Ascoltavo o leggevo distrattamente in questi giorni le discussioni a proposito di pos, denaro contante e dintorni, con tutte le stranezze e i rovesciamenti del caso: sinistri che invocano la libertà elettronica di pagare, destri che criticano le banche, e poi le solite immagini evocanti rotoli di banconote che circolano negli ambienti mafiosi o dell’economia nera, sommersa, informale, ecc.
Certo, non si tratta di quisquilie, visto che l’uso del denaro attiene alla vita quotidiana e alla socialità. Ma al di là delle questioni specifiche, non può non tornarmi in mente ogni volta quel che a proposito del denaro dice Marx, fin dai giovanili Manoscritti economico-filosofici. Per noi maneggiarlo (in verità sempre meno) è normale e scontato, ma non sarebbe male, ogni tanto, chiedersi che cos’è – perché tutto è il denaro tranne qualcosa di immediatamente chiaro, un po’ come la merce. Sono oggetti strani, sfuggenti, imbrogliati e quasi metafisici, per riprendere il linguaggio marxiano.
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Tag: denaro
L’oro di Silesius
Oro cerca, chi è ricco; dio, chi è povero:
e merda trova il ricco ed oro il povero.
Angelus Silesius sintetizza perfettamente – dopo 350 anni – la divaricazione dei “valori” della nostra epoca: quando Draghi, e tutti gli altri servi del G7 o del Patto Atlantico, parlano di “valori” occidentali che si contrappongono a quelli di altri sistemi o culture, parlano solo dell’unico valore, del denaro. Non di altro.
Sarà invece il caso di andare a vedere che cosa ancora si nasconde dietro il “dio” di Silesius.
«La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali…
Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi… il senso dell’avere.
Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio…
Il denaro trasforma le forze essenziali reali, sia umane che naturali, in penose fantasie.
Il denaro è il potere alienato dell’umanità».
L’editore Gallucci ha osato far uscire questo magnifico albo, illustrato dall’artista spagnolo Maguma, con le parole scritte da Marx nei Manoscritti economico-filosofici ormai quasi due secoli fa. Parole che rimbalzano sul presente, più vere oggi di ieri.
Pòlemos, sempre lui, il maledettissimo padre-padrone di tutte le cose
È da almeno un trentennio che rifletto e mi angoscio – insieme ad altre e ad altri, non certo in solitudine – sul fenomeno-guerra e sulla sua sostanza. Ve n’è un riflesso anche su questo blog, dove sono andato archiviando scritti più o meno sistematici (miei o di altri) che risentono della temperie di questo passaggio di secolo (e di millennio). Dalla politica muscolare di Reagan e dal rambismo degli ’80, passando per le guerre del Golfo, il macello balcanico, il Ruanda e la Somalia, l’11 settembre e le infinite guerre mediorientali – solo per citare quelle più eclatanti: e già il termine “eclatante” (che ho scoperto derivare dal francese éclater, ovvero “scoppiare”, dunque brillare di evidenza per un momento per poi dissolversi), pone un problema, poiché esistono guerre visibili e guerre che non lo sono. Guerre che suppurano in superficie ed altre che ribollono nelle profondità degli inferi socioeconomici; guerre che servono e sono utili al sistema ed altre inservibili – ma tutte ci dicono la nuda e cruda verità ontologica: la guerra è la modalità essenziale delle relazioni politiche globali. Vi è anzi contiguità ed intercambiabilità, se non sovrapposizione tra guerra e politica: non solo e non tanto la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi – come pretendeva Clausewitz – semmai le due realtà si tengono e sono consustanziali. La guerra è l’essenza del sistema globale, e che non sempre ciò risulti chiaro ed evidente fa parte del suo modo di essere e di funzionare: la pace non è la norma e la guerra non è l’eccezione, è vero piuttosto il contrario.
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Cupiditas: l’orcio, il piviere e la scabbia
[Quella che segue è una sintesi dell’introduzione con cui lo scorso lunedì ho aperto il Gruppo di discussione filosofica che si tiene mensilmente presso la Biblioteca di Rescaldina. Ho cercato di mantenere, per quanto mi è stato possibile nel passaggio alla stesura scritta, il tono colloquiale e il carattere divulgativo. Il tema in discussione era: (Iper)consumi: necessità, bisogni, desideri]
Partiamo dal titolo del nostro incontro: già il prefisso “iper” comporta un giudizio di valore (che è però tutto da argomentare). A tal proposito appare ovvio come ogni società umana (e dunque ogni singolo umano) non possa non consumare per sopravvivere. Senonché – anche questa è un’ovvietà – si sono date storicamente forme sociali diverse con modi diversi di consumare, uno dei quali è l’attuale, il tardo sistema capitalistico globale. Un sistema che non è eterno e che potrà in futuro essere modificato o sostituito. Questo modello viene da più parti denominato e caratterizzato come “consumistico” – ad indicare genericamente un eccesso di consumi, o un’eccessiva concentrazione sulla logica del consumo (senza magari farsi domande su motivazioni, radici, cause, effetti, ecc.). È comunque evidente che non ci sono mai state società in passato che abbiano consumato così tanto, così diffusamente ed intensivamente.
Ma la mia attenzione si volgerà piuttosto all’altra parte del titolo: necessità – bisogni – desideri, e verterà sul lato “soggettivo” più che oggettivo. Ci chiederemo cioè quali sono le spinte interne all’individuo che determinano la logica del consumo. E per far ciò partiremo dall’analisi di un celebre filosofo olandese del ‘600, autore di una interessante teoria della natura umana, ed in particolare delle “passioni” umane: Baruch Spinoza (1632-1677).
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Trilogia filosofico-letteraria – 1. Delitto (senza) castigo
Ho letto tutti i grandi romanzi di Dostoevskij tra i 16 e i 18 anni. L’ho fatto con la passione e il furore adolescenziali che, nel caso dello scrittore russo, vengono favoriti da una scrittura febbrile, visionaria, estrema e totalizzante. Li leggevo ovunque: a casa, per strada, in biblioteca, nei giardini – pure a scuola, di nascosto sotto il banco, tanto che un mio professore aveva preso a chiamarmi “Karamazòv”.
Li ho poi riletti, con una cadenza grosso modo decennale, ogni volta scoprendovi nuovi tesori – e nonostante la maggiore consapevolezza, quel marchio originario del furore si è sempre ripresentato. Forse perché l’alto tasso di filosoficità di Dostoevskij non è mai disgiunto dal furore passionale ed esistenziale dei suoi personaggi: dio, la vita, la morte, il senso dell’esistenza, l’angoscia sono sempre intrecciati alla tonalità emotiva e ai sentimenti (spesso forsennati) degli individui in carne ed ossa che popolano quelle pagine fitte di umanità.
La recente rilettura (per la terza volta) di Delitto e castigo me ne ha dato ulteriore conferma.
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Lenone galvano-chimico
Così il sociofilosofo Simmel, nel 1900 tondo tondo:
“La forma più pura di interazione ha infatti trovato nel denaro la forma più pura di rappresentazione; è la possibilità di cogliere l’astrattezza in quanto tale, è la formazione individuale che trova il proprio senso più puro in ciò che è sovraindividuale. Il denaro risulta così essere l’espressione adeguata del rapporto dell’uomo con il mondo, poiché se da un lato l’uomo può cogliere il mondo sempre e soltanto nel concreto e nell’individuale, nel denaro egli può coglierlo veramente, nel senso che il denaro diventa l’incorporazione del processo vitale e spirituale che tesse tra di loro tutte le particolarità creando così la realtà.” (Filosofia del denaro)
Così il sociofilosofo (rivoluzionario, però) Marx, 66 anni prima:
“Il denaro, poiché possiede la qualità di comprar tutto, la qualità di appropriarsi tutti gli oggetti, è così l’oggetto in senso eminente. L’universalità della sua qualità è l’onnipotenza del suo essere; esso vale quindi come ente onnipotente… Il denaro è il lenone fra il bisogno e l’oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell’uomo. Ma ciò che mi media la mia vita, mi media anche l’esistenza degli altri uomini. Questo è per me l’altro uomo [..] non è esso il legame dei legami? [Il denaro è] la forza galvano-chimica della società.” (Manoscritti economico-filosofici)
Entrambi, nudi e crudi.