La filosofia, nata in città, volge lo sguardo alla natura – la physis nella lingua greca – fin dagli esordi. Uno sguardo razionale, che cerca un principio da cui ogni cosa sporge e sorge – l’arché. Per poi, infine, ritornarvi. Il medesimo principio da cui noi stessi siamo generati – in un unico flusso metamorfico.
La primavera, il risveglio della natura, lo sbocciare della vita, evocano con forza quell’idea, quel principio, quella sensazione di comunanza.
In quella natura-riserva un po’ asfittica che è la natura in città, proveremo a camminare, a pensare, ad immaginare e a meravigliarci di fronte a quel principio sorgivo che tutto regge. Physis, arché, natura naturans – natura che sempre si genera, da sé, muta e si espande. E a sé ritorna. Iuxta propria principia.
E che – proprio in questa stagione – esplode in una miriade di forme, di spore, di gemme, di fiori, di colori, di foglie e di frutti, un carnevale e una festa della moltitudine vegetale (una “verditudine”) resa possibile dall’ “invenzione” evolutiva delle angiosperme.
Alla ricerca di un linguaggio insieme razionale e poetico, logico ed emotivo.
Filosofeggiare camminando, per il puro piacere di farlo.
Al battere del passo senza meta, fine a se stesso.
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Natura è parola latina collegata al verbo nascere (nascor), che nella lingua greca suonava come gen – genesis, generazione.
La parola greca per natura è invece physis (da cui, un po’ lateralmente, il termine fisica) – concetti che se da una parte corrispondono alla generalità delle cose (physis può senz’altro essere inteso come essere, l’insieme di tutte le cose), dall’altra evocano un determinato senso di questo essere. Se è vero che physis ha a che fare col termine greco phaos o phos (che vuol dire luce), e che natura è nascita, risulta chiaro che non stiamo affatto parlando di qualcosa di inerte o di neutro, ma di un venire alla luce, di un sorgere e fluire delle cose in una determinata direzione. I filosofi presocratici, in particolare, indagarono il senso di questo “venire alla luce” nel principio (arché) che ordina, organizza e fa fluire tutte le cose. Per certi aspetti natura può qui essere sovrapposto a vita.
Ma il termine “natura” può anche essere ricondotto a qualcosa di umbratile, di nascosto e di misterioso: la natura ama nascondersi, scrive Eraclito.
Se cioè da una parte natura è manifestarsi, venire alla luce, nascere e rinascere in continuazione in un pullulare di forme, dall’altra vi è un principio nascosto che solo attraverso la ragione può (forse) essere indagato.
Anche la parola greca verità si collega a questa concezione della natura nascosta: alètheia è propriamente lo stato del non essere nascosto, del disvelamento. Qualcosa che stava nell’ombra si mostra alla luce – così come dal sonno invernale si dischiudono all’improvviso le gemme, e la vegetazione ri-nasce. Non a caso, grazie alla luce.
Sono tutte metafore che evocano questa dualità, questa dialettica tipica di una natura che insieme rivela e nasconde. Filosofi, pensatori, teologi, scienziati, nei millenni hanno creduto di portare alla luce questa ascosità, e di decifrare la segretezza della natura (Bacone dice addirittura che occorre estorcergliela con la forza).
Ma io credo che sullo sfondo, per quanto si cerchi di comprendere, penetrare, razionalizzare, scoprire, ed anche dominare/controllare/trasformare – rimanga sempre un lato nascosto.
Noi sappiamo come è fatta la natura, come funziona, come si evolve, persino come si è generata e presumibilmente come andrà a finire – ma ci sfugge l’essenziale: perché la natura esiste? Perché l’essere è, ed è così come è? Perché non il nulla?
Ovvero: qual è il senso di questa physis?
Probabilmente è la nostra forma mentale ad indurci ad immaginare che ogni cosa debba avere un senso, una direzione, uno scopo: qualcosa esiste, nasce, e dunque deve avere un fine – deve servire a qualcosa. Spesso gli umani hanno, con grande supponenza, pensato di essere loro stessi il fine della natura – ma questa concezione antropocentrica non ha nessun fondamento logico, nemmeno uno straccio di prova, se non appunto una credenza, una fede o una supponenza. Fino ad ora, almeno per quanto concerne la domanda essenziale, il pensiero razionale pare girare a vuoto.
Io credo che solo il linguaggio poetico si sia talvolta avvicinato ad esprimere questo inespresso, e che sia giunto in prossimità di quel nucleo nascosto, che non ci si mostra nella luce della ragione.
La natura ama nascondersi, mentre la poesia prova ad entrare in punta di piedi nella sua dimora segreta – e a dire quel che sente in prossimità di quel mistero.