Apolidia

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Scrive Simone Weil nel 1943: «Le ‘radici’ dell’essere umano stanno nella sua partecipazione attiva e naturale all’esistenza di una comunità capace di conservare i tesori del passato accanto a una qualche visione del futuro» – e lo scrive in piena epoca di sradicamento.
Quasi 80 anni dopo, la domanda rimane identica: c’è una qualche forma di comunità – e di ‘tesori’ – cui il singolo sente di appartenere insieme ad una visione futura?
Io fatico a vederle.

Si mettono in campo di continuo i concetti, che appaiono opposti e sempre più divaricati, di individuo e comunità, libertà e regole comuni: in una situazione di emergenza sanitaria, si dice, o in quelle a venire climatiche, ecosistemiche ed ambientali, l’individuo non può essere libero di decidere, è la comunità a dover decidere innanzitutto, perché qualunque atto del singolo genera a catena conseguenze che riguardano tutti i componenti della comunità.
Il problema è che già prima non esisteva (o meglio, era in profonda crisi) una comunità, laddove lo stato sociale recedeva per mantenere esclusivamente la governamentalità, il potere coercitivo, la garanzia degli interessi economici di una parte.
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