«Ogni pagina di un’opera filosofica, dovunque la si apra, ha un effetto calmante: le fitte maglie di una rete che fu così palesemente tessuta al di fuori della realtà, il prescindere dal momento, questo grandioso disprezzo per il mondo dei sentimenti, che pure continua ad avere le sue maree nel filosofo stesso, questa sicurezza di un’apparenza che smaschera se stessa in una contro-apparenza, ma non per questo scompare, questo incessante intreccio con tutti i pensieri del passato, al punto che li si può afferrare e fiutare: questo tipo di stuoia, proprio questo tipo, viene intrecciata da migliaia di anni e solo i disegni cambiano; quale arnese si è conservato meglio? quale altro vasellame ha continuato a essere prodotto senza interruzioni sempre nel medesimo modo? Di qualunque filosofia ci si occupi, di questa perché la si conosce meglio, di quella perché non la si conosce affatto, in fondo è sempre la stessa cosa: dare spicco a poche, contate parole, che si sono nutrite dei succhi di tutte le altre, e farle procedere per sinuosi meandri».
[Canetti, Appunti, 1947]