Terzo fuoco: homo homini deus

Q10

Il nostro terzo incontro avrà come oggetto di discussione la religione. Naturalmente è un argomento vastissimo, noi ci limiteremo a domandarci se ha ragione Marx nel definirla oppio del popolo, e quale possa essere il senso di questa definizione in un periodo così tormentato (anche in termini religiosi) come il nostro. A guidarci sarà L’essenza del cristianesimo, un saggio del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, pubblicato nel 1841 e cruciale (anche per Marx) sul significato della religione nella vita umana – con un approccio che antropologizza la teologia e umanizza il divino, invertendo così i termini del rapporto che lega l’uomo a Dio (il predicato e il soggetto), svelando il “trucco religioso” e smascherandone il vero senso: non Dio crea l’uomo, quanto piuttosto è l’uomo a creare Dio, riponendo in esso le cose essenziali, i tesori della propria umanità. Se tradizionalmente si pensava che il soggetto-creatore fosse Dio, e l’uomo il predicato che ne deriva, occorre invece rovesciare questo rapporto, e rimettere le cose al loro posto.

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Potenza della filosofia

(Il buon vecchio Emilio Agazzi, un professore marxista che ebbi la fortuna di seguire per qualche anno all’Università Statale di Milano,  recitò una volta, durante una lezione, la filastrocca in voga ai suoi tempi di studente, e forse anche ai tempi di Aristotele: la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale).

Bisognerebbe preliminarmente intendersi sul concetto di potenza, piuttosto stratificato e ambiguo.
È potenza la passività di un ente o di una mente, nel farsi soggiogare da ciò che le è esterno.
È potenza questo esterno, somma di forze incontrollabili e sovrastanti – potenza della natura, si suol dire.
È potenza la dis-posizione dell’ente o della mente a mutare, a cambiare forma o contenuto. A diventare quell’altro-da-sé che è già in-sé. È potenza la possibilità – dynamis, divenire ciò che è possibile divenire.
Le facoltà e le virtù sono pura potentia – conatus esistenziale che si realizza in una data forma di vita.
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Bentornato Marx!

Un mio caro e (per me) determinante professore universitario – Emilio Agazzi, docente all’epoca di Filosofia della storia alla Statale di Milano – soleva dire, presentando le sue lezioni su Marx, che ciclicamente c’è qualcuno che suona la campana a morto per il pensiero marxista (o, più precisamente, marxiano). Da un paio di decenni quel qualcuno è diventato schiera. E, si sa, nella maggior parte dei casi si è trattato di cicisbei e sicofanti del neoliberismo (che pure ha fatto un bel crack di recente), che non hanno mai letto nemmeno una riga del Capitale o dei Manoscritti economico-filosofici. E che rimasticano ideologemi triti e ritriti, confezionati quando va bene dalle “filosofie da cucina” di hegeliana memoria.

Ecco perché accolgo con grande piacere la recente uscita di un libro del giovane filosofo Diego Fusaro (ne ho parlato qui qualche anno fa, a proposito di un suo interessante saggio su Epicuro), significativamente intitolato Bentornato Marx! L’autore ha fatto circolare in questi giorni in rete, una sorta di antipasto del libro in 11 tesi (giocando con il numero di quelle celeberrime di Marx su Feuerbach), che riporto qui sotto con la sua gentile autorizzazione, e che mi trovano pressoché concorde su tutta la linea.
Il mio assenso va in particolare alla rievocata (e anch’essa bentornata) teoria marxiana dell’individualità, nient’affatto riducibile (come vorrebbero i detrattori in malafede) al collettivismo livellatore: anzi, è semmai la concezione “onnilaterale” dell’individuo a fare di Marx il principale e davvero libertario antagonista  alternativo all’omologazione capitalistica e alla riduzione lateralissima di ogni cosa, persona e relazione a merce.
Naturalmente la mia adesione non è incondizionata, poiché non ho ancora letto il testo. Ma se il buon giorno si vede dal mattino…

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Argento e nevi filosofiche

Forme di resistenza by chourmo

La bio-grafia è per certi aspetti una duplice scrittura: da una parte il dispiegarsi concreto della vita individuale, di quel più o meno originale percorso di vita e di autoplasmazione che ciascuno persegue (o dovrebbe o vorrebbe). Dall’altra è la riscrittura o la trascrizione o la rappresentazione di quel percorso: una sorta di romanzo di se stessi, di autonarrazione, che la gran parte degli umani per fortuna non scrive (già bastano e avanzano i narcisi pieni di sé, sempre pronti a pubblicare e concionare su ogni sciocchezza che li riguarda), ma che, a parere di alcuni, invece dovrebbe essere scritta. E’ ad esempio quel che pensa Romano Màdera, in quel piccolo gioiello filosofico che è il saggio La filosofia come stile di vita. Qui l’autore delinea una sorta di filosofia della biografia, o di biografia filosofica, volta ad operare una scelta tra costruzione biografica e smarrimento del sé nella serialità; la filosofia viene strettamente connessa al bios e concepita come ecumenismo biografico, fatto di dialogo, raccordo, comunicazione. La biografia così intesa è anche da leggersi come terapia (in senso lato) e valida alternativa tanto al determinismo genetico quanto all’ossessione identitaria e alla frammentazione post-moderna. Màdera profila quindi una sorta di “utopia bio-ecumenica” basata sull’autorealizzazione solidale.
La biografia, da questo punto di vista, non è soltanto un raccontare la propria vita (cosa peraltro a rigore impossibile), ma darne un verso, una direzione, un senso (più che un significato, dato che si rischierebbe di travalicare nel genere fantasy): un partire da qui per arrivare , un segnare alcune tappe, uno scandire il tempo, forse anche un progredire – con tutte le cautele del caso a proposito del termine “progresso”. D’altra parte è esattamente quello che succede con la scrittura: si comincia da qualche parte, si snocciolano parole, righe, pagine, capitoli uno in fila all’altro, fino ad una qualche conclusione. Inizio, fine – e in mezzo la storia, la trama, l’ordito, l’intreccio – che però la scrittura dovrebbe essere in grado di sbrogliare e ordinare.
Proprio quest’anno celebro le mie “nozze d’argento” filosofiche. Correva l’anno 1984, quando incontrai per la prima volta Philosophia.

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