Massa e potere di Elias Canetti è un testo unico nel panorama culturale, letterario e scientifico del ‘900, così com’è unico il suo autore (che scrive tra l’altro un unico romanzo, Auto da fé, considerato uno dei più rilevanti del secolo). Non è un saggio di sociologia, né di psicologia o di antropologia, e nemmeno può essere considerato un testo storico o filosofico (di filosofi non ne vengono praticamente citati): pur tuttavia si fa ampio riferimento a racconti etnografici così come a referti clinici, a casi storici (spesso poco noti), alla zoologia, all’etologia – anche se non vi è nessuna di queste discipline a prevalere. Massa e potere non ha in sostanza un taglio specialistico, e rimane un testo inclassificabile – cosa che ne fa senza dubbio aumentare il fascino e l’interesse.
Leggerlo è un’esperienza quantomai “straniante”: al termine ogni nostro più piccolo gesto ci apparirà sotto tutt’altra luce (da questo punto di vista lo ritengo filosofico nel senso più alto: massima gioia conoscitiva e disagio e angoscia crescenti nel progredire spiazzante della conoscenza di sé).
Potremmo dire che quella di Canetti è una ricerca di tipo “genealogico”, che va alle origini, alle spalle, alla base delle nostre pulsioni più profonde: massa e potere non sono solo concetti o “astrazioni”, ma il modo in cui i nostri corpi agiscono e interagiscono.
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Diciassette stilettate
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Si è appartato in corridoio col suo foglio, e in pochi minuti lo ha riempito di domande. Le prime sedici numerate, l’ultima contraddistinta dal segno dell’infinito:
1. Perché siamo nati?
2. Perché viviamo?
3. Perché mi chiamo…?
4. Perché Dio ha sbagliato a crearci?
5. Perché possiamo divertirci?
6. Perché ci amiamo?
7. Perché devo vivere?
8. Perché non sono felice?
9. Perché sono così?
10. Perché siamo cattivi?
11. Perché non ho quello che voglio?
12. Perché vivo male?
13. Perché siamo diversi?
14. Perché ci sono persone con problemi?
15. Perché ci poniamo delle domande?
16. Perché vivo?
∞ Perché?
Le ho interpretate come delle stilettate, o mitragliate, o scudisciate – l’arma può essere scelta a piacere – per lo meno per come sono state concepite, scritte e consegnate, e visto chi le ha scritte.
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Bambini plastici al teatro filosofico
Sono ancora stordito dagli occhi spalancati di Giorgia mentre snocciola ragionamenti complessi sul rapporto tra tutto e intelligenza, o mentre tenta di stabilire una relazione tra l’apeiron di Anassimandro e l’atomismo; oppure dalla fronte corrucciata di Manuel che cerca le espressioni giuste per liberarsi dalla tempesta mentale da cui è assalito; o ancora dalla serietà di Aryuna, dai sorrisi esili di Loris, di Seba, di Stefano (che intervengono a raffica); dai dubbi limpidi di Lancine o dalle certezze interrogative di Lorenzo… e potrei continuare a lungo…
Il solito professorone Hegel insinuerebbe il sospetto di una conduzione surrettizia del dialogo, che è poi esattamente quel che pensa degli urbani e raffinati dialoghi platonici, dove i personaggi sono “figure plastiche della conversazione”, e dove addirittura “avviene come nell’interrogazione catechistica in cui le risposte sono già prescritte”. Eppure qui – al di là del fatto che sia la proposizione dei temi che la conduzione da parte mia sono chiare ed esplicite – non mi pare ci sia nulla di pre-scritto o pre-ordinato. Ogni volta le medesime teorie, parole e concetti fanno la loro comparsa sulla scena del teatro filosofico, ma ogni volta producono effetti diversi su quelle loro menti plastiche. Perché quel che conta, più delle teorie, delle parole e dei concetti, sono, appunto, le menti precoci pronte fin d’ora a discernere, a interpretare, ad accogliere o a rifiutare.
Clic!
Nasce talvolta dalla medesima mente imbrogliatissima, che si fa domande di ogni sorta, il desiderio di farla finita, con quelle domande, magari immaginando di girare una manopola o di abbassare un interruttore a levetta, di quelli che fanno clic!
Che senso ha l’esistenza? – clic!
Che ci sto a fare al mondo? – clic!
Perché sono nato? – clic!
Perché devo morire? – clic!
Perché tutto questo dolore? – clic!
Perché l’essere e non il nulla? – doppio clic!
È tutto qui? – clic!
Esiste qualcosa di universale? – clic!
Dio c’è?
E la verità? E l’assoluto?
Un fondamento, una sintesi, uno scopo?
…
accidenti, la levetta si è inceppata.
Ma perché questo domandare? – clic, clic, clic!
Ecco, ora siamo pure rimasti al buio…
Bòtte a Diogene
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Terzo resoconto
Simone dichiara fin dal primo incontro che “se questa è la filosofia” allora proprio no, non gli piace.
Che cosa non ti piace – gli chiedo.
Il fare polemica – mi risponde. Questo continuo far loro domande da parte mia, farsi domande da parte loro, arrovellarsi ed attorcigliare la mente – con poche risposte certe in mano alla fine – evidentemente lo turba. Gli risulta fastidioso dover sempre discutere, interrogarsi, interloquire, contrastare, polemizzare.
Eppure è il sale della filosofia – gli dico (e della vita, vorrei aggiungere).
Com’è che si chiama il tuo blog? – mi chiede durante l’ultimo incontro prima di Natale.
La Botte di Diogene. Perché?
Mi fa sornione: dovresti cambiargli nome e chiamarlo “le bòtte a Diogene”. E si sposta vicino alla finestra, minacciando scherzosamente (almeno spero) di buttarsi di sotto se continua questa baraonda filosofica.
Allora gli dico: guarda che hai proprio sbagliato bersaglio, quel Diogene lì era esattamente come te, un rompiscatole, uno scettico, uno a cui non andava bene niente – in fondo uno polemico, che è quello che Simone non vorrebbe essere. E dunque, guarda un po’ che cosa strana, concludo: sei molto più filosofico di quanto tu non pensi.
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Il respiro bambino della filosofia
“Bisogna cercare piano piano…”
(Sara)
“…ragionare molto molto”
(Riccardo)
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Secondo resoconto
(Prologo: in genere mi affaccio sornione alla porta, chiedo “come state?” e poi propongo di cominciare con un minuto di silenzio – “chiudete gli occhi e provate ad ascoltare il vostro respiro, solo il vostro respiro…”)
Continua a ritmo battente la saga dei nostri incontri filosofici alla scuola Manzoni di Rescalda. Qui posso solo offrire qualche frammento di quel che va succedendo nelle tre classi interessate all’esperimento. Ieri mattina, ad esempio, un bambino se ne è uscito con una frase abbastanza classica per il pensiero filosofico (un po’ meno per un bambino di 10 anni) – una domanda che ora va di moda persino tra alcuni fisici e, soprattutto, neocosmologi:
Perché c’è qualcosa (la vita, noi umani) e non il nulla?
Però quel che la mia trascrizione non riesce a rendere è la sua espressione nel cercare le parole giuste per dirlo, lo sconcerto e la fatica mentre lo diceva, il suo avvilupparsi in qualcosa di eccessivo per la sua (e nostra) mente. Un episodio straordinario di straniamento nel contemplare l’abisso che c’è tra quell’io che chiede e l’enormità della domanda, tra significante e significato, tra quel non capacitarsi qui e ora e lo sfuggire eterno del senso dell’interrogare (della sua eco e dell’impossibile risposta). Catalogate come volete la cosa – campo semantico o linguistico, campo psicologico o (tauto)logico, campo scientifico od ontologico, casualità pedagogica – ma il domandare di quel bambino è sorto in maniera spontanea, e a testimoniarlo c’erano i suoi gesti, la sua voce, la sua espressione. Unici, irripetibili, irriproducibili.
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La filosofia è un filo d’argento
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Primo resoconto
Il quarto (o forse quinto) anno di sperimentazioni filosofiche con i bambini mi vede impegnato su tre fronti – nel senso che, per la prima volta, sono ben 3 le classi (quinte elementari) coinvolte. Un numero cospicuo di bambini (oltre 50), dei quali mi rammaricherò soprattutto di non poter imparare i nomi, se non in bassissima percentuale. Ma veniamo al dunque, senza tanti preamboli.
Come sempre ci buttiamo subito a capofitto (sia io che loro), anche perché il terreno è fertile e non ha alcun bisogno di essere dissodato o preparato. Sono già piuttosto avvezzi a farsi domande, e non si fanno certo pregare quando si tratta di riflettere, pensare a voce alta e dialogare insieme. Gli attrezzi ci son tutti, l’oggetto si dispiega imponente dinanzi a loro – ma non incute alcuna paura.
Però questa volta ho voluto cominciare con un esperimento: nonostante i nostri incontri siano in genere orali (e “frontali”), ho pensato di far fissare per iscritto alcuni pensieri. In due classi su tre ho chiesto ai bambini, prima di iniziare, di scrivere sul lato A di un foglio quel che la parola “filosofia” suggeriva loro, per poi tornare a scrivere sul lato B, al termine dell’incontro, rispondendo alla medesima domanda.
Ho così potuto misurare sia l’impatto immaginifico della parola e del suo suono, sia quel che le mie parole e la discussione hanno poi prodotto (ed eventualmente modificato) nel loro immaginario. Quel che segue è un resoconto sommario dei due lati (anche se in alcuni casi i bambini non hanno specificato quale fosse il lato A o il lato B, oppure hanno deciso di scrivere solo su un lato del foglio).
Amletismi – 1
E se il fatto di filosofare – cioè di allargare la sfera critica della mente – altro non fosse che uno dei tanti stratagemmi bioevolutivi, che dunque non fanno uscire la specie nemmeno di un millimetro dalla sua angusta sfera? E se questo filosofare critico, oltretutto, non fosse altro che un sovrappiù di carburante, una sorta di stimolatore ormonale del folle sistema tecno-capitalistico – quello stesso sistema che ha deciso di fagocitare ogni cosa pur di trionfare? Non sarebbe allora meglio desistere?
Quinta cronaca: congedo con ciliegie
Qualche giorno fa ho incontrato per l’ultima volta la classe di bambini di quinta (dunque ormai ragazzi) con i quali ho svolto nel corso dell’anno scolastico il mio consueto esperimento filosofico, e di cui ho qua e là dato qualche resoconto in forma di “cronaca”.
Ho chiesto loro, a mo’ di congedo, di prendere un foglio bianco e di scriverci sopra due cose: su un lato la parola che più li aveva colpiti durante i nostri incontri, e sull’altro una breve frase che sintetizzasse quel che, a loro giudizio, il termine filosofia racchiude. Una sorta di definizione, cercando di ripercorrere il nostro cammino fin dall’inizio. Arché. Un duplice sforzo di memoria e di sintesi.
Quel che ne è uscito – che ovviamente è stato subito dopo commentato e discusso, abitudine consolidata e affinatasi nel tempo – non mi ha sorpreso, se non per la sua “pulizia” concettuale. Mi ha cioè dato la misura del percorso fatto, del loro impegno nell’accettare una cosa così strana (una “specie di materia”, come alcuni l’hanno definita) che prevedeva di incontrarsi ogni due settimane per parlare di cose piuttosto astratte, e nello stesso tempo la piena comprensione che si tratta comunque di una cosa “vitale”, che li riguarda e che si depositerà da qualche parte nella loro mente.
Le parole-chiave scelte hanno risentito del lavoro svolto sulla felicità (che sta partorendo un vero e proprio libro illustrato autoprodotto), e di fatti 9 di loro l’hanno indicata come parola preferita. Anche il concetto di nulla li ha colpiti (4). Le altre sono state: vita, essenza, interiorità, fede, credere, amicizia, senso. Continua a leggere “Quinta cronaca: congedo con ciliegie”
Seconda cronaca: bambini canonici alle prese con la grande domanda
In genere non preparo mai i miei incontri di filosofia con i bambini. O meglio, ho in mente qualche traccia, alcune parole-chiave, suggestioni di incontri precedenti. Ma nulla di più. Tuttavia, forse per una qualche maniera strutturale di funzionare della nostra ragione e del linguaggio, bene o male le discussioni si vanno organizzando secondo le canoniche tre aree della filosofia ellenistica: la logica, la fisica, l’etica. Si parte sempre dalla mente, dalle sue possibilità e capacità, dagli attrezzi che abbiamo a disposizione, dal “come funzioniamo”. Poi ci si guarda attorno (e anche un po’ dentro), per vedere com’è fatto il mondo, e di rimbalzo come siamo fatti noi, e che relazione c’è tra questa nostra costituzione e la costituzione del mondo, l’interno e l’esterno, e quale arché, legge o principio regga le sorti di tutto quanto. Ma poi si va sempre a finir lì: la morte, il senso della vita, il dolore, la felicità, io e gli altri – l’etica a tutto campo.
I bambini, da questo punto di vista, intuiscono già quali sottili differenze attraversino i piani labirintici del domandare: tra un chi (o che cosa) ha fatto il mondo, un come è stato fatto e un perché, sanno raccapezzarsi piuttosto egregiamente. E mentre per i primi due livelli sanno esserci le comode teorie scientifiche (o eventualmente religiose) a dar risposte a catinelle, per l’ultimo capiscono al volo che le cose si fanno un po’ più complicate.
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