, semmai una carenza di politica, nell’epoca in cui tutto appare politica, senza esserlo, mentre l’umanità politica arretra all’avanzare di nuove forme di barbarie.
1. Quel che i greci intendevano per “politica” è diverso da quel che intendiamo noi: polis è cosa diversa da stato o da società civile (che per i greci tendono a sovrapporsi). Credo però si possa sostenere che la domanda, il problema che sta alla base dell’invenzione della forma politica di convivenza (in particolare di quella sperimentata dai greci tra il VII e il IV secolo a.C., ovvero la democrazia), siano i medesimi, fatte le debite proporzioni demografiche o riguardanti la complessità sociale. Io ho sintetizzato quel problema in una domanda-simbolo: come contenere l’ira funesta di Achille?
2. Quell’ira evocata in apertura dell’Iliade, uno dei testi fondanti della cultura greca, ci porta subito nel mezzo della questione e di un paradosso: se l’uomo è per natura socievole, come sostiene Aristotele, perché è portato ad affermare, spesso con la violenza e la sopraffazione, la propria individualità?
Occorre cioè avvicinare all’immagine aristotelica un’altra immagine della peculiarità umana: è vero che noi siamo una specie naturalmente portata alla società, ma c’è dell’altro, siamo anche la specie naturalmente portata a sottolineare le differenze individuali, a marcarle più di quanto non succeda in altre specie.
[Sarebbe interessante a tal proposito confrontare queste propensioni umane con gli studi di due naturalisti – Holldobler e Wilson – pubblicati da Adelphi sulle socialità degli insetti, in particolare delle formiche: Formiche e Superorganismo]
3. Ma torniamo a Homo sapiens e all’ira funesta di Achille: la nascita della polis e della mentalità politica è il passaggio decisivo – come sostiene Mario Vegetti – da una morale eroica, in cui le virtù che contano sono quelle guerriere e dell’aristos, ad un’etica della convivenza all’interno della città. Dall’egocentrismo alla comunità, dal dominio incontrollato delle passioni (bia, kratos, ybris, la violenza, la forza, la dismisura) alla mediazione politica dei conflitti.
La morale eroica, la virtù guerriera (arete-aristos, secondo cui il migliore è il più forte, colui che ha più onore) è pienamente rappresentata dagli eroi omerici, in particolare da Achille, che dopo essersi ritirato sdegnosamente dalla battaglia per ragioni di bottino (Agamennone gli ha sottratto la schiava Briseide, ledendo così il suo onore), tornerà in campo solo dopo che l’amico Patroclo è stato ucciso, fa strage di nemici e infine fa a pezzi il corpo di Ettore: l’eroe aristocratico – mosso da motivi “privati” e individuali, non certo comunitari – diventa così distruttivo da mettere a repentaglio la possibilità stessa della convivenza umana.
La via d’uscita – la soluzione al problema dell’ira rovinosa di Achille – sta proprio nella polis e nell’avvento dell’epoca della ragione politica.
4. Occorre però, prima di procedere, chiarire meglio il significato dell’espressione aristotelica zoon politikon.
Innanzitutto contestualizziamo meglio: Aristotele la usa sia alla fine dell’Etica Nicomachea che all’inizio della Politica (marcando così un preciso nesso tra “felicità individuale” e “felicità collettiva” – tra individuo e città). Al di fuori della dimensione politica e sociale (se si vuole della civiltà: politikon diventerà poi il civilis latino) si è belve o esseri divini.
Ma l’uomo è per natura destinato alla polis: natura, in Aristotele, ha più il significato di télos, compimento, destinazione finale, che non di qualcosa di originario. La forma umana, la potenza destinata a diventare atto, sta proprio nello stato, nella comunità, nella polis. Essere per natura qualcosa è essere esattamente se stessi, non altro. Ora, l’uomo è destinato alla politica perché è un animale razionale, dotato di parola, cioè della capacità di esprimere le proprie emozioni in una forma razionale. In Aristotele si fa strada in maniera molto netta una concezione che separa l’umano dalle altre forme di vita (e l’anima umana, ovvero la sua forma essenziale da quelle vegetali o animali): la ragione, il lògos (la parola) è l’elemento specifico, distintivo, essenziale – naturale, nel senso sopra esplicitato.
5. Proviamo ora a connettere questa concezione di “natura umana” con il mondo greco e con la sua evoluzione storica. Il testo di riferimento è un classico della storiografia filosofico-politica, ovvero Le origini del pensiero greco di Jean-Pierre Vernant (già il titolo dovrebbe metterci sull’avviso).
Questi i punti fondamentali sostenuti da Vernant in questo saggio del 1962:
-passaggio dalla civiltà palaziale-aristocratica a quella del demos e della polis, con il nuovo spazio dell’agorà, la piazza che sta al centro dell’insediamento urbano, e che rappresenta simbolicamente la dimensione es mesos, nel mezzo, orizzontale e non verticale, dove i cittadini prendono coscienza della propria dimensione politica, ovvero della propria capacità di decidere di se stessi, non più derivante dall’alto, dal re, dalla divinità, dal fato;
-questi i tre elementi essenziali del passaggio: linguaggio razionale, dimensione pubblica, isonomia, ovvero eguaglianza di fronte alla legge. I cittadini (o, per essere più precisi, i capifamiglia della polis) decidono sulla base di argomentazioni razionali, esplicitate e discusse in pubblico. Diventano quindi fondamentali le tecniche della retorica e della persuasione, oltre alla scrittura, ingredienti essenziali della paideia, dell’educazione del futuro cittadino.
6. Ma c’è di più: Vernant connette in maniera originaria ed essenziale il pensiero filosofico (e le concezioni cosmologiche dei primi filosofi) alla città: sembra anzi che sia questa a suggerire idee e parole alle teorie dei sapienti e dei fisici. Il linguaggio utilizzato dai primi filosofi – il logos, l’arché, l’equilibrio-conflitto delle parti, ma anche la terminologia medica – proviene dal linguaggio politico e viene conseguentemente applicato alla natura (non viceversa).
Si veda in particolare Anassimandro e la sua teoria cosmologica, che sostiene la necessità che tutti gli esseri (“le parti”) scontino ed espiino la loro “colpa” di esistere – l’adikìa, l’ingiustizia – nell’unico modo loro concesso: il perenne succedersi delle parti, nessuna delle quali può prevaricare le altre, essendo tutte dominate dall’unica legge (di nuovo isonomia) che governa il cosmo, così come la legge governa la città – “secondo l’ordine del tempo si rendono a vicenda riparazione (tisis) e giustizia (dike) per l’adikia che hanno commesso”. L’eguaglianza non riguarda solo i cittadini, ma tutti gli esseri – si nasce, si muore, si diviene, e ogni ente (così come ogni zoon politikon) a turno comanda ed è comandato, e ruota e si compie nel destino inevitabile degli esseri.
La razionalità greca è così prima di tutto una ragione politica: più che plasmare o trasformare la natura i greci intendono agire sulle società umane: non è un caso che Platone utilizzi la figura del tessitore-politico, un vero e proprio ingegnere sociale e plasmatore delle coscienze. E il principale compito della paideia greca sta nel formare cittadini, animali politici.
Ma riprenderemo la prossima volta questo discorso, quando ci occuperemo dell’utopia platonica e delle sue conseguenze di lungo corso nella storia occidentale.
L’ha ribloggato su MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZIe ha commentato:
“Quel che i greci intendevano per “politica” è diverso da quel che intendiamo noi: polis è cosa diversa da stato o da società civile (che per i greci tendono a sovrapporsi). Credo però si possa sostenere che la domanda, il problema che sta alla base dell’invenzione della forma politica di convivenza (in particolare di quella sperimentata dai greci tra il VII e il IV secolo a.C., ovvero la democrazia), siano i medesimi, fatte le debite proporzioni demografiche o riguardanti la complessità sociale”