Concetti-capestro

Elogio della dialettica_Magritte

Luciano Parinetto utilizzava spesso l’espressione “concetti-progetto” per designare quelle categorie o prospettive filosofiche che, anziché ingessare il discorso filosofico in un’autoreferenziale celebrazione accademica (o nella deificazione del reale-reale, che è poi l’astratto-astratto), aprono al futuro e alla trasformazione radicale dell’esistente. Prassi pensante e utopia concreta (non sterile utopismo).
Così come in filosofia esistono i concetti-progetto, esistono anche i concetti-capestro. Tutto, essere, nulla, realtà, verità, sostanza diventano spesso e volentieri, nelle mani e nelle menti maniaco-ossessive di certi ontologisti (ma anche in quelle riduzionistiche o semplificazionistiche di certi scientisti o realisti più del re), concetti che se da una parte si ammantano di solidità e luccicano ammiccanti promesse di risposte definitive alle domande più radicali, dall’altra rischiano spesso di diventare vecchi arnesi della fumisteria reazionaria.
Tutto, essere, nulla eccetera – che pure sono le parole essenziali evocate dai filosofi greci – continuano a metterci di fronte a quella strana/straniata/straniante sfera, che Kant aveva definito del noumeno, che volenti o nolenti finisce per naufragare nel territorio dell’inattingibilità. Il limite, cioè, oltre il quale la mente si smarrisce e si imbarca in direzione dei marosi della metafisica. Ed è proprio l’analisi kantiana del concetto di limite (che è forse il nucleo essenziale del pensiero di Kant) a descriverci con precisione questa inevitabile dialettica con naufragio finale.
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Amletismi – 1

E se il fatto di filosofare  – cioè di allargare la sfera critica della mente – altro non fosse che uno dei tanti stratagemmi bioevolutivi, che dunque non fanno uscire la specie nemmeno di un millimetro dalla sua angusta sfera? E se questo filosofare critico, oltretutto, non fosse altro che un sovrappiù di carburante, una sorta di stimolatore ormonale del folle sistema tecno-capitalistico – quello stesso sistema che ha deciso di fagocitare ogni cosa pur di trionfare? Non sarebbe allora meglio desistere?

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Marxiani

Ho avuto la fortuna di introdurre e di coordinare, giovedì scorso a Legnano, una serata dedicata a Bentornato Marx!, il libro scritto dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro, cui ho dato il benvenuto (e del quale si era parlato  qui). Non ho potuto esimermi dal cominciare facendo le pulci proprio al titolo: in che senso è da intendere quel “Bentornato”? E’ forse la constatazione di un fatto? Oppure un auspicio? (e per converso un esorcismo da parte delle schiere terrorizzate dallo spettro di Marx). Perché mai dare il bentornato a un pensatore che ha affollato, nel bene o nel male, gran parte del secolo appena trascorso? E che quindi in realtà non si era mai levato di torno?
Tuttavia la vera questione riguarda il soggetto del bentornato, quel nome impronunciabile e quantomai spettrale – così come impronunciabile e spettrale è diventato l’oggetto della sua radicale critica, e cioè il Capitale, quasi che il solo nominarlo oggi lo togliesse dal suo status apparentemente intangibile di ovvietà, come se il sistema capitalistico fosse il modo naturale ed eterno dell’organizzazione socioeconomica, e non invece una delle sue molteplici e transitorie forme. Ed è qui che subito si apre un primo problema: perché “tornare” (o “ripartire”) dal pensiero di Marx non dovrebbe essere un po’ come riaccendere l’attenzione su – che so – Kant, piuttosto che Spinoza o Aristotele o Machiavelli? Come mai al nome “Marx” viene ancora un po’ di prurito se non l’orticaria, nonostante sia morto e sepolto?
Oppure, come ci ricordava Derrida ormai quasi vent’anni fa, a ridosso della caduta dei regimi “comunisti” dell’Europa orientale, siamo tuttora sotto l’influsso di una presenza quanto mai spettrale del barbuto di Treviri. Ecco, forse è proprio questo il vero motivo: la spettralità di Marx, l’essere senza pace di un pensiero che voleva trasformare il mondo e autorealizzarsi (dunque autoannullarsi) –  una filosofia che si realizza e una realtà che si filosoficizza. Marx è un pensatore e un filosofo, senza alcun dubbio (e dunque se ne può parlare come di un qualsiasi altro pensatore e filosofo) – ma si discosta radicalmente dalla tradizione filosofica perché mette in campo la questione del senso ultimo e dell’utilità (in senso lato) della filosofia, il suo statuto ontologico, il perché mai essa esiste ed è cosiffatta. E tale potenza implica la ricomprensione del suo stesso pensiero sotto il suo cono di luce (o d’ombra): perché io, Marx, penso questo e questo? Perché mai critico e predico (o predìco) la rivoluzione e l’avvento della società senza classi?

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Skàndalon!

Non mi sono mai piaciute le prediche, mentre ho sempre prediletto la critica. Al punto che qualcuno, ogni tanto, mi accusa di essere  fin troppo critico, di voler vedere sempre e ad ogni costo il lato negativo delle cose, quel che non va – dimenticando, però, che mentre mi muove questa accusa egli stesso utilizza l’arma della critica. Magari, chissà, oltre ad essere una questione di carattere dipenderà dalla mia formazione marxiana. Marx era un ipercritico. Molti suoi scritti contengono il termine Kritik nel titolo e nei vari capitoli – ce n’è uno, addirittura, che reca come sottotitolo Critica della critica critica!
Però avevo aperto con le prediche, e con la mia avversione (critica) ad esse… Eppure la predica, ad esempio quella cristiana, proprio nella sua derivazione dalla parresìa dei cinici greci, contiene in sé un forte elemento critico: fustigazione dei costumi, riconduzione a moralità e sobrietà, distinzione tra vero e falso, giusto e sbagliato, ecc.
Proprio qualche giorno fa, casualmente, ho trovato nel bel libro su Marx di Diego Fusaro che sto leggendo, un  riferimento alla figura del “parresiasta”. Scartabellando poi tra i miei appunti, scritti a mano su foglietti colorati e disseminati qua e là (resisto orgogliosamente all’integrale digitalizzazione), ho trovato un riferimento proprio al concetto di parresìa con un rinvio ad uno scritto di Foucault – di cui avevo letto tempo fa un estratto su Diogene (la rivista filosofica), e che mi aveva incuriosito, tanto più che aveva a che fare con Diogene (il filosofo di Sinope).
Poi è arrivata, con il suo picco europeo, la spinosissima faccenda degli scandali della chiesa cattolica a proposito della pedofilia che (peraltro da sempre) essa coltiva in seno, insieme a tante altre nefandezze morali (di uomini trattasi, per lo più maschi casti per voto, cioè solo in teoria – non di angeli, che notoriamente non hanno propensioni sessuali, poiché privi di sesso). A questo punto ho allineato le cose e le parole, e ho riflettuto sulle loro strane relazioni. Ma vediamo di fare ordine…

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