Alienazione strategica

Quel che dovrebbe turbare di più quando si parla di guerra – di questa guerra in particolare, ma vale per ogni guerra – è la presa di distanza, l’astrazione, la disumanizzazione con cui per lo più se ne parla. Sia la visione geopolitica, più o meno cinica o brutale, sia quella militare, propagandistica, ideologica – tutto concorre a rappresentare il fenomeno guerra come un dispositivo, una megamacchina, di cui gli umani – i soldati, gli arruolati a forza, spesso i civili – sono solo dei “pezzi” (Stücken, come i nazisti nominavano gli ebrei internati nei campi).
Era stato Hegel ad evocare ed elogiare il “progresso” della guerra moderna, tramite la polvere da sparo, verso una forma di astrazione che nascondeva il volto e il corpo del nemico: la guerra non è più (ammesso lo sia stata in qualche epoca) una faccenda eroica del “corpo a corpo”, ma diventa un enorme meccanismo di cui i combattenti (e nel Novecento i civili come “mobilitati totali”) sono solo ingranaggi.

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