La catasta del significato

index.phpInseguivo la lettura di questo libro da tempo. Parlando di (e rivolgendosi a) ragazzi, quand’era uscito, ormai quindici anni fa, aveva suscitato molto clamore. E persino qualche censura.
È un libro terribile, non c’è dubbio. Ma non così terribile se commisurato alla crescente insensatezza del mondo – con le sue guerre ed atrocità, compreso l’ormai irreversibile destino entropico della biosfera.
Il racconto si basa su un assunto molto semplice: non c’è niente che abbia senso – slogan proclamato da Pierre Anthon, che all’inizio del nuovo anno scolastico, senza apparente motivo, esce dalla classe, abbandona la sua  normale vita di tredicenne e sale su un albero di susine. Dal quale comodamente seduto (si suppone sia anche diventato fruttariano), comincerà ad urlare ogni giorno ai compagni di classe che passano lì sotto di non darsi pena, che tanto nulla ha significato, e che tutto è destinato a perire. [Con buona pace, evidentemente, di Parmenide e, soprattutto, di Emanuele Severino].
Ma i suoi coetanei non intendono accettare quel verdetto e raccolgono la sfida: contro il nichilista appollaiato sul ramo cominciano a radunare oggetti simbolici volti a formare una vera e propria “catasta del significato”, al fine di contraddirlo. Ciascuno sacrifica qualcosa dell’altro, in una catena che da grottesca si fa via via sempre più macabra, in un crescendo di assurdità e crudeltà che rischia di sfuggir loro di mano.
Al punto che proprio l’eccesso di significazione rischierà di sprofondare tutto e tutti nell’abisso dell’insensatezza – come quando si guardano le cose troppo da vicino e non se ne comprendono più forma e lineamenti.
L’autrice spinge il gioco fino in fondo, fino alle estreme – terrificanti – conseguenze, perché lei sa, come i suoi giovani protagonisti “che con il significato non si scherza”. E che di significato – o di nichilismo – si può anche morire.

Sesso infante

kidssoundtrack

Per gli “adulti” benpensanti che se la menano su “sesso e adolescenza”, un vademecum di ovvietà (nell’epoca in cui l’ovvio appare intelligente):
1. Rileggersi Freud a proposito della sessualità infantile
2. Chiedersi a quale stadio di infantilizzazione loro si trovino
3. Chiedersi a quale stadio di adultizzazione abbiano indotto gli adolescenti
4. Tracciare una riga sul muro e provare a stabilire con estrema precisione gli stadi della propria evoluzione sessuale
5. Chiedersi quante volte hanno parlato di sesso in maniera morbosa
6. Chiedersi quante volte non hanno parlato di sesso con i figli
7. Farsi un esame di coscienza circa la loro dubbia opposizione al più grande induttore di prostituzione generalizzata della società italiana degli ultimi 20 anni
8. Guardarsi attorno e verificare quanti oggetti consumano e possiedono
9. Confessare, almeno a se stessi, alcuni torbidi ed inconfessabili desideri
10. Chiedersi infine: ma cosa cazzo è il sesso?

McBulimia

Travelsoft è un gruppo di adolescenti creativi che scrive, produce ed interpreta video ironici e parodistici, reperibili sul canale di youtube, e che ho avuto il piacere di ospitare tempo fa nella mia biblioteca. In quell’occasione avevo chiesto loro se nel produrre il video qui sopra, si fossero per caso posti in un’ottica critica – tipo: società dei consumi, cultura del McDonald, spreco, cannibalismo o simili. La loro risposta è stata un candido “mah!, veramente non ci avevamo pensato”.
Ora, io non voglio attribuire significati reconditi, costruiti a priori o surrettizi a tutti i costi. E neppure eccedere in psicologismi o determinismi dell’inconscio. Però non posso nemmeno credere che questo video caustico e beffardo, pur in tutta la sua selvaggia e adolescenziale spontaneità, sia solo frutto del caso o di un pomeriggio di noia. Trovo anzi che sia politicissimo ed eticissimo, e che i suoi autori si debbano rassegnare a tale evidenza.
Benvenuti dunque nel mondo della videoresponsabilità!

No

“Ho paura di crescere in questo paese” – tra i tanti commenti che oggi ho letto o ascoltato, questo mi è sembrato uno dei più terribili e sinceri. Lo ha scritto Gabriele, un ragazzo che conosco, più o meno coetaneo di Melissa, la ragazza uccisa questa mattina a Brindisi.

Strategia della tensione?
Sì, certo che lo è, qualsiasi mano abbia messo la bomba: nessuna casualità, troppi simboli ad affollarsi lì intorno. Ratio quantomai politica. Strategia allo stato puro: una teoria che genera un fatto – corpi che esplodono – che a sua volta genererà altre teorie. Parole e simboli pronti all’uso. Magari per bastonare o lanciare altre bombe.

La storia che quelle ragazze e quei ragazzi dovrebbero studiare sui libri, certo annoiandosi e sbadigliando, si è presentata in carne ed ossa – ferro e fuoco – stamattina. Ha bussato alle loro porte. Una storia che da questo paese non se ne vuole andare – piazze, treni, stazioni, musei, ed ora persino scuole. Scuole!

Fare silenzio? Solo per un momento.
Subito dopo urlare, ma non da soli.
Un grido collettivo che dica no e basta e mai più.
E che batta altre strade.
Non certo quelle di una pace terrificante.

Un giorno questo straniamento ti sarà utile

“Anna avrebbe voluto morire
Marco voleva andarsene lontano
qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”
(Lucio Dalla)

Gli adolescenti mi danno da pensare. Forse perché cerco di ricordarmi com’ero io all’epoca e provo un certo disagio nel figurarmi goffo, inadeguato, inadatto – sempre in conflitto con un mondo pronto indifferentemente ad assorbirmi o a stritolarmi. “Quante balle si ha in testa a quell’età […] a vent’anni si è stupidi davvero“, cantava Francesco Guccini – anche se i suoi 20 anni corrispondono ben poco a quelli di oggi, e tantomeno a quella fascia del tutto aliena che va dai 14 ai 18.
Mi vien però da dire che se i bambini sono naturalmente disposti alla filosofia – dato che si fanno tante domande e chiedono in maniera petulante ed asfissiante “perché?”, allora lo sono anche gli adolescenti, magari per ragioni diametralmente opposte, dato che non si chiedono un bel niente (o sono indotti a non farlo), e quando per avventura si fermano a chiedersi qualcosa, lo fanno da una posizione di radicale straniamento. Lo esemplifico con tre scene – due di vita vissuta, una di vita fittizia e rappresentata. Continua a leggere “Un giorno questo straniamento ti sarà utile”

Shut up!

Seul le silence est grand;
tout le reste est faiblesse.
(A. de Vigny)

Uh com’è difficile restare
calmi e indifferenti
mentre tutti intorno fanno rumore.
(F. Battiato)

La cosa che raccomanderei di più oggi agli adolescenti?
Solo una: la pratica del silenzio.
Non: studiare, informarsi, amare, lottare, relazionarsi, appassionarsi.
No. Ce n’è già abbastanza, di tutto questo.
Ma di silenzio?
Ecco perché consiglierei loro soltanto: un’ostinata resistente controcorrente ricerca del silenzio.
Imparare a far silenzio, stare in silenzio.
Ritrovare spazi per la meditazione, per la riflessione.
Isolarsi, anche solo per un momento.
Staccare tutti i dispositivi elettronici.
Chiudere il cellulare, disconnettersi dalla rete e da tutti i social network.
Sfilarsi le cuffie dalle orecchie.
Oscurare le immagini. Annullare i suoni.
Rimanere nudi e soli, senza protesi o cavi o invisibili onde addosso.
Far vuoto, oltre che silenzio, tutt’attorno.
E vedere quel che succede.
Continua a leggere “Shut up!”

Adolescenti III – Intervista a Laura B.

Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno,
lo fanno per la prima volta

(Jim Morrison)

A sparigliare i giochi sopraggiunge l’inserzione del nuovo, come sempre.
Dopo aver intervistato lo scorso anno MDB (il quale ci aveva fatto dono di una insospettabile saggezza adolescenziale, al contrario dei nazistelli incontrati l’anno prima), è ora la volta finalmente di ascoltare il punto di vista di una ragazza. Sarà casuale, ma anche qui non trapela nulla di quella vulgata che vorrebbe gli adolescenti dei rincoglioniti seriali, servi conformi del sistema dei consumi, a cui sfuggono al massimo con le strategie del bullismo, del teppismo e del nichilismo autolesionistico. Anzi, se alcuni “valori” sporgono sul piattume consumistico generale, questi sono ben netti e definiti, e hanno il nome (magari venerando e con un gusto un po’ retrò)  di rispetto, relazioni, amicizia, dignità, famiglia, responsabilità, regole, giudizio, persino introspezione – o, se si preferisce, il buon vecchio caro (e per alcuni estinto) esame di coscienza
Intendiamoci: nulla lascia presagire una presa di coscienza generazionale volta non dico a scardinare la società o a correggerne i difetti, ma per lo meno ad appropriarsi di qualche rudimentale strumento critico collettivo. E come potrebbe essere altrimenti, dopo quanto schizzato nei due post precedenti? Oltre al grave sospetto che possa trattarsi di un’eccezione (anche se in fondo non lo credo).
Nell’intervista a Laura – 16 anni, un po’ adultescente, nel senso che in questo caso è lei a proiettarsi in là diversamente da quegli adulti che infantilizzano in qua – emergono comunque aspetti piuttosto interessanti ed imprevisti: accanto ai luoghi comuni – e comuni non sta per banali, ma per conformi ad un’epoca, un tempo, una generazione – vi sono alcuni elementi di apertura al futuro. Ma soprattutto la bellezza e la spontaneità della risposta genuina e sincera, senza infingimenti o sovrastrutture.
Certo, l’intervista è una forma comunicativa sibillina e fuorviante, un domandare a senso unico che tende ad incasellare ed ingabbiare le risposte. Un lasciar parlare che rischia di rinchiudere il flusso in un recinto bell’e pronto. Il confine del pre-scritto, pre-determinato, programmato. Necessario ed insieme fastidioso. Vorrei che non fosse così. Ma non tocca più a me dire, fare, proporre in questo campo. Posso solo testimoniare l’assenza di una rottura. E però la sua auspicabilità.
Spero che dalle parole che seguono (insieme alle tante altre di tanti altri giovani) tale rottura emerga da sola e diventi così dirompente da sommergere anche questo mio dire e definire, teorizzare e rinchiudere in uno spazio pre-scritto. Affinché la scorza del mondo vada in pezzi a preludio di un davvero nuovo – tutto loromondo.

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Adolescenti I – Narcisi omologhi e conformi

Si parla continuamente di adolescenti. A proposito e (più spesso) a sproposito. L’adolescenza età della crisi, dell’incertezza, della scoperta di sé e del mondo. Età balorda. Età meravigliosa. Età passeggera… Ma l’adolescenza è anche (se non soprattutto) una costruzione sociale e culturale. Si può tranquillamente affermare che è stata inventata, e piuttosto di recente. Un tempo si era bambini, e poi di botto, con qualche rito secco di iniziazione, si diventava adulti.
Ora, io non so bene dire se questa “età di mezzo” serva alla specie (che ha allungato oltremisura il periodo dell’apprendimento e della formazione) – ma so per certo che è quantomai funzionale al mercato. Il dispositivo adolescenziale è in realtà una straordinaria mucca da mungere. Una gallina dalle uova d’oro. Un immenso business. Gli adolescenti hanno bisogni e (soprattutto) desideri pressoché illimitati. Ma proprio per questo, perché mai dare a questa età di transizione dei limiti? Perché non adolescentizzare gran parte della vita degli individui? Non a caso alcuni psicologi francesi hanno coniato il termine adulescence (kidults in lingua inglese, adultescenza in lingua italiana).

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