Filosofie della storia – 5. Post-moderno, fine della storia e messianismo

L’ultimo scorcio del Novecento sembra chiudersi filosoficamente con una sorta di resa della ragione che ha fondato la modernità: il filosofo francese Lyotard pubblica nel 1979 La condizione postmoderna, lo scritto con il quale si apre l’epoca della fine delle grandi narrazioni (le ideologie totalizzanti e unificanti, l’universale, l’assoluto, ecc.) – e però entra in crisi lo stesso asse portante del “moderno”, la moda e il modo dell’ora, del recente, del nuovo, l’ideologia del progresso infinito.
La medesima idea di filosofia della storia, di storia universale, di un’evoluzione storica unitaria entra in crisi: potremmo dire che si apre l’epoca della crisi per antonomasia interna al mondo occidentale (krisis è parola greca che indica un apice di forza e di tensione che occorrerà risolvere in un senso o nell’altro, ma che nella lotta che lo contraddistingue resta incerto nel suo esito).

A partire allora da questa irreversibile consapevolezza critica – e di disincanto – proveremo a mettere in scena alcune tesi di filosofia della storia elaborate nel corso del ‘900, secolo quantomai storico se non storiolatrico, le cui certezze però vanno in crisi proprio al suo volgere: il secolo forse più denso di storia che si sia mai dato, se non altro per le tragedie storiche che vi si sono svolte, e che non hanno precedenti, si chiude con un senso di totale irresolutezza riguardo al futuro.

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La piccola porta da cui può entrare il messia

Tra la fine del 1939 e il 1940, Walter Benjamin scrive le tesi Sul concetto di storia, quello che può essere considerato il suo testamento filosofico, un vero e proprio Manifesto di un partito rivoluzionario a venire, conficcato nel mezzo del Novecento, mentre infuria la più terribile delle bufere. Il filo conduttore delle tesi sta nella confluenza di materialismo storico e messianismo teologico ebraico secolarizzato, e dunque in una rilettura della teoria marxiana della storia e della rivoluzione: la vittoria della lotta di classe non è affatto un automatismo della storia, la quale si trova piuttosto senz’anima e senza speranza se affidata alle magnifiche sorti del progresso, sia borghese che socialdemocratico (del tutto incapaci di fermare l’avvento del fascismo tecnocratico).
Il tempo della rivoluzione non può essere lineare, né provenire da un vuoto futuro, quanto semmai Jetztzeit – presentificazione dirompente della spettralità dei vinti della storia. Se l’angelo non può arrestare il corso degli eventi, né piegarsi pietosamente a “ricomporre l’infranto”, è compito dei rivoluzionari “organizzare il pessimismo” senza cedere all’acèdia, ovvero al fatalismo malinconico.
È, quella di Benjamin, una scrittura densa ed allusiva, che fa uso di allegorie e metafore, e che va quindi collocata nel suo contesto storico e filosofico. Ma, allo stesso tempo, è un pensiero quantomai utopico e dirompente, un atto di amore universale per la rivoluzione e gli oppressi scritto sull’orlo dell’abisso – sia personale che storico. Quello che segue è un tentativo di sintesi, a sottolineare i punti e gli snodi essenziali.

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Filosofie della storia – 4. Da Rousseau a Marx

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 13.02.2023]

È a partire dal ‘700, il secolo dei Lumi, che in Europa si viene formando una coscienza storica (e filosofica) che mette insieme quei salti temporali e spaziali che avevano preparato l’epoca moderna: l’idea, cioè, di un tempo lineare e progressivo e di uno spazio geografico globale, insieme al problema crescente della relazione tra le diversità culturali ed antropologiche, trovano una prima grande sistemazione concettuale nei filosofi a cavallo tra XVIII e XIX secolo, in un arco che va da Rousseau a Marx. Già Vico, poco prima, aveva chiamato non a caso “scienza nuova” la storia – l’unica scienza rigorosa possibile: se è vero che verum e factum corrispondono, e che la natura è fatta da Dio e solo Dio può conoscerne le leggi interne, allora ciò deve valere per la storia in relazione agli uomini, che proprio perché la fanno possono conoscerla dall’interno. Manca ancora un passo, che verrà fatto solo nel secolo successivo: poiché gli uomini fanno la storia, possono eventualmente anche disfarla e deviarne il corso.
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Filosofie della storia – 3. Nuovi mondi: le Americhe, l’Oriente. “Selvaggi” e civilizzati

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 16.01.2023]

Questo e il prossimo si possono considerare un unico incontro da suddividere in due puntate: tratteremo dell’istituirsi, con la modernità occidentale a partire dalla fine del XV secolo, di quella visione geostorica che via via si allargherà all’intero globo terracqueo, e che darà luogo ad una vera e propria filosofia della storia occidentale, tra Illuminismo ed epoca dell’ascesa della borghesia industriale. L’arco che ci interessa va dunque dalla “scoperta” dell’America di Colombo fino al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, un arco di 350 anni il cui processo condurrà fino alla globalizzazione del tardo Novecento – e alla sua crisi negli anni ‘20 del XXI secolo.
Se nello scorso incontro ci siamo concentrati su alcuni elementi fondativi della visione storica occidentale, in particolare per quel che riguarda la temporalità e la visione “progressiva” e diveniente, ci concentreremo ora sullo spazio, ovvero sugli aspetti geografici, geostorici ed antropologici – elementi che confluiranno, tra l’altro, nella visione geopolitica contemporanea.
L’annuncio di quest0 nuovo mondo è ben testimoniato dal filosofo inglese Bacone, che vede con acume visionario nelle vele e nei cannoni – e più in generale nella tecnica – i soggetti principali di una epoca di grande trasformazione: vele e cannoni viaggiano su mari e oceani, ed è proprio questa la chiave di volta di un’accelerazione temporale della storia e di un suo allargamento spaziale come mai prima nella storia umana.

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Filosofie della storia – 2. Se la storia ha un senso: per i greci, per i cristiani, per i moderni

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 12.12.2022]

Sommario: Una pagina di Berdjaev sul concetto di “storico” – Il metodo dell’istorìa – La geostoria di Ecateo – Le Storie di Erodoto – Il rigore di Tucidide – Assenza di una “filosofia della storia” nel mondo greco – L’universalismo di Polibio – Messianismo biblico – La città di Dio di Agostino – L’escatologia in Gioacchino da Fiore – Tempo lineare e “progresso”

In una pagina molto ispirata all’inizio del saggio del 1923 Il senso della storia, il filosofo spiritualista russo Nikolaj Berdjaev evoca un’aria di profonda universalità e spiritualità nel rapporto che lega l’individuo al destino storico – più che dei singoli popoli o stati o nazioni, dell’intera umanità. Quasi che il senso dell’uomo sia quello della storia e viceversa, che il mistero dell’umanità si riveli proprio nella storia e che esista una intensa e sotterranea corrispondenza che lega tutte le epoche: dice Berdjaev che “tutto è mio”, l’intera spiritualità umana si riversa nel singolo che ne partecipa.
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L’orizzonte hegeliano

Hegel era senz’altro capace di ironia, talvolta caustica, così come senz’altro incapace di autoironia (forse le due cose si contraddicono, ma lui era un grande esperto in materia).
Chissà se quindi avrebbe applicato su di sé, due secoli dopo, quanto aveva detto a proposito di alcuni filosofi dell’antichità e della mole delle loro opere. È il caso di Crisippo, grande stoico del III secolo a.C., cui venivano attribuite non meno di 700 opere, andate tutte perdute. Hegel, nelle sue Lezioni di storia della filosofia (che peraltro sono frutto di appunti dei suoi allievi), dice che «se è da deplorare che non si sia salvata neppure una delle sue opere migliori, tuttavia è forse una fortuna che non si siano conservate tutte: se si dovesse scegliere fra tutte e nessuna, la decisione sarebbe difficile».
Dopotutto, anche senza quelle migliaia di pagine, il principio filosofico espresso dagli stoici (o da altri filosofi di cui ci resta non più di un frammento o di una diceria) è chiarissimo lo stesso.
Ovviamente nessuno studioso ed esegeta hegeliano – e forse nessun odierno storico della filosofia – applicherebbe quella lapidaria boutade alle 4000 pagine di trascrizioni di uditori hegeliani rinvenute a Monaco, in gran parte relative all’estetica nel periodo di Heidelberg, e con qualche possibile novità sul concetto di libertà.
Ma, cosa più importante, e al di là dell’ironia della sorte, resta il fatto che nessun occidentale possa dirsi fuori (o in salvo?) dall’orizzonte hegeliano. Oggi, che la storia ha ripreso a marciare a suon di bombe, più che mai.