Le parole del contagio

La morte – come da un’alta vetta –
riformula i criteri di giudizio
e ciò che non credemmo
ora scorgiamo chiaro
(Emily Dickinson)

«Non ho visto, pertanto, nient’altro da fare che provare, come chiunque altro, a sequestrarmi a casa mia e nient’altro da dire che esortare chiunque altro a fare lo stesso», così scrive Alain Badiou.
E alla domanda: “Che cosa possiamo imparare dal virus?”, Massimo Cacciari risponde seccamente: Nulla. A stare fermi un po’. Cosa volete imparare? Basta con questa retorica che dalle difficoltà si esce migliori. Il nostro cervello è lo stesso di 100.000 anni fa…

Qualcuno si sarà senz’altro chiesto che cosa può dire o fare la filosofia di fronte ad un evento come quello che stiamo vivendo, così violento e inaspettato (uno dei problemi è anche quello della sua definizione e qualificazione). Hanno ragione Badiou e Cacciari: la filosofia non può nulla. La filosofia non può modificare il corso degli eventi, la filosofia non può prevenirli, la filosofia non può nemmeno consolare gli animi. Ciò che forse può fare la riflessione filosofica è aiutare le menti ottenebrate degli umani a vedere con maggior chiarezza quel che hanno davanti (o sotto i loro piedi o alle loro spalle o dentro di loro), anche se in un senso radicalmente diverso da quello della scienza. Ecco, la scienza può provare a prevenire, modificare, curare, salvare (anche se non è detto che ci riesca), la filosofia no. La religione può provare a consolare, confortare, rasserenare, ma non la filosofia. Compito della filosofia è solo quello di dire il vero, o di provarci. La verità, una parola che può anche svelare cose che non vorremmo né vedere né sapere.
Continua a leggere “Le parole del contagio”

7 parole per 7 meditazioni – 5. Superuomo

[mentre esponevo questa introduzione al pensiero di Nietzsche, guardando i volti pur attenti dei presenti, cresceva in me la sensazione di una lontananza abissale tra le loro – le nostre – vite e quel pensiero, sensazione che si è acuita durante l’imbarazzata discussione, specie quando il Superuomo ha preso a stagliarsi lì nel mezzo, con tutte le sue ambiguità; vero è che è la natura stessa della filosofia a rappresentare questa apparente lontananza, resa plasticamente fin dalle origini con l’immagine della serva tracia che sbeffeggia Talete caduto in un fosso per aver guardato il cielo; questa sensazione di disagio e di straniamento nel caso di Nietzsche cresce a dismisura, perché il suo pensiero e il suo linguaggio sono ben più che abissali, e finiscono per erodere il terreno sotto i nostri piedi, provocarci le vertigini e lasciarci senza appigli; se le domande filosofiche sono troppo radicali e hanno la forma di espressioni perturbanti – che ne è della tua vita e del suo senso? dove poggiano e dove vanno i tuoi piedi? che fine hanno fatto le tue certezze e verità? guarda che dio è morto! sicuro della tua nicchia, del tuo spazio, delle tue comodità? d’ora in poi si naviga a vista! – e se poi sono formulate nel modo più paradossale, elitario e supponente, ci fanno storcere il naso; ma a ben pensarci solo un pensiero così terribile, che ci scuote fin nelle fibre più interne, ci può indurre a pensare in grande; del resto nessun medico, né del corpo né dell’anima, ce lo prescrive, e si può vivere benissimo (o malissimo o metà e metà) anche senza leggere gli urticanti aforismi nietzscheani, anche se… fatti non foste a viver come bruti, né tantomeno in forma di gregge o meccanismo…]

***

Continua a leggere “7 parole per 7 meditazioni – 5. Superuomo”

Il volto e il corpo dell’altro – 4. L’animale in noi, gli animali fuori di noi

La “questione animale” è probabilmente una delle grandi questioni filosofiche (se non la più importante) della contemporaneità. A ben pensarci è un tema che mette in causa lo statuto etico, antropologico, persino ontologico della nostra specie – i concetti di natura umana, scienza, vita, morte, compreso il crescente desiderio di immortalità: attraverso il nostro rapporto con gli animali e l’animalità definiamo quel che siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.
Animale è concetto paradossale che evoca prossimità e separazione ad un tempo. Tutto il discorso sul rapporto umano/animale è, come vedremo, costellato di elementi paradossali.

Partiamo, come sempre, dalle parole, dai concetti: “animale” è parola astratta, se si vuole vuota, del tutto incapace di definire la moltitudine di forme viventi cui parrebbe alludere. Animale ed animalità si pongono in prima istanza come i concetti che discriminano l’essere umano da ciò che non lo è, sé dalle altre specie, sé dall’altro da sé: l’animale è il paradigma dell’alterità, l’altro per eccellenza. E su questa alterità è probabile che si siano storicamente costituite tutte le altre.
Ma l’animale è, in primo luogo, l’animale in noi: ciò da cui homo sapiens intende separarsi – natura, corpo, sensibilità. L’animalità è essenzialmente ciò da cui l’io – la forma propria dell’umano – si allontana progressivamente: io – l’umano – è mente, coscienza, spirito, ovvero tutto ciò che non è corpo e natura. Come ci suggerisce Cimatti, in questo processo di costituzione della nostra antropologia, del nostro modo di essere, addomesticamento dell’animale esterno e autoaddomesticamento del corpo (l’animale interno) corrono paralleli.
La macchina antropologica (o antropogenica) è esattamente il processo storico di separazione dall’animalità.

Continua a leggere “Il volto e il corpo dell’altro – 4. L’animale in noi, gli animali fuori di noi”