Trovo meraviglioso che un artista cacciato dai nazisti (i quali cancellarono in un sol colpo quell’esperienza creativa e straordinaria che era stata il Bauhaus), le cui opere vennero esposte in Germania come arte degenerata, e che sarebbe poi morto a Parigi senza vedere la fine della guerra, negli ultimi anni abbia avuto l’impulso e la forza di creare nuove forme di vita – rispondendo così con l’arte e la bellezza alle pulsioni di morte di cui la vecchia Europa era preda.
Proprio nel 1938 Vasilij Kandinsky dipinse Ammasso regolato (in altri testi l’ho trovato titolato con Insieme multicolore) e nel 1940 il suo quadro forse più metafisico Blu di cielo (o Azzurro cielo), che appare una sorta di celebrazione della vita pullulante, variegata e rigogliosa di Burgess Shale – un biomorfismo ed una geometria vitale senza eguali nell’arte del Novecento: «In questo modo l’arte astratta pone accanto al mondo reale un nuovo mondo che esteriormente non ha nulla a che fare con la realtà»; Kandinsky osserva le cose con uno sguardo interiore che penetra attraverso «il duro involucro, la forma esteriore e giunge all’interno della cosa, facendoci percepire il suo pulsare interno con tutti i nostri sensi».
Se è vero che quanto più si crea tanto più si è liberi, allora Kandinsky è stato davvero un uomo libero.
Tag: arte degenerata
L’allodola di Richard Strauss e le ceneri di Hitler
Quattro anni sono probabilmente pochi per fare i conti con il nazismo – laddove Heidegger, ad esempio, ne ebbe a disposizione una trentina, senza peraltro farli mai davvero. Un mio docente sosteneva che l’opposizione antinazista di Heidegger stesse tra le righe delle sue lezioni su Nietzsche dei tardi anni ’30, al che mi verrebbe da rispondere: bah! Heidegger era e rimane un nazista.
Richard Strauss (che morì nel 1949) era oltretutto un musicista, non un pensatore – per quanto fosse stato probabilmente, almeno negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, il più grande musicista vivente – ma non si era particolarmente compromesso col regime, ed anzi si era persino impuntato e aveva ottenuto una sorta di dispensa direttamente dal Führer, a proposito della sua collaborazione con lo scrittore ebreo Stephan Zweig, il suo librettista preferito. Salvo poi comunque dovervi rinunciare e diventare un artista del Reich, volente o nolente (ad un certo punto venne nominato presidente della Reichsmusikkamer nazista).
Ecco perché in questi casi provo un certo imbarazzo (ne avevo parlato a suo tempo, a proposito di alcuni fascistissimi poeti), anche se in verità l’imbarazzo (o meglio, la vergogna) dovrebbero essere dell’artista – ma chi è morto non può più provare alcunché. Di solito se ne esce distogliendo lo sguardo dall’autore e dalla sua accidentata biografia, fatta (come per tutti) di luci e di ombre, e ci si concentra solo sull’opera, come se si fosse fatta da sola e come se si stagliasse limpida, al netto delle scorie e delle sozzure della storia (sia individuale che collettiva). Ma si può fare davvero?
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