Ho ripreso qualche mattina fa, a distanza di 4 anni anni dall’ultimo, uno dei miei tentativi di filosofia coi bambini.
Tempo fa avevo confessato ad una mia cara amica (e a me stesso) di non voler più fare quell’esperienza, per diversi motivi (non ultima una certa stanchezza esistenziale), ma soprattutto per una ragione che non so dire se sia filosoficamente fondata: contribuire ad aumentare la coscienza aumenta anche l’umana potenza distruttiva; non solo: perché pungolare così presto dei bambini di soli 10-11 anni coi rovelli della filosofia, con le domande, con i dubbi, e dunque con una potenziale sorgente di infelicità?
So anche, però, che siamo in trappola, dato che dalla coscienza non si esce e che l’unico modo per porre rimedio ai disastri dell’antropocene e dell’antropocentrismo è comunque la coscienza: una coscienza più accorta e discreta, a basso tasso di narcisismo (ma è pensabile una coscienza umana che non sia narcisista?) – insomma, una coscienza supercosciente, un’autocoscienza responsabile che però non so ancora bene che forma dovrebbe avere e con quali prospettive. Una strada che saranno proprio quei bambini decenni già così incasinati a dover cercare, trovare, percorrere.
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Il volto e il corpo dell’altro – 7. L’altro-bambino: il gioco (e la filosofia)
[solo dopo aver riflettuto sulla portata del gioco nella produzione storico-culturale, mi son reso conto che i miei esperimenti di filosofia con i bambini hanno essenzialmente una valenza ludica: i “filosofanti che bamboleggiano” irrisi dal Callicle platonico diventano così un ottimo simbolo di una serietà radicalmente altra che accomuna filosofi e bambini – strane creature ancora in grado di meravigliarsi del mondo]
La cultura “sub specie ludi” sembra essere la tesi essenziale di un libro importante e innovativo, quale è Homo ludens di Johan Huizinga (l’anno di pubblicazione è il 1938): ovvero, il gioco come elemento portante, necessario e sorgivo di ogni processo culturale. Senza l’elemento del gioco non avremmo avuto culture: le culture arcaiche e classiche hanno innanzitutto giocato con la cultura.
Si ha poi come l’impressione che Huizinga ritenga questa funzione del gioco come qualcosa di irreversibilmente tramontato: anche i secoli recenti (in particolare il ‘600 o il ‘700) più giocosi sono ormai alle nostre spalle, la serietà della vita ci ha preso alla gola, ora si lavora, si produce, si conduce una guerra totale e senza regole (non più cavallerescamente giocata), e anche gli elementi agonali o casuali del gioco (la sorte) sono diventati seri e seriali. Basti pensare al gioco d’azzardo, alla ludopatia (cosa di cui Huizinga non si occupa), allo sport – e, oggi, ai fenomeni dell’adultescenza, dell’infantilizzazione, ecc.
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Altrove
È stato un azzardo, lo so.
Far vedere un film come The Giver (dunque senza la mediazione consentita dalla lenta penetrazione della parola scritta).
A dei bambini di 10-11 anni.
Un film che tratta temi come: eugenetica, eutanasia, deprivazione emotiva, distopia, controllo ed ingegneria sociale, memoria ed oblio, tecnocrazia, apatia ed empatia, omologazione, dissimulazione, potenza del linguaggio…
È stato un azzardo, ma i bambini hanno accettato la sfida.
E l’hanno vinta, almeno credo. Discutendone apertamente, senza paura. Comprendendone l’essenziale. Mente ed emozioni acuminate.
Un po’, però, mi sento in colpa. E assalito da malinconia.
Perché la loro infanzia è davvero finita. Ragazzi, non più bambini. “Grazie per la vostra infanzia” – parafrasando il film.
Temo e spero per loro. Fortemente, nello stesso tempo.
Ed è – come nella bellissima storia e visione di Jonas – una estrema, disperante ma necessaria apologia dell’amore.
Dov’è l’altrove? – è stata la domanda, rimasta aperta, con cui ci siamo lasciati. Già, dov’è?
Spinoza impazzisce di gioia
Addì 29 aprile 2015, tra le 9.30 e le 11, presso le due classi quinte – per l’occasione riunite – della scuola primaria Alessandro Manzoni di Rescalda, frazione del comune di Rescaldina, all’estremità nord-ovest della provincia di Milano…
…ho avuto l’onore e la fortuna di partecipare ad uno dei dibattiti più belli, ricchi ed intensi della mia esperienza filosofica con i bambini. Complice il film-capolavoro Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze (un’odissea caleidoscopica sul mondo emotivo, un “catalogo delle passioni” visivo da far invidia all’Etica di Spinoza), i bambini sono stati in grado di affrontare ed approfondire temi quali
la paura, la rabbia, l’aggressività
la solitudine
il nòstos e il viaggio
le migrazioni, la fuga, l’ospitalità (dovuta)
l’alterità, il rispecchiamento e l’identificazione all’altro
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Diciassette stilettate
[post ondivago su: bambini, stiletti, domande, film, libri, odissee, attese, psicanalisi, generazioni ed altro ancora]
Si è appartato in corridoio col suo foglio, e in pochi minuti lo ha riempito di domande. Le prime sedici numerate, l’ultima contraddistinta dal segno dell’infinito:
1. Perché siamo nati?
2. Perché viviamo?
3. Perché mi chiamo…?
4. Perché Dio ha sbagliato a crearci?
5. Perché possiamo divertirci?
6. Perché ci amiamo?
7. Perché devo vivere?
8. Perché non sono felice?
9. Perché sono così?
10. Perché siamo cattivi?
11. Perché non ho quello che voglio?
12. Perché vivo male?
13. Perché siamo diversi?
14. Perché ci sono persone con problemi?
15. Perché ci poniamo delle domande?
16. Perché vivo?
∞ Perché?
Le ho interpretate come delle stilettate, o mitragliate, o scudisciate – l’arma può essere scelta a piacere – per lo meno per come sono state concepite, scritte e consegnate, e visto chi le ha scritte.
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Saggissime sono le domande
[Rileggendo la prima stesura del mio saggio sulla filosofia con i bambini, ho arbitrariamente deciso quali sono state nel corso di 6 o 7 anni le frasi dei bambini più ingegnose e, forse, spontanee – e cioè le seguenti]:
-Saggissime sono le domande
-Il mito e il lògos sono come un campo minato e un campo fiorito
-Se ci sono troppe cose intorno ci confondiamo; è come se ci prendessero in tutto il nostro corpo, quindi preferisco poche cose
-Perché le api hanno bisogno di punger le persone?
-Si parla di tutto, e ragiona molto per arrivare a poco
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Psicosofie estive – 6. Lavoro trascendentale
Funziona proprio come la madeleine proustiana. Schegge di ricordi che rievocano interi mondi sepolti, che prima o poi riemergono intatti, anche se talvolta in forma di blocchi psichici da reinterpretare o da tradurre. E comunque le immagini tornano vivide, specie quando si tratta di episodi illuminati dal sole estivo (evidentemente sono un animale mediterraneo prestato alle terre dei barbari).
Ad ogni modo, questa è la visione concessami dalla memoria.
Ho 7 anni circa (di sicuro non ne ho ancora compiuti 8) e la mia curiosità infantile è fatalmente attratta dalla solerte attività lavorativa che si svolge in una cantina del cortile dove abito (e che non so bene, a posteriori, se fosse o meno clandestina). C’è questa famiglia – lui è “il signor Giacomo” e lei “la signora Maria”, come mia madre mi ha insegnato a dire – con 2 o 3 figlie, non ricordo bene. Una famiglia di origine veneta, dunque terrona come la mia, cambia solo l’accento ma la sostanza è la stessa – una ferrea etica del lavoro e del sudore, poi che abbiamo lasciato la nostra dura terra per venire in quest’altra dura terra semistraniera a far fortuna.
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Bambini plastici al teatro filosofico
Sono ancora stordito dagli occhi spalancati di Giorgia mentre snocciola ragionamenti complessi sul rapporto tra tutto e intelligenza, o mentre tenta di stabilire una relazione tra l’apeiron di Anassimandro e l’atomismo; oppure dalla fronte corrucciata di Manuel che cerca le espressioni giuste per liberarsi dalla tempesta mentale da cui è assalito; o ancora dalla serietà di Aryuna, dai sorrisi esili di Loris, di Seba, di Stefano (che intervengono a raffica); dai dubbi limpidi di Lancine o dalle certezze interrogative di Lorenzo… e potrei continuare a lungo…
Il solito professorone Hegel insinuerebbe il sospetto di una conduzione surrettizia del dialogo, che è poi esattamente quel che pensa degli urbani e raffinati dialoghi platonici, dove i personaggi sono “figure plastiche della conversazione”, e dove addirittura “avviene come nell’interrogazione catechistica in cui le risposte sono già prescritte”. Eppure qui – al di là del fatto che sia la proposizione dei temi che la conduzione da parte mia sono chiare ed esplicite – non mi pare ci sia nulla di pre-scritto o pre-ordinato. Ogni volta le medesime teorie, parole e concetti fanno la loro comparsa sulla scena del teatro filosofico, ma ogni volta producono effetti diversi su quelle loro menti plastiche. Perché quel che conta, più delle teorie, delle parole e dei concetti, sono, appunto, le menti precoci pronte fin d’ora a discernere, a interpretare, ad accogliere o a rifiutare.
Straniati e labirintici
Gli/le insegnanti sanno bene come sia pressoché impossibile ottenere il silenzio a scuola. E ci si sono assuefatti, alzando tra l’altro loro stessi il volume della voce di quel tot di decibel in più, senza nemmeno rendersene conto.
Eppure l’altro giorno la mia quinta filosofica ha dato una straordinaria prova di crederci davvero, in quel minuto di silenzio e di concentrazione con cui son solito aprire gli incontri. Il rumore di fondo della scuola – che credo permanga persino durante le vacanze estive, da quanto è connaturato con le sue strutture – si è come dissolto: davvero non volava una mosca, e persino la mente di F. – il guastatore (figura che non manca mai) che finge di non partecipare e di farsi gli affari suoi – è rimasta impigliata in quel minuto di epoché.
Bene, ora possiamo cominciare.
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Libri che accendono la mente (o menti che accendono i libri?)
Sto usando scientemente una classe di bambini (una quinta elementare) per i miei esperimenti filosofici con quella fascia di età. Non che quelli del passato non fossero “esperimenti”, ma questo lo è un po’ di più perché è finalizzato alla stesura di alcune parti di un libro che sto scrivendo, dedicato alla filosofia con i bambini. La strategia è però un po’ diversa dal solito, perché sto filosofando con loro in maniera laterale, per cerchi concentrici, apparentemente episodica (o, per meglio dire, rapsodica). Il filo conduttore questa volta non è il filo di filosofia, ma il libro. La cosa, cioè, più antifilosofica che ci sia – se si deve dar retta a Platone, che però tra-scriveva abbondantemente i suoi Dialoghi socratici.
E siamo partiti, tra l’altro, dal concetto di libro, dalla sua idea, da quel che esso è come essenza. Questa opera di astrazione è stata compresa così bene che adesso maneggiano perfettamente la coppia astratto/concreto, universale/particolare.
Lo scopo? a parte quello utilitaristico che ho esposto sopra, dimostrando ancora una volta la filosoficità dei bambini? Boh, non lo so ancora di preciso, mi sto facendo guidare da loro – soprattutto dalla loro creatività linguistica, dalla spontaneità e dal vulcano di metafore che ogni volta ne vien fuori. Ora siamo alle “facce” dei libri…
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