Bartleby l’antivaccinista

Tolti i guerrafondai, i crociati e i fanatici vaccinisti, quelli che augurano ai non vaccinati di ammalarsi e di morire (sperabilmente una piccola minoranza irrazionale, che si rispecchia nella fazione avversa più fanatica) – direi che ci sono grosso modo due linee di argomentazione che vengono rivolte agli indecisi, scettici o riluttanti boh-vax:
a) la linea moralistica: devi vaccinarti per ragioni di responsabilità nei confronti della società, dei nonni, dei fragili, del futuro, degli studenti, ecc. ecc.
b) la linea scientifico-razionale: devi vaccinarti perché lo dice la scienza, è sicuro, i dati ci dicono questo, è l’unica strada percorribile. ecc.ecc.

Ora, entrambe le argomentazioni spesso falliscono il bersaglio, e le ampie fette di popolazione scettica nei confronti della vaccinazione è lì a dimostrarlo (dagli Stati Uniti alla Bulgaria alla Russia, anche se poi andrebbe fatta un’analisi paese per paese). In Italia tale resistenza è stata aggirata da costrizioni mascherate e sotterfugi, ma comunque permane intoccata. Ci sono diverse cause di questa riluttanza, e anch’esse andrebbero analizzate attentamente. Per rimanere sulle due linee argomentative, direi che una ha a che fare con il cortocircuito sociale nel quale ci troviamo: proprio una società massimamente atomistica e deresponsabilizzante nei suoi fondamenti chiede ai suoi cittadini di diventare improvvisamente dei virtuosi comunitari; dall’altra parte, proprio una società (e una vita) che contengono molti elementi di irrazionalità e di follia (ad esempio a proposito di ingiustizie e stili di vita), chiedono un’adesione (peraltro quasi fideistica) alla razionalità ufficiale. Vien da pensare, non a torto, che la ragione sottesa a questi appelli ultimativi sia in primo luogo di tornare ad essere proprio quel che non si vorrebbe più essere (dei narcisisti un po’ pazzoidi), in favore di massiccia ripresa del PIL.
Ma c’è un’ulteriore causa di questa riluttanza, più sfuggente, forse poco indagata, che trovo debba essere messa in campo, e che non sottosta a nessuno di questi due codici, quello etico o quello razionale. Ce ne dà una raffigurazione plastica la figura letteraria di Bartleby lo scrivano, che al suo datore di lavoro e rappresentante delle virtù borghesi, sbatte inspiegabilmente sul muso l’espressione “preferirei di no” – I would prefer not to – che poi non è necessariamente un no o un rifiuto, ma un gesto spiazzante, incatalogabile. Bartleby rappresenta la resistenza ad ogni incasellamento logico: la libertà umana è così estesa da essere anche negazione radicale della correlazione, sottrazione al senso comune – e perfino ad ogni senso. Essere liberi significa anche non voler significare nulla. Occorre fare i conti anche con questo, ci piaccia o no.

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

2 pensieri riguardo “Bartleby l’antivaccinista”

  1. Bartleby è un personaggio indecifrabile e inconoscibile, come il fondo dell’animo umano. Dice no, si sottrae e nella negazione afferma il suo diritto ad essere così come gli pare. Le persuasioni non lo scalfiscono e scavano quella nicchia in cui lo scolpisce magistralmente Melville.
    Un Figliolo e chi per lui, non lo capirebbe mai. Ma non c’è nulla da capire e questo per il Sistema è inaccettabile.

  2. La pandemia della Spagnola degli anni venti ha fatto venti milioni di morti in Europa e non so quanti nel resto del mondo. Covid 19 è molto simile alla influenza detta spagnola, almeno leggendo i testi di allora. Ma negli anni venti non c’erano i media e internet, dove ogni bocca dice la sua e, spesso, contro il buon senso e la realtà dei fatti. Negli anni venti si chiusero i cinema e i teatri, fino a che l’influenza diminuì e si sperava sempre che il malato non si prendesse anche la polmonite, contro la quale non c’erano possibilità di cure. Ma non c’erano i mestatori, i politicanti e i virologi che andavano a blaterare in TV, stravolgendo le masse e creando caos. Intanto, chi si ammala d’altro, non ha possibilità di essere curato (due anni di attesa per una operazione di ernia attualmente) a causa del caos provocato da scelte in parte ottuse, precedenti al Covid, i cui nodi sono venuti al pettine durante e dopo la crisi. A chi giova tutto ciò?

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