7 parole per 7 meditazioni – 5. Superuomo

[mentre esponevo questa introduzione al pensiero di Nietzsche, guardando i volti pur attenti dei presenti, cresceva in me la sensazione di una lontananza abissale tra le loro – le nostre – vite e quel pensiero, sensazione che si è acuita durante l’imbarazzata discussione, specie quando il Superuomo ha preso a stagliarsi lì nel mezzo, con tutte le sue ambiguità; vero è che è la natura stessa della filosofia a rappresentare questa apparente lontananza, resa plasticamente fin dalle origini con l’immagine della serva tracia che sbeffeggia Talete caduto in un fosso per aver guardato il cielo; questa sensazione di disagio e di straniamento nel caso di Nietzsche cresce a dismisura, perché il suo pensiero e il suo linguaggio sono ben più che abissali, e finiscono per erodere il terreno sotto i nostri piedi, provocarci le vertigini e lasciarci senza appigli; se le domande filosofiche sono troppo radicali e hanno la forma di espressioni perturbanti – che ne è della tua vita e del suo senso? dove poggiano e dove vanno i tuoi piedi? che fine hanno fatto le tue certezze e verità? guarda che dio è morto! sicuro della tua nicchia, del tuo spazio, delle tue comodità? d’ora in poi si naviga a vista! – e se poi sono formulate nel modo più paradossale, elitario e supponente, ci fanno storcere il naso; ma a ben pensarci solo un pensiero così terribile, che ci scuote fin nelle fibre più interne, ci può indurre a pensare in grande; del resto nessun medico, né del corpo né dell’anima, ce lo prescrive, e si può vivere benissimo (o malissimo o metà e metà) anche senza leggere gli urticanti aforismi nietzscheani, anche se… fatti non foste a viver come bruti, né tantomeno in forma di gregge o meccanismo…]

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Periéchon

Non ho dimestichezza col pensiero di Karl Jaspers, e quel che so di lui è poco più di una conoscenza manualistica. A suo tempo avevo letto qualcosa sulla sua teoria del periodo assiale (Achsenzeit), ma per anni, anzi per decenni, non me ne sono più occupato. Qualche giorno fa è saltata fuori questa faccenda del periéchon che mi ha molto incuriosito. Sulle tracce di Nietzsche e di Anassimandro, Jaspers intende l’essere come il tutto-abbracciante, ciò che circonda e che non può essere circondato, né circoscritto o delimitato e – soprattutto – oggettivato, entificato. La nostra pretesa, cioè, di dominare l’essere – abbracciarlo con lo sguardo teorico così da possederne gli enti – è qualificabile come ybris, tracotanza. Il male oscuro della nostra epoca è l’integrale oggettivazione e meccanizzazione del mondo – compresi noi stessi. L’essere reificato, che diventa oggetto, cosa, semplice presenza (riflessione che caratterizzerà anche Heidegger). Tuttavia la sensazione di potenza, l’antropocentrismo, l’esistenza ridotta a tecnica finiranno sempre per affondare nella sconfinatezza e abissalità dell’essere. La logica finirà per scontrarsi col mistero, con l’enigma. E per soccombere.
Trovo comunque bella e consolante quell’immagine dell’essere abbracciante – quasi fosse un impossibile succedaneo dell’antica figura divina, paterna o materna che sia. Non solo: trovo bello pensare che non solo l’essere ci abbraccia, ma anche che noi crediamo di avere la possibilità di abbracciarne – in potenza – l’illimitatezza. Una magnifica illusione. Immaginastrazione, l’avevo nominata tempo fa.  Purché si sia consapevoli che si tratta in ogni caso di naufragare nell’abbraccio di quel mare sconfinato. Possiamo sbracciarci quanto vogliamo, navigarci sopra, spingerci fin nei fondali, planare a volo d’uccello – ma è l’oceano a contenerci, e noi siamo solo un’infinitesima onda destinata a rifluire.
Trovo in ciò uno strano splendore, comunque sia.