Quando Benedetto XVI giunse al soglio pontificio, ricordo che una mia cara amica laicissima e illuminista lo soprannominò papa Natzinger. Non solo per le parole e il programma – peraltro ampiamente annunciato nei decenni di stretta collaborazione con Wojtyla, un papa nuovissimo per ragioni di “marketing” e quantomai reazionario per ideologia – ma anche per la gestualità e per quel sorriso forzato, un po’ pastore tedesco un po’ sepolcro imbiancato. Certo, un giudizio quantomai tranchant, ai limiti del lombrosiano, che oggi verrebbe guardato storto dal fiume di retorica corrente.
Ma la guerra del nuovo papa contro il relativismo, la sua visione tradizionalista ed assolutista, forse inevitabile a ridosso dell’epoca della “guerra di civiltà” e della discussione europea sulle “radici cristiane”, non poteva che infastidire qualunque progressista. Oggi che più di ieri il progressismo è un concetto abusato e problematico (ma del resto il Pasolini del discorso sul “sacro” e una schiera di filosofi novecenteschi ci avevano avvertiti), possiamo non tanto rivedere ma ricollocare quel giudizio nel nuovo contesto, etico, antropologico e geopolitico.
La critica di Ratzinger al relativismo – piuttosto banale da un punto di vista filosofico – si sposava contestualmente col recupero dell’essenzialismo, in particolare del concetto di natura e di natura umana (forse ancor prima e più importante del concetto di verità). Il tentativo non poteva che fallire miseramente, per mille ragioni che sarebbe difficile qui analizzare, a partire dall’artificiosità paradossale del concetto di natura, nulla di più costruito e di non più rimediabile nella sua mitica purezza ed immediatezza; e non tanto o non solo perché il tecnocapitalismo rende ogni ente una “cosa” disponibile all’uso, dominabile, trasformabile fino a “snaturarlo”, ma perché dopo Hegel e Marx – e dopo l’avvento dell’epoca in cui tutto è storia, fin quasi alla storiolatria – non c’è nulla che sfugga al divenire e alle sue determinazioni storiche: il vero (e la natura ed ogni cosa) sono il divenire di se stessi. Noi stessi diveniamo perennemente, ben più di quanto credesse Eraclito. È questa la nostra nuova pelle, e finché quest’epoca permarrà non potremo mutarla.
Se occorre rilevare un atto dirompente del papa emerito, fu piuttosto quello di timbrare il cartellino alle ore 20 del 28 febbraio 2013, come un qualsiasi funzionario di una qualsiasi istituzione o azienda, gesto che non solo indicava una definitiva metamorfosi del sacro in profano, ma addirittura una sua precipitazione nel prosaico. Non è certo una novità per la chiesa – cristiana prima, cattolica poi – che ha sempre dovuto fare i conti con la sua natura ancipite, temporale e spirituale, città di dio e città terrena, in perenne combutta con tutto ciò che c’è di fetido nel materico, con l’immondezzaio del potere e della storia, e dunque esposta alle “deturpazioni del volto” e alla “sporcizia” – sono le stesse parole usate da Ratzinger, che volle rassicurarci sull’esistenza di un lato immacolato della chiesa e dell’essere [ma occorre anche ricordare che prima di diventare papa ebbe l’ardire di scrivere in una lettera indirizzata ai vescovi e datata 18 maggio 2001, che i casi di abusi sessuali sono da considerarsi “Secretum pontificium”, cioè questione interna alla chiesa].
Il paladino dell’antirelativismo si ritira sconfitto dal mondo, nel silenzio di una fede che non ha più nulla da dire. Che si liquefa a sua volta. Liquide si fanno così anche le millenarie istituzioni del sacro (per lo meno in Occidente, ma tecnica e denaro desacralizzano ormai ogni angolo del pianeta) – ben oltre il disincanto registrato da Max Weber.
Ma proprio in quell’atto di desistenza, di ritirata dal mondo, di silenzio autoimposto e di entrata in un altro ordine di realtà – quello di un misticismo del tutto fuori moda – vi è forse un altro aspetto altrettanto importante, se non proprio rivoluzionario, che sarebbe il caso di prendere in considerazione, e che va al di là del destino dei papi, del potere temporale, delle istituzioni religiose.
Occorrerebbe cioè riaprire un discorso enorme sulla liquidazione della religiosità nella modernità in termini di “oppio per i popoli”, ciò che nel pensiero critico dei filosofi dell’alienazione, da Feuerbach a Marx e oltre, aveva avuto un grande respiro teorico e pratico, in vista di una radicale mutazione antropologica. Ma quella liquidazione sbrigativa, al di là della riottosità di una parte del “popolo” a scristianizzarsi, assume oggi tutt’altro significato.
I cascami del religioso, dello spirituale e del mistico – che il pensiero positivista, scientista e tecnocapitalista non è riuscito a riassorbire del tutto nella nuova ed unica forma di fede in un Progresso che si rivela sempre più insensato ed ormai pericoloso se non esiziale – quei cascami, quei sintomi, quei segni stanno ancora lì a interrogarci se è vero o no che tutto sia riducibile a materia, a merce, ad oggetto, all’evanescenza del consumo del qui e dell’ora.
Se per caso non siamo anche destinati alla dimensione del sacro, del mistico, del misterioso. Persino dell’irrazionale. Ad un senso da ricercare più che da inseguire, conquistare e persino acquistare.
Non saranno né un papa né una chiesa né un dio a salvarci dalla furia distruttiva del capitale (e della guerra che torna in auge), ma fermarsi un momento, trovare degli spazi (anche comuni) di silenzio e di meditazione, farsi qualche domanda in punta di misticismo – male non ci farà.
Durante i giorni di veglia dopo la morte di Pio XII, un cattivo trattamento del corpo fece esplodere gli intestini con versamento di liquami maleodoranti tra i religioni in preghiera. Forse una metafora di questa putrida istituzione millenaria, che oggi ancor di più sente avvicinarsi la fine.
Grazie ,limpido e coraggioso ritratto del personaggio ,non in ginocchio ruffiano, saggia apertura a qualche forma di reazione ,rivoluzione, allo sfacelo della società ad opera di questo asfissiante Kapitalismus….
Ratzinger sosteneva che la ricerca scientifica avrebbe ucciso il cattolicesimo. In effetti, più l’essere umano si addentra, e comprende, i misteri della vita, più gli dei rimpiccioliscono. Chissà se quest’uomo credeva davvero, dopo aver tanto studiato, nell’esistenza di un dio, o se aveva abbracciato il sacerdozio per convenienza, come fanno in tanti.