Crogiolarsi nei dubbi più infuocati, rifuggire da algide ed asseverate certezze.
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Il riso inestinguibile degli dèi
[Sommario: Il cominciamento – Certezza e verità – La questione gnoseologica – Adaequatio rei et intellectus – Lo scacco empirista – La soluzione kantiana – La circolarità hegeliana – Sostanza che si fa soggetto – La fatica del concetto – La dissoluzione del fondamento – Petitio principii in Schopenhauer]
E’ proprio del discorso filosofico interrogarsi sul problema del cominciamento. Anzi, di più: è la ragione essenziale dell’esserci della filosofia. Senza la domanda sul cominciamento non c’è domanda filosofica. Non è un caso che fu la domanda essenziale che si posero i primi filosofi, alla spasmodica ricerca dell’arché. Senonché la natura di quel concetto, e il problema che esso pone, ci interroga sul senso stesso del domandare – a prescindere dal domandato. Cominciare un discorso filosofico significa, formalmente, dar conto di quel che si dice, non presupporre nulla che non sia chiarito. Tuttavia il cominciamento di cui qui si parla non è solo un problema di forma, bensì di sostanza: non è solo la giustificazione soggettiva, ma anche quella oggettiva del cominciare. E il problema sta proprio in questa apparente divaricazione originaria tra forma e contenuto – quella che Hegel definisce opposizione di certezza e verità. Di che cosa si accerta il filosofo, se non della verità che evidentemente è già data per intero? Il cominciamento è dunque l’approccio soggettivo a quell’intero, la modalità particolare di accesso (o di non accesso) all’universale – che è come dire che una parte si annette l’intero.
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La filosofia è un filo d’argento
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Primo resoconto
Il quarto (o forse quinto) anno di sperimentazioni filosofiche con i bambini mi vede impegnato su tre fronti – nel senso che, per la prima volta, sono ben 3 le classi (quinte elementari) coinvolte. Un numero cospicuo di bambini (oltre 50), dei quali mi rammaricherò soprattutto di non poter imparare i nomi, se non in bassissima percentuale. Ma veniamo al dunque, senza tanti preamboli.
Come sempre ci buttiamo subito a capofitto (sia io che loro), anche perché il terreno è fertile e non ha alcun bisogno di essere dissodato o preparato. Sono già piuttosto avvezzi a farsi domande, e non si fanno certo pregare quando si tratta di riflettere, pensare a voce alta e dialogare insieme. Gli attrezzi ci son tutti, l’oggetto si dispiega imponente dinanzi a loro – ma non incute alcuna paura.
Però questa volta ho voluto cominciare con un esperimento: nonostante i nostri incontri siano in genere orali (e “frontali”), ho pensato di far fissare per iscritto alcuni pensieri. In due classi su tre ho chiesto ai bambini, prima di iniziare, di scrivere sul lato A di un foglio quel che la parola “filosofia” suggeriva loro, per poi tornare a scrivere sul lato B, al termine dell’incontro, rispondendo alla medesima domanda.
Ho così potuto misurare sia l’impatto immaginifico della parola e del suo suono, sia quel che le mie parole e la discussione hanno poi prodotto (ed eventualmente modificato) nel loro immaginario. Quel che segue è un resoconto sommario dei due lati (anche se in alcuni casi i bambini non hanno specificato quale fosse il lato A o il lato B, oppure hanno deciso di scrivere solo su un lato del foglio).
Estì (esistenze semantiche)
L’espressione “è” costituisce la presupposizione indimostrabile, e però irrefutabile, di ogni discorso o pensabilità. L’esistenza è l’orizzonte inaggirabile e al contempo tautologico: è=è. Questo mio dire o chiedermi dell’essere (che ne è dell’essere, che ne è dell’è che ho già da sempre evocato) – ebbene, è già pre-definito: è un circolo vizioso, una petitio principii. Non potrei dire nulla (il mio dire non sarebbe), se non ci fossero l’essere, l’ente, le cose, l’esistenza (la mia esistenza) – qualcosa-che-è.
A questo punto ciò che mi fa muovere dall’impasse parmenidea (cos’altro dire dell’essere se non che è e che è tutto quello che è senz’altra specificazione o determinazione?), è l’idea che ciò che esiste si trova in relazione con altro: è il categorizzare aristotelico o la fattualità wittgensteiniana. Ciò che è, è in relazione ad altro, ogni fatto è ciò che è poiché relativo ad un altro fatto (sua causa e suo effetto). Ma altro non è forse autocontraddittorio, poiché indica altro dall’essere, dunque ciò che non può nemmeno essere nominato?