Filosofie della storia – 6. Il principio speranza di Bloch

1. Una filosofia della storia futura: quasi una contraddizione in termini.
La storia, il passato, la memoria, insieme alle condizioni materiali date, sono il complesso di elementi che pesa sulla vita degli umani, che sembra condizionarli, pre-determinarli, obbligarli su strade necessitate. Evocare quindi una filosofia della storia futura appare quantomai problematico, se si pensa alla forza di quei condizionamenti. Nello stesso tempo – basti pensare alla vita dei singoli – esiste pur sempre una controforza, una pulsione che spinge in direzione del nuovo, dell’inusitato, del non-ancora. Se c’è nell’individuo deve esserci anche in quell’individuo più in grande che è la collettività – fino probabilmente a spingersi all’intera umanità. Questa pulsione viene individuata dal filosofo tedesco Ernst Bloch nel principio speranza (Prinzip Hoffnung).
Principio, non solo affetto: Bloch pensa che la speranza non sia da restringere al campo sentimentale o soggettivo, ma che piuttosto costituisca una forza evolutiva presente a monte, ontologicamente, nell’essere, nella materia, nella vita stessa. Non solo: la speranza ha anche un significato cognitivo, è docta spes, una sorta di scienza utopica.

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Ribollire di utopia

L’uomo non è fitto è il titolo di un paragrafo del primo volume de Il principio speranza di Ernst Bloch, nel quale si discute, tra le altre cose, il significato utopico del marxiano sogno di una cosa e, più in generale, dei sogni ad occhi aperti. Bloch scrive a tal proposito:

«Che si possa veleggiare verso i sogni in questo modo, che i sogni a occhi aperti, spesso di tipo completamente scoperto, siano possibili, tutto ciò rende manifesto il grande posto che ha nell’uomo la vita ancora aperta, ancora incerta. […] Questo ribollire e mugghiare alla superficie della coscienza divenuta è il primo correlato della fantasia, all’inizio solo interiore, che si trova proprio nella fantasia stessa. Anche i sogni più sciocchi sono comunque esistenti come spuma da cui a volte è sorta una Venere. L’animale non conosce niente del genere; solo l’uomo, sebbene sia molto più desto, ribolle di utopia. La sua esistenza è per così dire meno fitta sebbene egli, paragonato alle piante e agli animali, esista molto più intensivamente».

Nell’uomo qualcosa è rimasto cavo, un vuoto di possibilità ancora inespressa. Ma è la stessa vita ad essere altrettanto incompiuta: l’effettuale è processo, dove il divenuto non ha mai vinto completamente. La speranza e l’utopia hanno, dunque, un fondamento ontologico, nella vita e nella materia stessa, ben al di là del loro essere sentite ed esperite emotivamente.

 

Filosofie della storia – 5. Post-moderno, fine della storia e messianismo

L’ultimo scorcio del Novecento sembra chiudersi filosoficamente con una sorta di resa della ragione che ha fondato la modernità: il filosofo francese Lyotard pubblica nel 1979 La condizione postmoderna, lo scritto con il quale si apre l’epoca della fine delle grandi narrazioni (le ideologie totalizzanti e unificanti, l’universale, l’assoluto, ecc.) – e però entra in crisi lo stesso asse portante del “moderno”, la moda e il modo dell’ora, del recente, del nuovo, l’ideologia del progresso infinito.
La medesima idea di filosofia della storia, di storia universale, di un’evoluzione storica unitaria entra in crisi: potremmo dire che si apre l’epoca della crisi per antonomasia interna al mondo occidentale (krisis è parola greca che indica un apice di forza e di tensione che occorrerà risolvere in un senso o nell’altro, ma che nella lotta che lo contraddistingue resta incerto nel suo esito).

A partire allora da questa irreversibile consapevolezza critica – e di disincanto – proveremo a mettere in scena alcune tesi di filosofia della storia elaborate nel corso del ‘900, secolo quantomai storico se non storiolatrico, le cui certezze però vanno in crisi proprio al suo volgere: il secolo forse più denso di storia che si sia mai dato, se non altro per le tragedie storiche che vi si sono svolte, e che non hanno precedenti, si chiude con un senso di totale irresolutezza riguardo al futuro.

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Selvaggi e degenerati

La spocchia liberale e il supposto primato dell’Occidente hanno una lunga storia e sedimentazione nella mentalità, sia intellettuale che corrente.
Francis Bacon, che vedeva nelle vele e nei cannoni un simbolo di progresso, sostiene ad esempio in Ad Advertisement Touching an Holy War che così come esistono persone da mettere al bando, esistono nazioni da mettere al bando, ovviamente per legge di natura o volere divino. Questi paesi riottosi sono piuttosto «orde e branchi, dal momento che sono genti del tutto degenerate rispetto alle leggi di natura», ed è dunque legittimo se non doveroso «eliminarli dalla faccia della terra».
Alla fine del ‘700 il giurista Emer de Vattel, uno dei codificatori del diritto internazionale, scrive senza peli sulla lingua che «le nazioni sono giustificate nell’unirsi come unico corpo allo scopo di punire, e perfino sterminare, genti così selvagge».
Se ne ricava che paesi “civili e ordinati” possono legittimamente distruggere paesi “canaglia” degenerati e indegni di vivere nel consesso delle nazioni.

[fonte: Amitav Gosh, La maledizione della noce moscata]

 

La più deprimente di tutte le saghe

Due appunti di Canetti sulla storia, risalenti al 1950:

«Darei molto se potessi disimparare a vedere il mondo nella prospettiva della storia. Questa divisione per anni è miserevole, tanto più quando si estende alla vita degli animali e delle piante nei periodi in cui non era ancora gravata della nostra presenza. La corona della tirannia umana è il computo degli anni; la più deprimente di tutte le saghe è quella che racconta che il mondo sarebbe stato creato per noi».

Ovviamente noi oggi sappiamo – dovremmo saperlo per lo meno dai tempi di Spinoza – che non siamo affatto il fine della vita o della creazione, e che il nostro impero nell’impero è fasullo; eppure né la conoscenza, né lo scetticismo, nemmeno un fugace sospetto scalfisce la credenza di fondo, e così ci comportiamo come se fossimo davvero i padroni del tempo e dello spazio storico. E come se la storia non potesse procedere altrimenti che così. Canetti fa a tal proposito un’ulteriore osservazione:

«La storia presenta tutto come se niente si fosse potuto svolgere altrimenti. Invece si sarebbe potuto svolgere in cento modi. La storia si mette dalla parte di quel che è avvenuto e lo distacca dal non avvenuto costruendo solide connessioni. Tra tutte le possibilità si basa su quella sola che è sopravvissuta. Così agisce sempre la storia, come se fosse dalla parte dell’avvenimento più forte, cioè di quello realmente avvenuto; non sarebbe potuto rimanere non avvenuto, doveva avvenire».

Filosofie della storia – 3. Nuovi mondi: le Americhe, l’Oriente. “Selvaggi” e civilizzati

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 16.01.2023]

Questo e il prossimo si possono considerare un unico incontro da suddividere in due puntate: tratteremo dell’istituirsi, con la modernità occidentale a partire dalla fine del XV secolo, di quella visione geostorica che via via si allargherà all’intero globo terracqueo, e che darà luogo ad una vera e propria filosofia della storia occidentale, tra Illuminismo ed epoca dell’ascesa della borghesia industriale. L’arco che ci interessa va dunque dalla “scoperta” dell’America di Colombo fino al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, un arco di 350 anni il cui processo condurrà fino alla globalizzazione del tardo Novecento – e alla sua crisi negli anni ‘20 del XXI secolo.
Se nello scorso incontro ci siamo concentrati su alcuni elementi fondativi della visione storica occidentale, in particolare per quel che riguarda la temporalità e la visione “progressiva” e diveniente, ci concentreremo ora sullo spazio, ovvero sugli aspetti geografici, geostorici ed antropologici – elementi che confluiranno, tra l’altro, nella visione geopolitica contemporanea.
L’annuncio di quest0 nuovo mondo è ben testimoniato dal filosofo inglese Bacone, che vede con acume visionario nelle vele e nei cannoni – e più in generale nella tecnica – i soggetti principali di una epoca di grande trasformazione: vele e cannoni viaggiano su mari e oceani, ed è proprio questa la chiave di volta di un’accelerazione temporale della storia e di un suo allargamento spaziale come mai prima nella storia umana.

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Eccedenza o uguaglianza?

Una ricostruzione (all’osso) della storia economico-politica dal neolitico in qua:
a) ciò che distingue l’animale umano dagli altri animali è l’eccedenza produttiva
b) il potere si riduce alla capacità di intercettare ed organizzare le eccedenze (tramite schiavitù, tributi, manipolazioni)
c) il tentativo radicale e marxiano – fallito – era quello di immaginare che tali eccedenze si potessero amministrare collettivamente
d) alcuni antropologi contemporanei scompigliano i giochi e ritengono che l’unico modo di stabilire una forma sostanziale di uguaglianza sia quello di eliminare alla radice la possibilità di accumulare eccedenze (praticamente impossibile per società ipercomplesse come le nostre).
Il dilemma diventa: rinunciare alle eccedenze (alla società comoda, alla guerra e alla probabile distruzione del pianeta) o all’uguaglianza?

(fonte: L’alba di tutto, di D. Graeber e D. Wengrow)

Filosofie della storia – 2. Se la storia ha un senso: per i greci, per i cristiani, per i moderni

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 12.12.2022]

Sommario: Una pagina di Berdjaev sul concetto di “storico” – Il metodo dell’istorìa – La geostoria di Ecateo – Le Storie di Erodoto – Il rigore di Tucidide – Assenza di una “filosofia della storia” nel mondo greco – L’universalismo di Polibio – Messianismo biblico – La città di Dio di Agostino – L’escatologia in Gioacchino da Fiore – Tempo lineare e “progresso”

In una pagina molto ispirata all’inizio del saggio del 1923 Il senso della storia, il filosofo spiritualista russo Nikolaj Berdjaev evoca un’aria di profonda universalità e spiritualità nel rapporto che lega l’individuo al destino storico – più che dei singoli popoli o stati o nazioni, dell’intera umanità. Quasi che il senso dell’uomo sia quello della storia e viceversa, che il mistero dell’umanità si riveli proprio nella storia e che esista una intensa e sotterranea corrispondenza che lega tutte le epoche: dice Berdjaev che “tutto è mio”, l’intera spiritualità umana si riversa nel singolo che ne partecipa.
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Filosofie della storia – 1. Il tempo umano: storia, memoria, oblio

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 14.11.2022]

1. Quella che si vuol condurre in questo ciclo di incontri è un’indagine sulla storicità, ovvero il tentativo di andare a vedere quali sono i fondamenti della propensione umana a fare storia, a muoversi su linee del tempo, trasformando se stessi, gli ambienti naturali, le organizzazioni sociali.
La storicità è un portato “ontologico”, “naturale” dell’essere umano? Una sua facoltà costitutiva ed originaria, così come il suo essere politico per Aristotele? Oppure esistono culture senza storia, civiltà che della storia hanno fatto il loro fulcro e civiltà immobili, società fredde e società calde, per usare la distinzione dell’antropologo Lévi-Strauss?
Ovviamente non potremo non chiederci che cos’è la storia, anche se è alle sue spalle (o alle sue radici) che proveremo a muoverci, con la consapevolezza che proprio lo storicizzare, il concepire cioè ogni manifestazione umana e naturale come “storica”, sia parte essenziale della nostra mentalità (nella fattispecie della civiltà occidentale, che ha inevitabilmente condizionato gran parte delle culture e civiltà moderne): dunque ci chiederemo da storicizzati che cos’è che storicizza e rende storico il modo di guardare al mondo, un’operazione ai limiti dell’equilibrismo.
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Sgretolamento

L’idea che sia tutto da ripensare non può non sfiorarci.
È probabile che in ogni passaggio storico percepito come critico – come quando un mondo si sgretola e ancora non si avverte il profilo del successivo – questa sensazione di inadeguatezza sia una costante: anche se oggi ci sembra più diffusa del solito.
Lo è in particolare da qualche decennio – con una spinta ulteriore negli anni ‘20 del XXI secolo – proprio perché i processi sembrano sfuggire alla nostra comprensione. L’accelerazione tecnologica, le sfide cognitive (pandemia ma non solo), la crescita della coscienza del nostro impatto sugli ecosistemi, l’avvento di un nuovo – conflittuale – sistema geopolitico a vocazione multipolare – alla vigilia della meta demografica degli 8 miliardi di umani: tutto questo sembra “troppo” per le categorie di comprensione a cui eravamo abituati.
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