Il biopunto in 11 punti: il virus come iper-oggetto

[Sommario: Il peso dell’incompreso – La forma del virus – Iperoggetti – Le tesi biopolitiche di Foucault – Masse biologiche e masse psichiche – Corpi sani, corpi potenziati – Homme-machine – Riduzionismo: ta stoicheia – Limite, Hybris, Aidos – Meccanizzazione  e addomesticamento – Pesantezza della tecnica – Bioetica ristretta e Bioetica generale – In bilico]

1. Non avrei voluto scrivere più nulla sul virus e sulla pandemia, almeno per qualche tempo, dato che già lo sento come un peso che grava quotidianamente, ma l’impulso a riflettere, pensare, scrivere, e così facendo liberarsi dei pesi dell’incompreso (o almeno provarci) non è controllabile, viene e basta, e occorre obbedirgli. E poi il primo anniversario poteva anche essere un’occasione buona per fare il punto sulla situazione. Cosa che risulta non meno problematica oggi di un anno fa, quando marciavamo verso l’ignoto, mentre ora ci viene detto che si sta per uscire dal tunnel e che l’immunizzazione arrecata dai vaccini sarà la luce che ci salverà.
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Le parole del contagio

La morte – come da un’alta vetta –
riformula i criteri di giudizio
e ciò che non credemmo
ora scorgiamo chiaro
(Emily Dickinson)

«Non ho visto, pertanto, nient’altro da fare che provare, come chiunque altro, a sequestrarmi a casa mia e nient’altro da dire che esortare chiunque altro a fare lo stesso», così scrive Alain Badiou.
E alla domanda: “Che cosa possiamo imparare dal virus?”, Massimo Cacciari risponde seccamente: Nulla. A stare fermi un po’. Cosa volete imparare? Basta con questa retorica che dalle difficoltà si esce migliori. Il nostro cervello è lo stesso di 100.000 anni fa…

Qualcuno si sarà senz’altro chiesto che cosa può dire o fare la filosofia di fronte ad un evento come quello che stiamo vivendo, così violento e inaspettato (uno dei problemi è anche quello della sua definizione e qualificazione). Hanno ragione Badiou e Cacciari: la filosofia non può nulla. La filosofia non può modificare il corso degli eventi, la filosofia non può prevenirli, la filosofia non può nemmeno consolare gli animi. Ciò che forse può fare la riflessione filosofica è aiutare le menti ottenebrate degli umani a vedere con maggior chiarezza quel che hanno davanti (o sotto i loro piedi o alle loro spalle o dentro di loro), anche se in un senso radicalmente diverso da quello della scienza. Ecco, la scienza può provare a prevenire, modificare, curare, salvare (anche se non è detto che ci riesca), la filosofia no. La religione può provare a consolare, confortare, rasserenare, ma non la filosofia. Compito della filosofia è solo quello di dire il vero, o di provarci. La verità, una parola che può anche svelare cose che non vorremmo né vedere né sapere.
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Forme di vita

Pintoricchio.BanbinGesu

Non è un bel vedere. Sbava ed è tutto accartocciato sulla sua carrozzina. La donna che lo sta assistendo mi dice che ha 14 anni, ma di età mentale non più di 9 mesi. Oltre ad avere questa malformazione genetica, ha avuto grossi problemi gastrointestinali ed è per di più diabetico. Insomma, è vivo per miracolo. Lei gli accarezza i capelli e lui si strofina sul suo braccio. Poi il ragazzo fa una cosa inaspettata: si rivolge a me e mi tocca la mano, in segno di affetto – dice lei. Io non so cosa pensare.
Qualche minuto dopo, mentre faccio la mia passeggiata quotidiana, vengo assalito da una tempesta di pensieri e di emozioni. Pensieri che bruciano e lacrime che sono sul punto di cadere – anche perché…

…c’è stata una fase della mia vita – qualche decennio fa – nella quale ho avuto profondi convincimenti eugenetici. Il monte Taigeto (ammesso sia vera quella crudele usanza spartana) – naturalmente in forma sterile e medicalizzata – mi sembrava una buona e radicale soluzione al problema dell’handicap, delle malformazioni, e a tutto quel complesso drammatico che talune nascite si portano dietro.
Oggi mi vergogno profondamente di quei miei pensieri. Intendiamoci: la donna (o i genitori) che dovessero decidere di non far nascere un futuro bambino con gravi malformazioni, hanno e avranno sempre la mia piena solidarietà – oltre alla condivisione razionale. E non potrò mai perdonare tutti quei porporati e sepolcri imbiancati che da anni strillano contro l’aborto, come se non fosse un dramma per una donna sopprimere una vita che ha in grembo. Ma che ne sanno loro? (e del resto nemmeno io so, posso solo immaginare, com-patire).
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Bioepoca – seconda parte

Diamo ora uno sguardo alla scienza e alla tecnoscienza.
La rivoluzione scientifica in epoca moderna – attraverso la riappropriazione della natura da parte della sfera umana, sottratta alla precedente ipoteca teologica – costituisce l’avvio di un processo di teorie e di conoscenze che oggi possiamo definire apparato tecnoscientifico, e che si sostanzia in una precisa mentalità nei confronti del mondo naturale.
La scienza si presenta apparentemente in forma di sapere neutrale ed oggettivo, lontano da ogni connotazione valoriale (fatti, non giudizi): in una formula matematica o in una reazione chimica, oppure nella conoscenza relativa alle tecniche riproduttive dei coleotteri non c’è, né può esservi, nulla di rilevante sul piano etico. Questo non vuol dire che il sapere scientifico è l’unica forma di conoscenza data. Anche un quadro o una sinfonia ci dicono qualcosa della realtà; basti poi pensare alla poesia, e a quanto essa sia in grado di descrivere con precisione i sentimenti umani, magari meglio di quanto non facciano le neuroscienze (che si limitano spesso a tradurli in reazioni chimiche o in “luci” che si accendono nelle varie parti del cervello).
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Bioepoca – prima parte

(approfitto dell’ultimo degli incontri di “Introduzione alla filosofia”, costruito a partire dalle sollecitazioni di alcuni partecipanti, per fare il punto sul concetto di bioepoca, e sulla bruciante e connessa questione della bioetica).

Già l’uso della parola “epoca” accanto a bios (vita), ne orienta in una direzione precisa il significato: c’è un’epocalità, cioè l’apparire cruciale di un nuovo concetto di vita; ma “epoca” sta anche a dire che c’è l’emergenza di una temporalità e di una storicità: qualcosa di inaudito, che prima non era mai emerso, e che implica nel contempo qualcosa che è destinato a tramontare. Ci troviamo cioè, probabilmente, nell’epoca epochizzante per antonomasia – evo in cui si guarda alle cose nella loro determinazione storica e perenne mutabilità. Epoca transeunte del transeunte, che consuma il suo stesso consumarsi. Negazione della negazione.

Utilizzerò alcune parole-chiave per definire la costellazione concettuale da cui partire per una discussione etica del bios – una bioetica, come si suole ormai chiamare il nuovo orizzonte decisionale riguardante gli antichi estremi della condizione esistenziale: la vita, la morte, la nascita, la natura, la finitezza e l’immortalità. Alcuni concetti che è bene chiarire preliminarmente:

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Biomedicaepoca

house

1. Un aneddoto, per cominciare
Qualche mattina fa, ho accompagnato i miei anziani genitori a trovare una altrettanto anziana coppia di loro amici e paesani che non vedevano da tempo. Tutti insieme facevano qualcosa come 320 anni di età. Dunque dovrei correggermi e dire: si è trattato di una riunione di vecchi, senza tanti giri di parole. La visita si è protratta per un’ora e mezza circa e ho calcolato che, tolti i convenevoli, qualche reciproco ragguaglio su figli, amici comuni e parenti stretti e il tempo del caffé con biscotti, almeno l’80% del tempo è stato dedicato al parlar di malattie. Si badi, un parlare fitto fitto, specie da parte della padrona di casa, reduce oltretutto da un lungo periodo di raucedine al limite dell’afonìa, dovuto proprio ad una malattia.
Con dovizia di dettagli, iter più o meno conseguenti delle varie anamnesi, plateali errori di dizione di alcuni termini (con involontari effetti comici), ciascuno ha esposto agli altri i suoi guai sanitari e medici – con un netto prevalere, in verità, delle narrazioni da parte delle mogli anche per ciò che riguardava i mariti. Un po’ a disagio all’inizio, via via sono sempre più entrato in sintonia con quei discorsi e quell’interminabile cahier de doléances, non senza una punta di divertimento – facilitato forse dal fatto che si trattava comunque di quattro vecchietti tutti lucidi e coscienti, almeno per il momento. Ma il bello è che non bastavano le loro patologie, dovevano anche, di tanto in tanto, effettuare incursioni nei territori delle patologie altrui, talvolta solo per sentito dire, con l’acuirsi quindi del livello di approssimazione.
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Il conflitto e la nuda vita

schiele

Inauguro con questo post una nuova sezione del blog, che verrà classificata sotto la categoria di MATERIALI, e che vorrebbe raccogliere scritti, articoli, riflessioni di altri, con l’intento di allargare e arricchire il circolo della discussione. Per “altri” si intende chiunque abbia cose interessanti da dire, prescindendo da titoli e gerarchie. Non sarà però una scelta “democratica”, visto che sarà il sottoscritto, in ultima analisi, a decidere se e che cosa pubblicare. Questo, per lo meno, fino a che il blog non muterà forma, diventando uno strumento collettivo e plurale anche nell’impostazione redazionale.

Comincio con un articolo di Roberto Esposito, filosofo della politica, autore di testi fondamentali sulle categorie della biopolitica; tra i titoli più recenti: Immunitas, Bios, Terza persona (ne avevamo parlato qui).

Proprio nell’ultimo post ho parlato di “forma di vita”, concetto per il quale mi rifaccio alla scuola di pensiero di Agamben e, appunto, di Esposito, nonché alla distinzione greca tra bios e zoe (rilevata dal fisiologo francese Bichat), oltre che al concetto di nuda vita enunciato da Walter Benjamin. Il problema in campo, tanto più nella nostra epoca, è proprio quello della definizione del “proprietario” della nuda vita di un corpo (zoe) che non ha più forma (bios): chi legittimamente può reclamarne il possesso? Dio, la chiesa, lo stato, i progenitori, la collettività…? A quale titolo? Ciò naturalmente riguarda anche quella strana torsione, quella sfera di ambiguità (che è anche linguistica) che riguarda il rapporto tra corpo e persona: non è un caso, ci fa notare Esposito, che si dica di “avere” un corpo, non di “esserlo”.

L’articolo, intitolato Il conflitto e la nuda vita, si trova alla pagina 2 del supplemento “Diario” del quotidiano La Repubblica del 17/2/2009 (Corpo: L’oggetto del desiderio del potere politico), insieme ad altri testi altrettanto interessanti. Sono tutti scaricabili qui:

il-conflitto-e-la-nuda-vita (pdf)

Biopotere, bioetiche, biodubbi… (quadro sintetico in 10 punti più 1)

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Prologo. Su questo blog si è discusso a lungo, anche se ovviamente in modo sparso e sincopato come è tipico dei blog, dei temi della eutanasia, della vita e della morte. E’ stato, mi pare, un dibattito appassionato e stimolante, forse anche un esempio utile di discussione. Bisognerebbe infatti riuscire a slegare la riflessione e la discussione dalle ondate emozionali che percorrono la società, i media e, inevitabilmente, le nostre menti – ma questo si può fare solo in parte. Proverò ora a sintetizzare per sommi capi le questioni emerse fin qui (senza avere la pretesa di esaurirle o chiuderle), esprimendo al contempo il mio punto di vista – un approdo provvisorio, non conclusivo e non definitivo, ma che corrisponde grosso modo alle idee chiare e distinte che mi sono fatto sulla questione. Non significa avere le risposte, ma per lo meno aver chiari tutti i termini in gioco, cosa che forse può aiutare.

***

1. Ho lapidariamente scritto in un aforisma che l’eutanasia è qualcosa di più complesso di una scelta etica o di un dilemma morale, poiché ha a che fare con la concezione dell’essere, della vita e con il senso che conferiamo a questi termini. La fine di un percorso vitale non può cioè mai essere scisso dal percorso stesso e dal fondamento ontologico che lo sostiene. Si tratta in ultima analisi del senso che diamo al termine “forma di vita” e al concetto stesso di “vita”. Se non si risponde preliminarmente a queste domande, dubito che si possa affrontare tutto il resto. E’ però possibile, anzi molto probabile, che la maggior parte degli individui riescano forse a rispondervi solo in conclusione dei loro percorsi vitali, o, magari più spesso, a non rispondervi affatto. Potrebbe quindi profilarsi un carattere di indecidibilità relativo a quel domandare.

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Compieta

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‘Te lucis ante’ sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente
.
(Purg., VIII, 13-15)

Pietà. Relazione primaria, immediata. Sentimento dolceamaro.
Identificazione all’altro, disidentificazione dal sé.
Puro sentire. Sé come un altro, l’altro come sé.
Caduta delle barriere erette dal pensiero astratto.
Andare alle origini del vivente.
Sentire che ciò che pulsa in me è lo stesso pulsare che è nell’altro.
E “me” e “altro” sono costrutti provvisori,
attraverso cui traspare l’elemento comune.
La vita, l’esistenza, l’essere che accomuna.
Vedere le differenze come costruzioni mentali
generate dall’autoconservazione, dall’impulso all’esclusività;
vedere le uguaglianze come schemi che raccolgono,
ordinano e finiscono per gerarchizzare.
Andare al di là delle differenze e delle uguaglianze.
Fino alle fonti del sentire, del vivere,
all’indifferenziato, all’immanente, alla radice.

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INDISPONIBILE

Io sottoscritto Domina Mario,
nel pieno delle mie facoltà mentali, e allo scopo di salvaguardare la dignità e l’integrità della mia persona, intendo con questo documento disporre quanto segue circa il compimento della mia vita:

1. In caso di stato irreversibile di incoscienza che mi impedisca di prendere decisioni, dispongo di interrompere ogni terapia medica e di non utilizzare alcun dispositivo artificiale, destinati al mero prolungamento della mia vita vegetativa;
2. Chiedo che, in caso di malattie terminali, vengano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compresi i farmaci oppiacei, anche qualora ciò significasse un’anticipazione della mia morte;
3. Non intendo usufruire di nessuna assistenza religiosa, né in vita né dopo la morte;
4. Il mio corpo potrà essere donato per trapianti e utilizzato per scopi scientifici;
5. Voglio essere cremato;
6. Chiedo che le mie ceneri vengano portate nella mia Sicilia e disperse in uno qualunque dei luoghi cui ero legato;
7. Non voglio nessun tipo di funerale, né religioso né civile. Se qualcuno mi vorrà ricordare potrà farlo a suo piacimento, magari con una bella festa in cui ci siano vino, musica e poesia.

***

Questo il testo che ho redatto e sottoscritto il 31 dicembre scorso, e consegnato a due persone di fiducia che garantiranno per l’esecuzione delle mie volontà.

La mia coscienza e il mio corpo, che sono tutt’uno e dei quali non sono certo “padrone e signore”, e che però sono, fino a prova contraria, sottoposti alla mia volontà, sono insieme ciò che costituisce la mia specifica quanto provvisoria e diveniente individualità e singolarità: ritengo questi confini invalicabili, e quindi del tutto indisponibili per gli ideologi della vita, i difensori dei sacri e inviolabili diritti della “persona”, quegli stessi sepolcri imbiancati amici dei negazionisti e dei guerrafondai, misogini, omofobi,  difensori dei preti pedofili e aguzzini, da sempre massacratori di streghe, inquisitori, colonizzatori… Non voglio che questa marmaglia metta su di me le sue sudicie mani, né ora né mai!