Deus absconditus

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Qualche sera fa ho aperto una conferenza scientifica facente parte di un ciclo che ha l’intento di illustrare in che modo è cambiato in Occidente il modo di guardare il cielo. La scommessa è di integrare diversi punti di vista – filosofico, antropologico, fisico-matematico, estetico – mostrando come si è andata modificando la percezione di sé e del proprio posto nel cosmo da parte dell’essere umano. La seconda puntata era dedicata all’epoca moderna, da Copernico a Newton. Ho aperto inevitabilmente con la data simbolo del 1543 – anno di pubblicazione del De revolutionibis orbium coelestium – e con l’impatto che la “rivoluzione copernicana” ha avuto sui pensatori e gli scienziati dei decenni e secoli successivi.
Tre in particolare le parole-chiave di questa trasformazione (e radicale rotazione del punto di vista):
1) Legge. Telesio scrive nello stesso secolo di Copernico il De rerum natura iuxta propria principia, sostenendo che la natura deve essere conosciuta attraverso se stessa, i principi interni e propri che la ordinano – e non con categorie a lei estranee (magiche, mitiche, divine, extranaturali). Ma tale legge non può più avere un ordine qualitativo (altrimenti torneremmo a Mileto): Galileo farà un passo in più, e conierà la celebre metafora del mondo da intendersi come libro aperto, scritto in linguaggio matematico, e dunque chiaro alla nostra mente.
2) Unità. La natura non è più scissa in un alto e in un basso: il sistema aristotelico-tolemaico, che spezzava il cosmo in una zona eterna e perfetta, contraddistinta dal movimento circolare, e in una zona sublunare, la terra infima, quella “zolla” che non stava al centro ma sul fondo dell’universo (così la intendeva senz’altro Dante) – tale sistema viene infranto e superato da una visione unitaria, che considera la terra alla stregua degli altri astri e pianeti.
3) Infinità. Il più acceso sostenitore del concetto di infinito è senz’altro Giordano Bruno, che parla di “infiniti mondi”, anche in relazione all’onnipotenza divina – un dio pericolosamente vicino al panteismo (che infatti lo porterà al rogo), anche se sarà solo Spinoza a compiere il passo successivo che identifica Dio e Natura – Deus sive Natura. Ciò che faceva orrore ai greci – l’infinito, caos informe – diventerà sempre di più lo sguardo che allarga a dismisura il cielo stellato sopra di noi. Con una postilla piuttosto difficile da digerire: noi non siamo al centro né il centro di alcunché; e ciò per una semplice ragione: è il cosmo stesso ad essere acentrato, a non avere centri, proprio perché infinito. Ma è chi lo guarda, comunque, ad essere sempre al centro di quello sguardo e di quella relazione – soggetto conoscente, contemplante, anche rabbrividente (moderno è il Soggetto che va da Cartesio a Kant).

A tal proposito non è forse casuale che Kant, che aveva eletto Newton campione della nuova visione scientifica, e operato egli stesso la sua “rivoluzione copernicana” – abbia poi trasferito (o riflesso) il concetto di infinito dall’esterno all’interno – dal cielo stellato sopra di me alla legge morale in me. Del resto lo aveva già intuito Leibniz: la materia come piega infinita (mondi nei mondi, dal macro al micro, senza soluzione di continuità), si riflette nelle infinite pieghe dell’anima.

Ma che fine fa Dio in tutto questo?
Nel cielo tolemaico-dantesco Dio era parte essenziale del grande meccanismo celeste, colui che muove tutti i cieli e le stelle (primo motore immobile), mentre da Copernico in poi sempre più egli viene cacciato ai margini, non essendoci più bisogno del divino per spiegare le cose (basta e avanza la ragione).
A questo punto le possibilità sono due (o forse tre): Dio coincide perfettamente con la natura (ed è la soluzione spinozista), oppure non esiste proprio, non c’è più alcun bisogno di nominarlo (l’illuminismo e il materialismo imboccheranno quella strada). Ma c’è una terza possibilità: il deus absconditus e ineditus – ciò di cui non può essere detto nulla. Che può anche essere rovesciato e detto così: tutto ciò che esula dalla sfera razionale, ciò che rimane misterioso ed incomprensibile, il mistico di Wittgenstein, che esiste senza sapere perché. È dunque nelle scorie della comprensione razionale, nel residuo dell’integrale meccanizzazione del mondo, al margine estremo del cosmo noto – è in quell’interstizio irraggiungibile il luogo dove oggi abita e si nasconde dio.

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Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

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