Seconda parola: lavoro

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Utilizzerò come filo conduttore per la serata alcuni testi piuttosto classici, anche se molto diversi tra di loro, non prima però di aver dato uno sguardo all’origine etimologica della parola lavoro, per la quale mi limito a riportare la relativa voce di wikipedia:

“Il termine lavoro riporta al latino labor con il significato di fatica. Sono noti i detti della letteratura classica “durar fatica” e “operar faticando“. Ancora oggi in alcuni dialetti si utilizzano i termini “faticare”, “andare a faticare”, per intendere “lavorare” e “andare a lavorare”. Altro termine di parlate italiane per “lavoro” è travaglio, dal latino tripalium (strumento di tortura), per esempio in siciliano “lavorare” si dice “travagghiari” e in piemontese “travajè ecc.”

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La cacciata dal paradiso terrestre

Cominciamo col più classico dei libri:

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Libri che accendono la mente (o menti che accendono i libri?)

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Sto usando scientemente una classe di bambini (una quinta elementare) per i miei esperimenti filosofici con quella fascia di età. Non che quelli del passato non fossero “esperimenti”, ma questo lo è un po’ di più perché è finalizzato alla stesura di alcune parti di un libro che sto scrivendo, dedicato alla filosofia con i bambini. La strategia è però un po’ diversa dal solito, perché sto filosofando con loro in maniera laterale, per cerchi concentrici, apparentemente episodica (o, per meglio dire, rapsodica). Il filo conduttore questa volta non è il filo di filosofia, ma il libro. La cosa, cioè, più antifilosofica che ci sia – se si deve dar retta a Platone, che però tra-scriveva abbondantemente i suoi Dialoghi socratici.
E siamo partiti, tra l’altro, dal concetto di libro, dalla sua idea, da quel che esso è come essenza. Questa opera di astrazione è stata compresa così bene che adesso maneggiano perfettamente la coppia astratto/concreto, universale/particolare.
Lo scopo? a parte quello utilitaristico che ho esposto sopra, dimostrando ancora una volta la filosoficità dei bambini? Boh, non lo so ancora di preciso, mi sto facendo guidare da loro – soprattutto dalla loro creatività linguistica, dalla spontaneità e dal vulcano di metafore che ogni volta ne vien fuori. Ora siamo alle “facce” dei libri…
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L’anima? Nient’altro che un grafema!

[Sommario: New Realism – Dualismo immaginario – La lettera e lo spirito – Mente-tabula – Lo spirito in un iPad – Il corpo di Spinoza – La macchina di Cartesio – L’automa di Leibniz – Homme machine – L’osso hegeliano – Scritture essoteriche]

Ho letto con molto interesse Anima e iPad di Maurizio Ferraris. Mi è piaciuto innanzitutto il tono ben poco accademico, non so dire se per le eventuali contaminazioni popsophiche o per quel piglio militante che fa dell’autore uno dei più convinti assertori del cosiddetto nuovo realismo in filosofia (so che è uscito in questi giorni per Laterza il suo Manifesto del nuovo realismo, i cui contenuti essenziali si trovavano già in un articolo comparso su La Repubblica dell’8 agosto 2011 ). Il costante riferimento a pratiche sociali, linguaggi audiovisivi, film, letteratura, canzoni, fatti di cronaca e aneddoti rende piacevole la lettura, anche se immagino possa far storcere il naso a certi filosofi un po’ ingessati, nonostante l’eventuale professione di postmodernismo. Comunque mi interessa poco dare etichette o valutare le mode filosofiche del momento, e dunque vado subito al nocciolo.
Le tesi di fondo – per lo meno quelle che mi sembrano più interessanti e in sintonia con le questioni più volte discusse in questo blog – sono almeno due, che è poi una soltanto, e che si può inscrivere nel dibattito su che cosa si debba intendere per natura umana, e, conseguentemente, sulla peculiarità spirituale delle produzioni umane:
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Arto fantasma

“Facciamo sempre i gradassi quando ci confrontiamo con i computer e con gli animali. Ci rappresentiamo come perfettamente autodeterminati, autocoscienti, liberi, pensanti e interpretanti. Ma, per l’appunto, quando dobbiamo giustificarci non troviamo affatto disdicevole recitare la parte degli automi o degli animali. E paradossalmente c’è della verità in quelle scuse, in effetti molta della nostra vita è davvero condizionata, incosciente, non pensata né esaminata.
In questo senso, la libertà e la coscienza potrebbero benissimo rappresentarsi come un arto fantasma. Cioè, anche in questo caso, come qualcosa che possiede una piena evidenza fenomenologica, ma che non ha alcuna realtà ontologica.”

(M. Ferraris, Anima e iPad)