È, dunque, la violenza!

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Ho letto di recente Il caso Eddy Belleguele, che pare abbia spopolato in Francia. Qualche tempo fa avevo letto, di John Williams, Nulla, solo la notte. Un accostamento improprio, data la lontananza geografica, culturale, tematica, stilistica. Eppure: sarà che ultimamente vedo e percepisco straniamenti ovunque, trovo che entrambi questi brevi romanzi – oltre al contenuto della violenza che li lega – siano caratterizzati proprio dalla loro forma straniante.
Nel caso dello scrittore americano, in maniera praticamente dichiarata ed oltranzista (come del resto era già avvenuto in Stoner): il sogno con cui il racconto di Williams si apre, è una lenta messa a fuoco del fenomeno straniante per eccellenza, un riconoscimento solo a posteriori che la figura al centro della scena non è un altro, ma io – eppure è come se fosse un altro, e “io” e “altro” si equivalgono proprio in questa fuoriuscita e deflagrazione del senso. Irrelatezza e separatezza – “guardandola, fu assalito di nuovo dalla coscienza dell’evidente ed essenziale separatezza di tutte le persone” – sono la cifra esistenziale dominante, in tutto quel che accade al giovane Maxley in una qualsiasi giornata californiana, dall’alba a notte inoltrata (i termini temporali della narrazione, che sono però i termini di una vita insensata ed irrelata).
Ma è il giovane scrittore francese Èdouard Louis Continua a leggere “È, dunque, la violenza!”

Sesso infante

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Per gli “adulti” benpensanti che se la menano su “sesso e adolescenza”, un vademecum di ovvietà (nell’epoca in cui l’ovvio appare intelligente):
1. Rileggersi Freud a proposito della sessualità infantile
2. Chiedersi a quale stadio di infantilizzazione loro si trovino
3. Chiedersi a quale stadio di adultizzazione abbiano indotto gli adolescenti
4. Tracciare una riga sul muro e provare a stabilire con estrema precisione gli stadi della propria evoluzione sessuale
5. Chiedersi quante volte hanno parlato di sesso in maniera morbosa
6. Chiedersi quante volte non hanno parlato di sesso con i figli
7. Farsi un esame di coscienza circa la loro dubbia opposizione al più grande induttore di prostituzione generalizzata della società italiana degli ultimi 20 anni
8. Guardarsi attorno e verificare quanti oggetti consumano e possiedono
9. Confessare, almeno a se stessi, alcuni torbidi ed inconfessabili desideri
10. Chiedersi infine: ma cosa cazzo è il sesso?

Adolescenti III – Intervista a Laura B.

Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno,
lo fanno per la prima volta

(Jim Morrison)

A sparigliare i giochi sopraggiunge l’inserzione del nuovo, come sempre.
Dopo aver intervistato lo scorso anno MDB (il quale ci aveva fatto dono di una insospettabile saggezza adolescenziale, al contrario dei nazistelli incontrati l’anno prima), è ora la volta finalmente di ascoltare il punto di vista di una ragazza. Sarà casuale, ma anche qui non trapela nulla di quella vulgata che vorrebbe gli adolescenti dei rincoglioniti seriali, servi conformi del sistema dei consumi, a cui sfuggono al massimo con le strategie del bullismo, del teppismo e del nichilismo autolesionistico. Anzi, se alcuni “valori” sporgono sul piattume consumistico generale, questi sono ben netti e definiti, e hanno il nome (magari venerando e con un gusto un po’ retrò)  di rispetto, relazioni, amicizia, dignità, famiglia, responsabilità, regole, giudizio, persino introspezione – o, se si preferisce, il buon vecchio caro (e per alcuni estinto) esame di coscienza
Intendiamoci: nulla lascia presagire una presa di coscienza generazionale volta non dico a scardinare la società o a correggerne i difetti, ma per lo meno ad appropriarsi di qualche rudimentale strumento critico collettivo. E come potrebbe essere altrimenti, dopo quanto schizzato nei due post precedenti? Oltre al grave sospetto che possa trattarsi di un’eccezione (anche se in fondo non lo credo).
Nell’intervista a Laura – 16 anni, un po’ adultescente, nel senso che in questo caso è lei a proiettarsi in là diversamente da quegli adulti che infantilizzano in qua – emergono comunque aspetti piuttosto interessanti ed imprevisti: accanto ai luoghi comuni – e comuni non sta per banali, ma per conformi ad un’epoca, un tempo, una generazione – vi sono alcuni elementi di apertura al futuro. Ma soprattutto la bellezza e la spontaneità della risposta genuina e sincera, senza infingimenti o sovrastrutture.
Certo, l’intervista è una forma comunicativa sibillina e fuorviante, un domandare a senso unico che tende ad incasellare ed ingabbiare le risposte. Un lasciar parlare che rischia di rinchiudere il flusso in un recinto bell’e pronto. Il confine del pre-scritto, pre-determinato, programmato. Necessario ed insieme fastidioso. Vorrei che non fosse così. Ma non tocca più a me dire, fare, proporre in questo campo. Posso solo testimoniare l’assenza di una rottura. E però la sua auspicabilità.
Spero che dalle parole che seguono (insieme alle tante altre di tanti altri giovani) tale rottura emerga da sola e diventi così dirompente da sommergere anche questo mio dire e definire, teorizzare e rinchiudere in uno spazio pre-scritto. Affinché la scorza del mondo vada in pezzi a preludio di un davvero nuovo – tutto loromondo.

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Adolescenti II – L’era dell’infantilismo

[In questo post – più lungo di quanto avessi preventivato – ragiono sul processo di infantilizzazione nell’epoca dell’iperconsumo, mentre rilevo alcuni paradossali esiti delle categorie e dei movimenti libertari e più in generale dell’agire politico.
Sommario: Il cittadino-cliente – Infantilizzazione e mito dell’adulto – Deificazione del desiderio – Carpe diem! – Paradossi libertari – Fine della politica?]

Nel saggio Consumati: da cittadini a clienti (Einaudi, 2010), il politologo americano Benjamin Barber dedica tutta la prima parte all‘ideologia infantilistica che permea questa fase dello sviluppo capitalistico. L’autore sostiene come proprio l’infantilizzazione sia diventata il motore più importante del modello consumistico impostosi negli ultimi decenni, specie dopo l’abbandono dell’originario spirito dell’etica protestante e il passaggio dalla fase della produzione dei beni a quella dei bisogni.
L’operazione in corso è a tenaglia: da una parte abbassare la soglia dell’età del consumo, dall’altra infantilizzare il mondo adulto. Interessante come l’autore rilevi en passant che per far ciò il Capitale utilizza anche la leva dell’indebolimento delle figure parentali, “guardiani del cancello”, al fine di conquistare menti e anime dei bambini.
Il fulcro del processo non poteva che essere il mondo americano – Nuovo Mondo da sempre per antonomasia. A tal proposito vorrei allargare il campo di osservazione scelto da Barber (al cui testo rinvio per l’analisi), e spostarmi sulle categorie socioantropologiche di lungo periodo sottese e su alcuni paradossali esiti che mi pare di aver ravvisato.

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Adolescenti I – Narcisi omologhi e conformi

Si parla continuamente di adolescenti. A proposito e (più spesso) a sproposito. L’adolescenza età della crisi, dell’incertezza, della scoperta di sé e del mondo. Età balorda. Età meravigliosa. Età passeggera… Ma l’adolescenza è anche (se non soprattutto) una costruzione sociale e culturale. Si può tranquillamente affermare che è stata inventata, e piuttosto di recente. Un tempo si era bambini, e poi di botto, con qualche rito secco di iniziazione, si diventava adulti.
Ora, io non so bene dire se questa “età di mezzo” serva alla specie (che ha allungato oltremisura il periodo dell’apprendimento e della formazione) – ma so per certo che è quantomai funzionale al mercato. Il dispositivo adolescenziale è in realtà una straordinaria mucca da mungere. Una gallina dalle uova d’oro. Un immenso business. Gli adolescenti hanno bisogni e (soprattutto) desideri pressoché illimitati. Ma proprio per questo, perché mai dare a questa età di transizione dei limiti? Perché non adolescentizzare gran parte della vita degli individui? Non a caso alcuni psicologi francesi hanno coniato il termine adulescence (kidults in lingua inglese, adultescenza in lingua italiana).

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L’invettiva di Socrate

Socrate! (Attaaaaack!)
Io accuso

l’intera comunità degli adulti
di avere corrotto sistematicamente l’infanzia e la fanciullezza. Di averne deturpato il volto, il senso, la bellezza. Di averne distrutto la poesia, la meraviglia, la novità.

Accuso i genitori e le famiglie
di aver permesso che i loro figli nascessero in una società marcia, sudicia e profondamente immorale. Li accuso di aver messo al mondo i loro figli per lo più a casaccio. Li accuso di non averli amati a sufficienza, di averli lasciati in balìa del mondo, di non aver saputo resistere all’istinto riproduttivo.

Accuso gli imprenditori, i pubblicitari, il sistema economico
di avere mercificato le anime, le menti e i corpi fin nella culla. Di avere insozzato i bambini con il loro denaro, il loro desiderio di accumulo, la loro sporcizia consumistica. Di avere avvelenato l’aria, la terra, l’acqua, gli ambienti e i mondi delle future generazioni, dichiarando loro una vera e propria guerra preventiva.

Accuso l’intero sistema

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Diciassett’anni!

manichini

Ho intervistato MDB, adolescente diciassettenne figlio di amici, quest’estate. Proprio in quel periodo stavo cominciando a scrivere una “cosa” (un racconto o un romanzo, non sapevo e non so ancora) su un gruppo di ragazzi di provincia mediamente annoiati, nichilisti e superalimentati (da un mare di sciocchezze, oltre che di cibo e di merci). La storia non è progredita granché, e non so ancora bene che cosa succederà. Anche l’intervista è rimasta a dormire per alcuni mesi, finché l’altro giorno non mi sono deciso a trascriverla e, ora, a pubblicarla.
Quando avevo chiacchierato con MDB, facendogli quella sfilza di domande un po’ pretenziose, avevo in verità trovato le sue risposte un po’ insipide, forse troppo lapidarie e in qualche caso persino reticenti. Risentendole a distanza di tempo, mi sono del tutto ricreduto. Ed ecco la lezione appresa: a) mai pensare che qualcuno, specie con trent’anni in meno di te, sia assimilabile e riconducibile ai tuoi schemi mentali; b) diffidare della dilagante ed omologante doxa che vorrebbe tutti i ragazzi ridotti a vuoti tubi desideranti (ma questo già lo sospettavo); c) scendere definitivamente dal piedistallo e lasciare spazio al nuovo che avanza, anche se questo nuovo non ci piace o non lo comprendiamo.
Infine: le risposte di MDB sono semplicemente belle, spontanee, nette, anzi direi proprio ammirevoli. Se poi si confrontano con quelle disperanti dei suoi coetanei protonazi che avevo raccolto circa un anno fa…
Non ho ritoccato nulla, mi sono solo permesso di sottolineare i passi che mi sono piaciuti di più.

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ONDA SU ONDA

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Ieri ho scioperato e sono andato in manifestazione, a Milano, in compagnia del mio amico Roberto. Abbiamo girovagato un po’ in piazza Cairoli, luogo del concentramento dei Cub e dei Cobas, e poi abbiamo deciso di seguire l’Onda. Ci siamo accodati al corteo degli studenti medi. Io potevo sempre figurare come un prof simpatizzante (alcuni in effetti c’erano). Roberto, con la sua macchina fotografica, aveva l’aria più svagata e giovanile del reporter.

L’onda.
Una bella idea di autorappresentarsi.
Movimento oscillatorio, variabile, sussultorio, vibrante.
Propagazione ed energia – senza materia!
Onda elettromagnetica.
Moto ondoso, che fluisce e rifluisce, frange, infrange e si rifrange.
Onde meccaniche, longitudinali, acustiche, sonore, trasversali, sferiche, elastiche, superficiali, armoniche, periodiche, stazionarie, solitarie.
Onde lunghe, microonde, raggi e radiazioni cosmiche.
Onde gravitazionali (che non si sa bene cosa siano…).
L’onda viene da lontano e va lontano. Sono corpi ondeggianti e menti pensanti.
Ora c’è, è visibile e talvolta impetuosa, poi si nasconde nei meandri del sottosuolo e si fa carsica. Per rispuntare all’improvviso. Sembrava non ci fosse più, invece era laggiù, nei sotterranei della storia.
L’onda è simpatica e ti accoglie. Ci scivoli sopra, ti ci immergi.
Ma poi diventa impetuosa, anomala.
E allora può travolgere tutto e tutti.
Onda d’urto.
L’onda è pervasa da correnti che vengono da lontano.
L’onda lunga della storia.
L’onda corta dei singoli.
Che ogni tanto si incrociano e si combinano.
Mille onde, una dopo l’altra, senza fine.
Un’unica ondata, tranquilla e poderosa, massa d’acqua imponente.
Onda.
Bella parola. Ricca. Densa di cose, teorie, metafore.
Sì, si sono scelti un bel modo di rappresentarsi.
Purché se lo tengano stretto.
E’ roba loro.
Io ho attraversato l’onda per un piccolo tratto.
E l’onda mi ha attraversato.

Siamo in Piazza Fontana, è il 12 dicembre, 39 anni dopo. Un ragazzo e una ragazza puntano decisi verso di me e mi chiedono in maniera secca: “sì o no?”. Io, che di solito prediligo il no, questa volta dico “sì” e loro mi rispondono con un sorriso largo di assenso. Sono entrambi bellissimi. Ma chissà cos’avevano in mente, che cosa intendevano dire? Boh? Poco importa…
Poi c’è quest’altro ragazzo con il rossetto in mano, che mi colora le guance. Ecco, anch’io adesso ho tracce dell’onda sulla mia pelle.
L’onda vuol lasciare un segno.
L’onda vuol incidere e decidere.
L’onda vuole prospettare un futuro.
L’onda è già una forma di futuro.
Ma ora mi tocca di andarmene, devo lasciarla, rifluire, d’altra parte è roba loro, io non c’entro.
Il cielo è livido.
Restano quei segni sul viso che cominciano a colare misti di pioggia.
E qualcosa di sottile, nascosto laggiù, dietro la bardatura real-razionale e post-hegeliana che irretisce la mia mente, un baluginìo impercettibile che fatico a chiamare “speranza“, per paura di apparire troppo retorico e un po’ sopra le righe persino a me stesso. Parola scandalosa e inconfessabile.
Loro sono l’onda, e quella parola.
Io, i resti sparsi sulla spiaggia…

foto di ro_buk

APOPTOSI III – Le intermittenze del cuore

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Venni informato della morte di mio nonno una domenica mattina. Ho dei ricordi vividi di quel momento, nonostante siano passati trent’anni. Fu una mia cugina a riferirmelo di persona (non avevamo il telefono in casa). Rammento bene la sua espressione, esitante e con un accenno di sorriso, convinta forse così di sdrammatizzare (sapeva quanto fossi affezionato a mio nonno, mentre lei al contrario non aveva mai avuto un gran rapporto con lui). Ma soprattutto ricordo la mia reazione: quasi indifferente, come solo un adolescente sa essere, senza tradire un’emozione, non un ansimo, non una lacrima. Fu quello il mio primo vero “tradimento”, il mio primo delitto affettivo.
Tutto ciò era amplificato dal fatto che la sera prima, mentre mio nonno moriva, io stavo a una festa, ballavo e mi divertivo con tutta la spensieratezza dei miei sedici anni. Una persona che mi aveva amato fino allo spasimo (e che io fino all’anno prima avevo ricambiato con altrettanta passione) stava morendo e io, in quello stesso momento a 1500 chilometri di distanza, saltellavo come un idiota sulle note della disco music. Era il 4 novembre 1978.

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