A proposito della meditazione quotidiana, una forma da promuovere senz’altro è quella della passeggiata contemplativa. Si tratta di un buon modo per svuotare la mente gravata dai pensieri, limitandosi a consegnarle le sensazioni del momento, mantenendola così il più possibile sgombra.
Basta semplicemente fissare le cose, i dettagli, tutto quel che si presenta ai sensi in quel momento – vista, udito, odorato – e lasciarlo scivolare lievemente sui recettori sensoriali e ancor più lievemente sulla mente. Ogni cosa può essere accolta, ma ogni cosa deve lasciare il posto alla successiva, alla pari, in modo del tutto indifferente, senza fissarsi o preferire alcunché, di modo che tutto rimanga ciò che è, un fuori puramente contemplato e lasciato essere per quel che è.
Funziona preferibilmente coi dettagli: la biforcazione di un ramo, una piccola pietra, il lume di una foglia, le incrostazioni di un muro, la fessura di uno scuro socchiuso, la sbreccatura di un cornicione, una voce da un vicolo, il canto di un uccello, il movimento o lo sguardo fugace di un umano, un filo d’erba rinsecchito, la forma di una nuvola… Funziona in città come in campagna, in un bosco o in riva al mare – funziona ovunque e con qualunque condizione sensoriale.
Si può anche provare da fermi, ciò che richiede forse un maggiore sforzo, e se così fosse meglio muoversi, poiché tutto deve accadere con estrema leggerezza, le forme e i sensi devono fluire naturalmente. (Da fermi è il mondo a scorrere intorno a noi).
Nessuna cosa in questo processo risulterà banale o superflua, tutto si rivelerà come necessario, essenziale, dotato di senso – il senso profondo di essere quello che è. A ben guardare nessuno di questi concetti significa alcunché entro quel fluire percettivo, poiché non c’è alcun recondito significato teoretico da rinvenire.
Mezz’ora al giorno di questo esercizio percettivo ed estetico può essere rigenerante. Mezz’ora al giorno tutti i giorni può aprire orizzonti di serenità inusitata. Perché quella mezz’ora può anche filtrare nel resto della giornata, fare capolino all’improvviso, farci respirare. Il respiro delle cose – di tutte le cose – che è il nostro stesso respiro. Possiamo immaginare che uno dei dettagli percepiti siamo noi stessi: il nostro passo, la punta delle scarpe, le dita, i muscoli e i legamenti – il nostro corpo alla pari di tutti i corpi.
La mente scorre orizzontalmente su tutti gli esseri in un prezioso esercizio di indifferenza ed eguaglianza ontologica, un perfetto comunismo dei sensi, assenza di gerarchie, bellezza fugace ma diffusa.
Può essere utile intercalare dei momenti ad occhi chiusi: farlo in particolare attraverso i fenomeni atmosferici, il vento, la pioggia – come succede ad esempio a Hull nel Dono oscuro.
È pero fondamentale evitare ogni riflessione su quel che si osserva, perché del tutto fuorviante (se poi accade va bene, purché lo si lasci scorrere, essendo quel pensiero uno dei tanti oggetti e dettagli di fronte a cui ci troviamo).
Tale indifferenza e tale eguaglianza saranno utili a smontare, non solo teoricamente, ma anche nella prassi quotidiana, tutte le nostre pulsioni narcisistiche ed antropocentriche. L’intera costellazione filosofica – soprattutto presocratica – della lontananza e dell’indifferenza cosmologica, concentrata in un piccolo gesto quotidiano. E senza il fardello o il peso della metafisica.
In quella sospensione meditativa siamo davvero nient’altro che moltitudinarie increspature dell’essere, ineffabili modi della sostanza, una delle infinite e contingenti pieghe della lunga linea del vivente. Nulla di più, ma nulla di meno.